Questo quaderno è dedicato alla figura di san Thomas More (1478-1535), uomo di cultura, scrittore fecondo (celeberrimo il suo Utopia), brillante avvocato, chiamato alla più alta carica del Regno d’Inghilterra, al centro di un rinnovato interesse nel mondo degli studi sulla sua personalità, il suo ruolo storico e la testimonianza del suo martirio: fu condannato a morte per non avere dato il suo assenso al divorzio del re Enrico VIII e, quindi, allo scisma della Chiesa d’Inghilterra dalla Chiesa cattolica. Apre il quaderno lo studio di Carlo De Marchi – che è anche la prefazione alla traduzione italiana dell’opera di More Nell’orto degli Ulivi (Ares, Milano 2023, pp. 184, euro 18) –, nel quale l’autore mostra come il suo profilo di laico sposato dedito alla sua professione politica in tempi storicamente difficili lo renda un esempio di particolare attualità per gli uomini dei tempi inquieti odierni. Seguono due interviste con due rilevanti studiosi di More: Frank Mitjans, che ha recentemente pubblicato una nuova biografia del Santo (Thomas More’s Vocation, Catholic University of America Press, Washington 2023, pp. 302, $ 75), e Gerard Wegemer, fondatore del “Center for Thomas More Studies” all’Università di Dallas, che promuove conferenze e ricerche scientifiche per riscoprire la visione politica e l’esempio di More (nella foto, un suo ritratto eseguito da Hans Holbein il Giovane nel 1527). Lo studio di Cesare Grampa mostra, invece, l’influsso di More sulla cultura italiana passando in rassegna i numerosi studi, articoli, traduzioni e riviste di cui ha suscitato il sorgere. Su Thomas More l’Ares ha recentemente pubblicato anche il volume di W. Roper, Vita di Sir Thomas More (Milano 2023, pp. 144, euro 14).

Una volta tornato a casa, devo parlare con la moglie, intrattenermi con i figli, scambiare idee con i domestici». Thomas More si esprime in questo modo nella lettera introduttoria al suo celebre saggio paradossale Utopia (1516).

Tutti questi compiti io li considero un vero e proprio lavoro, perché lo devi proprio fare, a meno che tu voglia diventare uno straniero in casa tua. Insomma, un uomo saggio si deve dar da fare per essere accogliente, amabile e allegro con coloro che la natura, il destino o egli stesso ha scelto come compagni… E in mezzo a tutte queste occupazioni che ti rubano i giorni, i mesi e gli anni, come faccio a trovare tempo per scrivere? Non riesco a trovare tempo se non rubandolo ai pasti e al sonno1.

 

Chi scrive è un genitore in carriera, un uomo che nel giro di quindici anni diventerà, per volontà del Re, il personaggio più importante d’Inghilterra (e quindi tra i politici più potenti in tutta Europa). More ha sette figli, è presissimo dal lavoro, ha un capo dal carattere decisamente difficile e fatica a trovare tempo per coltivare le sue passioni, la famiglia, la letteratura, le relazioni di amicizia epistolare e dal vivo.

Già solo queste pennellate fanno di Thomas More una personalità di grande attualità, per noi che siamo sempre di corsa e ci troviamo spesso divisi tra tante liste di cose da fare, impegni familiari e relazioni che vorremmo coltivare. More si era domandato in gioventù se la sua vocazione fosse rinunciare a tutte queste cose e ritirarsi in un convento. Dopo un attento discernimento aveva deciso per la vocazione matrimoniale, si era sposato con Jane nel 1505 e i due avevano avuto quattro figli: Margaret, Elizabeth, Cecily e John. Nel 1511, dopo la morte della moglie a soli 23 anni, Thomas sposò Alice Middleton, una vedova che portò con sé una figlia, anch’essa di nome Alice (Alington). Al nucleo familiare si era aggiunta anche un’altra Margaret (Giggs), adottata, seguita poi da Anne Cresacre, della quale More era stato nominato tutore, che portò così a sette il numero dei figli, tutti nati tra il 1500 e il 15112.

Cura per la famiglia

Erasmo da Rotterdam fu più volte ospite a casa More e rimase affascinato dall’educazione letteraria che il capofamiglia faceva in modo che tutti, comprese le figlie femmine, ricevessero, e ancor più dall’atmosfera che si respirava:

 

Governa tutta la famiglia con amabilità: una famiglia, la sua, in cui non si fanno drammi, né vi sono litigi e quando sorgono, egli vi porta subito il rimedio e la riconciliazione. More ha fatto in modo che neppure uno andasse via portando con sé, o lasciando, un qualche rancore.

Erasmo aggiunge un particolare che parla del carattere accogliente del suo ospite anche nei confronti degli anziani:

È difficile che qualcuno viva con la madre in buona armonia, come lui con la matrigna: essendosi suo padre risposato, egli ha unito nell’affetto la madre e la matrigna, amandole come se fosse figlio di entrambe. Il padre in seguito prese moglie una terza volta e More dice in tutta onestà di non aver conosciuto una donna migliore di lei3.

In una lettera del 1517 di Thomas More alle figlie femmine si intravede il desiderio paterno di instaurare una relazione personale con ciascuna:

Voglio che sappiate e che siate persuase che in mezzo a questi noiosi affari nulla, ma proprio nulla mi dà maggior sollievo della lettura di quanto giunge da voi4.

Ancora di più si nota l’affetto familiare in un’altra lettera scritta a tutti i figli “dalla Corte”, dove More era presissimo da affari e questioni politiche di crescente importanza:

Il mercante di Bristol mi portò le vostre lettere il giorno dopo che v’aveva lasciati. La mia gioia fu al colmo. Non ve ne fu una che non mi piacesse moltissimo ma, per confessarvi con tutta franchezza ciò che sento, quella di mio figlio John m’è piaciuta più di tutte, sia perché più lunga delle altre sia perché sembra che vi abbia dedicato un po’ più di fatica e maggior studio.

Si potrebbe pensare a un tipico favoritismo dei padri d’un tempo nei confronti del figlio maschio, se non fosse che More prosegue e dice:

Attendo da ciascuno di voi una lettera quasi ogni giorno. Non accetterò scuse quali la mancanza di tempo, la partenza improvvisa del corriere postale o la scarsezza di argomenti sui quali scrivere. Nessuno vi impedisce di scrivere, anzi al contrario tutti vi spingono a farlo. E per non fare aspettare il corriere, perché non anticipare la sua venuta e preparare le lettere scritte e sigillate due giorni prima, pronte per essere prese da chiunque possa capitare? E come vi può venire a mancare l’argomento se scrivete a me, dal momento che io godo tutto nel sentirvi parlare dei vostri studi, dei vostri giochi? E mi farete assai grande piacere se, non avendo nulla da scrivere, mi scriverete lungamente intorno a quel nulla. Questo vi deve riuscire facile, particolarmente a voi ragazze che, si sa, siete chiacchierine fin dalla nascita e avete sempre un mondo di cose da dire. Vi avverto tuttavia di una cosa. Sia che scriviate di cose serie, sia di genuinissime sciocchezze, è mio desiderio che tutto scriviate con diligenza e dopo averci pensato su5.

 

In quel momento i figli di More avevano dai dieci ai vent’anni, il che faceva della famiglia More una palestra di educazione di adolescenti, con tutta la vivacità del caso, arricchita da alcuni animali domestici (tra i quali anche una scimmia, visibile nel ritratto di famiglia del celebre pittore Hans Holbein, anch’egli ospite a casa More). Non sempre le cose andavano per il meglio, come quando, nell’estate del 1529 un incendio mandò in malora i granai di famiglia e alcune parti della casa, mentre Thomas si trovava a Corte per compiti direttamente richiesti dal Re (di fatto alla fine di quel mese di settembre More venne nominato Lord Cancelliere d’Inghilterra). La moglie Alice chiese al genero Giles, sposo della figlia Cecily, di portare la notizia al marito. Non è difficile immaginare lo stato d’animo con cui il capofamiglia seppe del disastro economico, con tutto il carico di incertezza dovuto alla lontananza. Prima che il genero ripartisse, Thomas scrisse alla moglie, in fretta e furia, un biglietto breve e spontaneo in cui raccomanda «di non perdere il buonumore e di portare tutti quei di casa in chiesa e di ringraziare Dio sia per quello che ci ha donato sia per quello che ci ha tolto, e per quello che ci ha lasciato che, se a lui piacerà, ci potrà accrescere». La conclusione è una rassicurazione:

Chiederò al Re licenza di venire a casa a trovarvi la settimana ventura. E allora discuteremo insieme di tutto e vedremo i passi da fare. Nel frattempo, con tutto l’affetto che potete desiderare, vi auguro di stare bene, insieme a tutti i nostri figli [colpisce, tra l’altro, il riferimento indifferenziato ai nostri figli, tutti e sei insieme]6.

 

L’autore non si esprime in modo retorico, sta semplicemente cercando di tranquillizzare a distanza la moglie e i figli, e forse anche sé stesso.

Il dolore filtrato dal buonumore

Di Thomas More si diceva che fosse «nato per l’amicizia» e senz’altro l’epistolario conferma la sua capacità di coltivare le relazioni amicali; è attestata la generosità con i poveri, l’arte diplomatica, la passione e la dedizione per il lavoro di avvocato, la finezza nello stile di scrittura e, forse più di tutto, il gusto per le battute di spirito e i giochi di parole, che proferiva mantenendo immutato lo sguardo e il tono di voce, tanto che molti non riuscivano a capire fino a che punto stesse scherzando. Nel cuore di un Dialogo scritto durante la prigionia, More scherza anche sul proprio cognome e si definisce «un mezzo pagliaccio o poco più» (half a gigglot or more)7.

Trattare cose serie con leggerezza è un’arte che non si deve solo al suo temperamento naturale, ma a una scelta consapevole e meditata: il gioco e lo scherzo sono per More qualcosa di necessario «a motivo della debolezza della nostra natura fragile». Le persone, infatti, di solito hanno poca resistenza per i discorsi troppo profondi, perché sentir parlare del Cielo troppo a lungo risulta pesante, «come se il Cielo fosse pesantezza» (as though heaven were heaviness). E invece per More il Cielo sarà un «eterno raccolto di risate», cioè una prosecuzione e un frutto duraturo del clima allegro che ognuno avrà saputo creare e seminare intorno a sé lungo la vita, in particolare in famiglia8.

La commedia familiare e affettuosa della famiglia di Thomas More si trasformò però in dramma quando Enrico VIII ordinò a tutti i notabili del regno di dichiararsi d’accordo con l’Atto di Supremazia, attraverso il quale il Re si era proclamato capo della Chiesa, per ottenere il divorzio dalla moglie e sposare un’altra donna. Il cancelliere More affermò di non poter prestare il giuramento per alcuni motivi di coscienza dei quali non intendeva parlare con nessuno (neppure con i suoi familiari). Poco dopo si dimise dalla carica di Cancelliere e venne imprigionato nella Torre di Londra, con ben poche speranze di salvezza. L’idillio familiare si tramutava in un incubo, nel quale il padre di famiglia temeva di perdere la vita e che l’intera famiglia andasse incontro alla rovina. In questo contesto nacquero gli scritti più alti che uscirono dalla penna di Thomas More: alcune lettere familiari, il Dialogo del conforto nella tribolazione e la meditazione sulla Passione conosciuta in Italia con il titolo Nell’orto degli ulivi e da poco ripubblicata9.

Il genero William Roper racconta che, quando le prime nubi si addensavano all’orizzonte, More «diceva loro di sentirsi perfettamente convinto che se avesse avuto la certezza che sua moglie e i suoi figli lo incoraggiassero a morire per una causa santa, ne avrebbe avuto tanto conforto e felicità da correre lieto verso la morte»10.

La figlia Margaret riuscì a visitare regolarmente il padre in carcere, probabilmente simulando il desiderio di convincerlo a giurare. Oltre a diverse meravigliose lettere scambiate tra padre e figlia, esiste un documento che attesta un’intima e affettuosa condivisione di pensiero. Si tratta della cosiddetta Lettera di Margaret Roper ad Alice Alington: scritta nell’agosto del 1534, non è chiaro chi sia davvero l’autore di questo documento, che probabilmente è stato scritto a quattro mani e contiene una meditazione sul primato della coscienza che, passando con sottile understatement dall’ironia alla riflessione profonda, assume toni commoventi se si pensa che rispecchia il pensiero di un padre che sta per essere condannato per le sue convinzioni e di una figlia che lo ammira e, presagendone la morte, ne sente già una straziante nostalgia. Il testo, commenta un grande biografo di More, «è lungo più o meno quanto il Critone di Platone, anzi, sotto molti aspetti gli assomiglia in maniera sorprendente […]. Quando, dopo la morte di More e di Margaret, questa lettera venne stampata, i familiari di More rimasero in dubbio se il vero autore fosse More o Margaret»11.

Nei quattordici mesi trascorsi nella Torre di Londra, oltre alla riflessione sulla coscienza, Thomas More medita la Passione del Signore e da questa meditazione nascono le memorabili pagine di riflessione sulla tristezza di Gesù. Il testo è incompiuto perché a un certo punto i carcerieri tolsero al prigioniero la possibilità di scrivere. Quello che ci è giunto va letto senza mai dimenticare che nella meditazione di More sul dolore di Cristo è sempre presente il timore del proprio martirio e della possibile rovina alla quale i suoi familiari andranno incontro. Tuttavia il padre sequestrato agli affetti più cari fa proprio alla figlia Margaret una confidenza sorprendente:

 

Ringraziando Dio, Meg, non trovo motivo di ritenermi qui in una situazione peggiore che in casa mia. Perché sento che Dio mi sta viziando come un bambino e che mi tiene in grembo e mi culla12.

La presenza dei familiari nel carcere, pur limitata, è costante e affettuosa. Il genero Roper racconta una visita della moglie Alice che dà origine a una scenetta perfino comica, ma è struggente soprattutto l’incontro del padre con il figlio John e la figlia Margaret lungo il percorso da Westminster alla Torre, poco dopo la sentenza di morte. Il racconto del saluto di Meg è dettagliato. Dopo aver ricevuto la sua benedizione in ginocchio, «non curante di sé, aprendosi rapidamente un varco in mezzo alla folla e al drappello di guardie armate di lance e alabarde che le si serravano intorno, corse fino a lui e lì, davanti a tutti, buttandogli le braccia al collo lo baciò e abbracciò». Questo gesto di affetto e devozione non è però ancora l’ultimo, perché «non bastandole ancora di averlo potuto incontrare, mia moglie [Margaret], quasi smarrita e interamente rapita dall’affetto per il padre amatissimo, non curante di sé né della folla che faceva ressa intorno a lui, improvvisamente tornò indietro, corse di nuovo fino a lui, e di nuovo, buttandogli le braccia al collo, lo baciò più volte con tutto il suo affetto»13.

Il commento di Thomas More, nell’ultima lettera scritta alla figlia poche ore prima dell’esecuzione, è eloquente:

I tuoi modi nei miei confronti non mi sono mai piaciuti tanto come quando mi hai baciato l’ultima volta, perché mi piace quando l’amore filiale e la carità affettuosa non hanno tempo di curarsi della cortesia mondana. Addio, mia cara figlia, e prega per me, e io lo farò per te e per tutti i tuoi cari, perché ci possiamo incontrare allegramente in cielo. Grazie di tutto quanto hai fatto per me14.

Com’è noto, il condannato non perse il buonumore neppure sul patibolo, tanto da chiedere aiuto a chi lo accompagnava per salire i gradini e «poi per scendere lasciate pure che mi arrangi da solo», e da raccomandare al boia di avere cura, nel decapitarlo, di non tagliare la barba «che non era colpevole di tradimento»15.

L’ultima lettera di Thomas More contiene anche un saluto personalizzato a quasi ogni membro della famiglia, compresi i generi e i nipoti. È impossibile separare in san Thomas More il padre di famiglia, lo statista, lo sposo, l’amico, l’umorista, lo scrittore e il testimone e imitatore della Passione di Cristo. «Che uomo completo!», ebbe a dire Pio XI nel canonizzarlo cinquecento anni dopo la sua morte, nel 1935. Qualche anno prima, nel 1929, G.K. Chesterton aveva scritto che Thomas More «è più importante oggi di quanto non lo sia stato in qualunque altro momento dalla sua scomparsa fino a ora, forse perfino di più che nel grandioso momento della sua morte; ma non è ancora così importante come lo sarà tra cent’anni»16. Proprio l’unità della sua vita fa di lui un uomo per tutte le stagioni e un testimone di speranza particolarmente adatto a questi nostri tempi inquieti.

1 T. More, Utopia, Laterza, Bari 1981, p. 4.

2 In questo articolo abbiamo fatto riferimento al volume curato da Gerard B. Wegemer e Stephen W. Smith, A Thomas More Source Book, Cua, Washington 2004, che riunisce tutte le principali fonti per chi voglia avvicinarsi allo studio di Thomas More; gli stessi curatori hanno pubblicato un’edizione più completa delle fonti moreane nel volume The Essential Works of Thomas More, Yale University Press, New Haven 2020, pp. 1520; molte di esse sono reperibili online sul sito www.thomasmorestudies.org, che è una vera e propria miniera.

3 Erasmo da Rotterdam, Lettera a Ulrich von Hutten, pubblicata in Ritratti di Thomas More, a cura di Matteo Perrini, La Scuola, Brescia 2000; il testo completo della lettera si può trovare sul sito www.gliscritti.it; anche la citazione precedente è tratta dalla stessa lettera di Erasmo.

4 T. More, Lettera alle sue figlie e a Margaret Giggs, circa 1517, in Lettere, a cura di Francesco Rognoni, Vita e Pensiero, Milano 2008, pp. 209-211.

5 Idem, Lettera ai suoi figli e a Margaret Giggs, circa 1522, in Lettere, cit., pp. 262-265.

6 Idem, Lettera alla moglie Alice, 3 settembre 1529, in Lettere, cit., pp. 285-288.

7 Idem, Dialogo del conforto nella tribolazione, Rubettino, Soveria Mannelli 2011, II, 1, p. 150; dallo stesso capitolo sono tratte le citazioni riportate di seguito.

8 Per approfondire il fondamento teologico dell’umorismo di Thomas More, si veda C. De Marchi, Thomas Aquinas, Thomas More and the Vindication of Humor as a virtue: “Eutrapelia” and “Iucunditas”, “Moreana”, 52 (June 2015), pp. 95-107.

9 T. More, Nell’orto degli Ulivi, Ares, Milano 2023.

10 W. Roper, Vita di Sir Thomas More, Ares, Milano 2023, p. 93.

11 R.W. Chambers, Introduzione a N. Harpsfield, Life and Death of Sir Thomas More, London 1557; il testo è citato da Rognoni nell’edizione di T. More, Lettere, cit., p. 362.

12 W. Roper, Vita di Sir Thomas More, cit., p. 114.

13 Ivi, p. 135.

14 T. More, Lettere, cit., p. 407.

15 W. Roper, Vita di Sir Thomas More, cit., pp. 139 ss.

16 G.K. Chesterton, A turning Point in History, in R.S. Sylvester and G. Marc’hadour, Essential Articles for the Study of Thomas More, Archon, Hamden 1977, p. 501. Gli interventi di Chesterton su Thomas More sono stati pubblicati in italiano nel volume: Idem, Una mente come un diamante. Scritti su Thomas More, a cura di Giuseppe Gangale, Studium, Roma 2015; questa citazione si trova a p. 27.