Ognuno ha le proprie fissazioni.
C’è chi è fissato con l’oroscopo e ogni mattina legge Simon & the Stars; chi con la palestra e ci andrebbe anche il 15 agosto; chi è fissato con il calcio e organizza cinque fantacalcio a stagione, e chi con il cibo e non può fare a meno di mangiare al ristorante ogni settimana.
Poi ci siamo noi dell’editoria. Leggiamo libri (tanti), li collezioniamo (ancora di più) e organizziamo gite e viaggi nei luoghi in cui i libri sono ambientati o nei luoghi che han visto i passi dei nostri autori preferiti.
Quest’anno la mia fissazione ha un nome: Ernest Hemingway.
È bastata una bella lettura consigliata da chi ne sa per far partire le ricerche e preparare le valigie. Il necessario: un ventaglio, 125 pesos, un biglietto aereo. Destinazione: Cuba.
San Francisco de Paula, L’Avana
Sapevate che Hemingway vestiva Abercrombie & Fitch?
Questa curiosità mi ha fatto sorridere quando l’ho scoperta leggendo Papà Hemingway di A. E. Hotchner, un intimo memoir del 1966 scritto da chi fu suo compagno di viaggio per quattordici anni.
La caccia era una delle grandi passioni di Hemingway e quando finalmente mi ricordo che Abercrombie nasce come brand di vestiario per attività all’aperto, tutto ha più senso. Lentamente sfuma dalla mia mente l’immagine di un Ernest circondato da esili modelle, una visione più vicina ai giorni nostri.
Ogni volta che Hemingway tornava negli Stati Uniti faceva incetta di vestiti Abercrombie. Era forse il motivo più forte che lo riportava ogni tanto in patria, per poi fuggire con le borse piene di abiti verso altri continenti: Parigi, Venezia, una sciata sulle Alpi, una corrida in Spagna, un safari in Africa e una settimana di pesca a Cuba.
Era proprio a Cuba che aveva trovato il suo buen retiro, adatto sia alla necessità di pace e concentrazione, sia all’immancabile voglia di “fare” per equilibrare le ore passate dondolandosi sulla sua sedia in vimini a sfornare opere che avrebbero segnato un secolo.
Su una Pontiac del 1955 (Alex il tassista ci tiene a far presente che l’anno prossimo compirà ben 70 anni!) raggiungo la Finca Vigía, una residenza color panna immersa in un’area rigogliosa di 61 mila metri quadrati a circa mezz’ora da L’Avana.
Mi fa sempre uno strano effetto rendermi conto improvvisamente che sono dove un tempo c’era qualcuno il cui nome è nella Storia. Ricordo che il primo incontro con “Papà Hem” è avvenuto con Fiesta (Il sole sorgerà ancora), un libro che ho odiato. Maschilista e ubriacone. Dialoghi di difficile comprensione. Non pensavo che avrei letto altro.
Poi però sono andata a Parigi e Festa mobile mi ha fatto innamorare. Della città – ovviamente – ma devo ammettere che sono rimasta incuriosita anche da quella génération perdue che si è ritrovata nella Ville Lumière nel primo dopoguerra. Quel filo che parte dalla Shakespeare and Company è talmente resistente che arriva fino all’Avana. E così eccomi qui, a stupirmi di una casa costruita nel 1886, oggi trasformata in museo.
Bastano pochi centesimi per poterlo visitare ma se vi dimenticate i pesos è un problema. Il biglietto d’ingresso costa infatti 125 pesos cubani, pari a circa 40 centesimi: in mancanza di pesos è difficile trovare qualcuno che abbia con sé le altre valute. Non siamo nel centro della capitale cubana e il cambio moneta è un argomento spinoso, in un paese dove la conversione varia di giorno in giorno e i bancomat sono introvabili e, nel caso in cui si trovino, spesso mancano di contante.
Ringrazio Alex per aver trovato 1 dollaro nella sua macchina vintage, altrimenti non avrei potuto buttare un occhio ai musi impagliati di cervi appesi alle pareti (personali trofei di Hemingway?); alle code di balena (ricordo anche una dentatura di squalo intravista a Brunnenburg, residenza tirolese di Mary de Rachewiltz, figlia di Ezra Pound); lucertole in salamoia; librerie in legno con tomi risalenti a due secoli fa; riviste come “Life”, “Look” e “Baseball”; quadri di artisti che si studiano a scuola.
La Finca Vigía
Hemingway passò tutti gli inverni alla Finca Vigía (in spagnolo la finca è una tenuta, una proprietà terriera) dal 1939 al 1960, dopo aver soggiornato all’Hotel Ambos Mundos – noto perché è qui che iniziò a scrivere Per chi suona la campana – all’Havana Vieja, il centro storico della città.
Le porte della Finca sono aperte a tutti, letteralmente. Per non consumare il pavimento (ha già una certa età) e poter fermare il tempo, ai visitatori non è permesso superare le soglie dell’abitazione. Due note positive: ogni lato della casa ha porte e finestre; ogni mobile e suppellettile è lì dove Ernest l’ha lasciato tanti anni or sono. Il patio mi permette di circumnavigare la Finca e vedere coi miei occhi i divani dal tessuto a fiori, il ventilatore di ferro, il giornale titolato “The Hemingways second plane crash” datato 25 gennaio 1954, quando Ernest e sua moglie Mary Welsh ebbero non uno, ma ben due incidenti aerei in Africa; il tavolo in legno – con tanto di testa d’orso impagliata – a cui ha scritto Il vecchio e il mare, 204 pagine1 con le quali vinse il Premio Pulitzer (1953). La lotta di un uomo contro un Marlin su una barchetta. Sarà forse la Pilar?
C’erano due Pilar nella vita di Hemingway: la gagliarda partigiana di Per chi suona la campana e un cruiser cabinato nero e verde di quaranta piedi: entrambe prendevano il nome dal santuario spagnolo. La Pilar fluttuante era ormeggiata nel porto dell’Avana, già pronta a partire al momento del nostro arrivo. Aveva un ponte sporgente, comandi in plancia, scalmiere di dimensioni eccezionali che potevano manovrare esche saltellanti di cinque chili, e la capacità di pescare con quattro canne.2
Così la ricorda Hotchner nel suo memoir. E io lascio a lui le parole per descriverla perché proprio non me ne intendo, ma sono felice di poter correggere un dato: oggi la Pilar si trova alla Finca, la mappa all’inizio del percorso la indica come la sesta tappa, alla fine di una stradina.
Sotto un ombrello di foglie esotiche e su un tappeto di frangipane – ho aggiunto un nuovo fiore preferito al mio elenco personale – che una signora posa fra i miei capelli arruffati dai 35 gradi umidi e dal giro sulla decappottabile d’epoca, passo accanto all’immensa piscina – ora desolatamente vuota – di cui ho letto nel libro, spot prediletto per piacevoli giornate in compagnia, e la vedo.
Circa 22 passi miei di lunghezza, ovvero la bellezza di 40 piedi (12 metri abbondanti) a sentire Hotchner: la Pilar ha trovato un nuovo porto. Riposa sotto un’impalcatura che la ripara in caso di maltempo (penso agli uragani tropicali e sembra ancora più straordinario che sia resistita per tutti questi anni) e un pontile, costruito appositamente, permette di vederla da vicino in tutti i suoi lati. Alla fine del giro, quattro tombe ricordano alcuni dei cani di Hemingway – Black, Negrita, Linda e Neron – che qui riposeranno per sempre.
Tornando indietro scorgo anche le indicazioni per la Cancha de tenis (il campo da tennis) e la Vallín de gallos, lo spazio dedicato al combattimento dei galli. Hai capito Hemingway?
Mi accomodo sulle sedie in ferro bianco disposte su un piccolo terrazzamento nel giardino di fronte all’ingresso dell’abitazione, accanto a un busto di Hemingway a pochi passi, realizzato dallo scultore cubano José Villa Soberón, famoso per le sue opere che raffigurano personalità storiche e culturali importanti, come la statua di John Lennon nel Parque John Lennon a L’Avana; un omaggio allo scrittore statunitense e al legame profondo con Cuba. Non posso fare a meno di pensare: “Chissà chi si sarà seduto qui prima di me?”. Sono dall’altra parte del mondo, in un angolo di natura di cui ho sentito parlare nei libri. In un posto in cui forse non metterò mai più piede.
Respiro l’aria intrisa del profumo di quel fiore che in Italia si trova solo come fragranza in erboristeria, e smetto di opporre resistenza al caldo di fine luglio. Più tardi andrò alla ricerca di acqua potabile ma ora voglio solo emozionarmi un altro po’.
Un ultimo sguardo: vado via con un frangipane tra i capelli e una stellina in più su Google Maps. Sì, è un posto da salvare.
Cojimar, L’Avana
«Non c’è problema. Cojimar è sulla strada per L’Avana.»
Alex è disposto a realizzare un altro mio piccolo desiderio.
Casette a un piano tutte colorate, onde del mare e trotto dei cavalli come sottofondo musicale.
Cojimar è una cittadina arcobaleno a 8 chilometri dall’inizio del Malecón, il famoso lungomare che si estende per tutta la costa settentrionale dell’Avana.
È da Cojimar che Santiago, il pescatore protagonista di Il vecchio e il mare, salpava sulla sua barchetta (la Pilar?) tutte le mattine con un obiettivo: tornare con le reti piene. Si dice che a ispirare il personaggio di Santiago fu Gregorio Fuentes il
marinaio della Pilar sin dal 1938. “È in mare da quando aveva quattro anni”, disse Ernest, “e viene da Lanzarote nelle Canarie. Lo abbiamo conosciuto a Dry Tortugas dove ci aveva sbattuto una tempesta. […] Gregorio è splendido: è un uomo di mare talmente esperto che ha portato in salvo Pilar attraverso tre uragani, è un pescatore senza pari, e cucina il miglior pompano che tu abbia mai assaggiato 3.
Hemingway frequentava spesso Cojimar mentre era di stanza a Cuba e aveva fatto amicizia con molti pescatori locali. Dopo la sua morte avvenuta nel 1961 (si è drammaticamente suicidato a Ketchum, Idaho, Stati Uniti), l’affetto che lo legavano a lui li portò a realizzare un busto per onorarlo. Sotto una struttura circolare in muratura, sorretta da sei colonne doriche che slanciano l’intero monumento verso il cielo, c’è di nuovo Ernest e questa volta con materiali speciali: eliche e ancore di bronzo donate proprio dai pescatori, fuse a questo scopo. Un gesto simbolico che campeggia fieramente in Plaza Hemingway, vicino al mare.
Ernest Hemingway più presente a Cuba dell’eroe nazionale José Marti… o quasi!
L’Avana
I miei amici mi aspettano al Restaurante Dos Hermanos accanto al porto habanero dove una porta-aerei russa dall’aspetto arcigno e per nulla amichevole esercita un controllo che mi inquieta anche a distanza.
La faccia di Hem spunta un’altra volta.
«Il miglior mojito di tutta L’Avana!» dice Angelo, un uomo sulla quarantina che i miei amici hanno incontrato nel Barrio Chino, un quartiere nel centro storico, e che ha voluto unirsi a noi con la voglia di parlare dell’Italia in italiano.
«Ma non era la Bodeguita del Medio?». L’ho letto sia sulla Lonely Planet sia sulla guida turistica dell’aereo.
«La Bodeguita ormai è troppo turistico e meno autentico del Restaurante Dos Hermanos. È qui che in realtà veniva Hemingway quando aveva sete.»
Sarà vero?
Se le fotografie sono comunemente accettate come testimonianze storiche, allora queste mura marinaresche ci raccontano di una conversazione tra lo scrittore e Fidel Castro e annunciano con orgoglio che anche Marlon Brando, Errol Flynn e Federico García Lorca sono stati qui.
Poco male, direi.
All’appello mancano solo Marina Hemingway, il principale porto turistico a ovest del centro dell’Avana, nazionalizzato dopo la rivoluzione (1953-1959) e dedicato a Ernest Hemingway, uno dei pochi americani graditi a Fidel Castro, e El Floridita, il miglior daiquiri della ciudad.
Il sito turistico si riconosce subito: di un rosa acceso, intenso, il bar spicca con il suo cartello al neon davanti a un palazzo in rovina, di tutte le sfumature di grigio e nero.
È così L’Avana: una città che ti fa sentire nel dopoguerra, attraversata però da scintillanti autovetture piene di ricchi turisti che vogliono sorseggiare un daiquiri al Floridita.
Un concierge pronto ad aprire la porta; aria condizionata a sedici gradi; una piccola band dal sound latino che intrattiene gli ospiti accaldati. Nell’angolo, a sinistra del lungo bancone, una statua in scala 1:1 di Ernest, a cui puntualmente mi avvicino per scattare una foto ricordo.
Fa troppo freddo per rimanere e lo sbalzo termico fra l’interno e l’esterno non perdona: giusto il tempo di guardare le foto e le targhe alle pareti e poi possiamo uscire.
Davanti a noi: un palazzo in macerie, una fontana zampillante acqua putrida, lattine vuote di bibite importate dal Medio Oriente buttate per terra. Ma, pronta per un’altra corsa, una Dodge fucsia con ciglia finte attorno ai fari.
Come dicevo, bienvenidos a L’Havana.
1 Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare, Mondadori 2021.
2 A.E. Hotchner, Papà Hemingway, Bompiani 1966, p. 20. Traduzione di Ettore Capriolo.
3 Ibidem.