Il Volto di Dio si lascia vedere nella storia in quello di Gesù, osserva don Domenico Repice, sacerdote della Diocesi di Roma, studioso del rapporto fra il Telo custodito a Torino e l’iconografia cristiana. «È contemplando il Volto del Cristo che l’uomo scopre sé stesso», osserva l’autore in questa meditazione spirituale della Pasqua attraverso la Santa Sindone, «ed è liberato dalla deformazione, dalla deturpazione, dalla omologazione e dall’insignificanza». Quello di Cristo è «un Volto nel quale non ci si perde e non ci si annulla, ma in cui ci ritroviamo. Come in uno specchio appare finalmente il Volto della Nuova Umanità». La Sindone non può essere considerata, per vari motivi, una prova della Risurrezione di Cristo, ma certamente a essa allude e rimanda. Dinanzi alla Sindone, «anche se attoniti per l’inaudita cattiveria dell’uomo contro l’altro uomo, e in fin dei conti contro sé stesso, è possibile aprirsi alla speranza e piangere anche di gioia perché in quella grotta non c’è più alcun morto». La morte è stata sconfitta, definitivamente: «Cristo è vivo e io sono già vivo con lui. Non dobbiamo più cercarlo tra i morti». Nella foto, il negativo fotografico del Volto Sindonico realizzato da Giuseppe Enrie nel 1931.
Nella Bibbia l’azione del vedere è collegata alla conoscenza e alla sapienza. Ordinariamente, però, la mente dell’uomo non scorge tutto quello che può dare risposta alle sue grandi domande. Il desiderio di vedere, in tutte le grandi tradizioni spirituali, è sempre legato al sapere e al conoscere. L’uomo però è immerso nelle tenebre. E sperimenta, forse inconsapevolmente, la propria cecità. S’illude di sapere ed è incapace a conoscere. Deve imparare a mettere a fuoco, ad abilitare la propria mente attraverso la concentrazione. Solo così può giungere alla contemplazione. Il raccoglimento è la necessaria preparazione alla contemplazione del Verbo Incarnato, che sarà il dono escatologico, ma è anche suscitato dalla Rivelazione nel tempo presente.
La consapevolezza credente della visione beatifica del Volto del Signore risorto nel Paradiso guida e anima le azioni dei credenti. Sappiamo, nella fede che abbiamo liberamente scelto di seguire, che nei Cieli contempleremo il Signore Gesù Cristo, morto e risorto. La Risurrezione di Gesù è il cuore della fede cristiana. Se non fosse risorto la nostra fede sarebbe vana. La croce è comprensibile solo alla luce della Risurrezione, nella pienezza di questo mistero pasquale che deve alimentare il nostro cammino di credenti, mentre attraversiamo la nostra storia personale e quella dell’umanità che appare, purtroppo, sempre immersa nelle tenebre.
Il riferimento indiscutibile al Mistero pasquale rende la Sindone un “oggetto” estremamente affascinante. Se fosse semplicemente un’immagine di uomo somigliante al Gesù storico, secondo le caratteristiche fisiche che la Tradizione cristiana ci riferisce e il tipo iconografico che dal VI secolo in poi si è andato affermando, non farebbe lo stesso effetto e non provocherebbe lo stesso interesse. A dire il vero essa, da sempre, suscita curiosità e attenzione fra scienziati e ricercatori di ogni tipo, forse soprattutto in chi credente non è, o ritiene di non esserlo. Ed è per questo che è estremamente necessario parlarne in modo corretto, farla conoscere, approfondire, attraverso una seria divulgazione per contribuire a far diradare le nebbie che sembrano avvolgerla. I dati scientifici a disposizione non sono pochi, e dovrebbero essere maggiormente diffusi nelle scuole e nelle parrocchie, ma soprattutto negli ambiti accademici, e non solo quelli teologici, senza eccessivi timori.
La reliquia iconica della Sindone è un grande libro aperto. È un invito a entrare in relazione con il Gesù dei Vangeli e con l’evento centrale del Regno di Dio venuto nella storia, il Mistero Pasquale. Viviamo un tempo, per certi versi semplicemente lo sopportiamo, durante il quale sta avvenendo uno dei passaggi storici più radicali e decisivi che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare, una svolta antropologica. Tutto è come risucchiato in un vortice entro il quale le concezioni mentali e le consuetudini comportamentali, secolari o addirittura millenarie, sono in un profondo travaglio rigenerativo. Cosa può ispirarci questa immagine impressa su un antico telo a noi esseri umani del XXI secolo, che ci troviamo in questo rivolgimento storico-culturale senza uguali?
Tanti studiosi, di ogni materia, complice la fotografia del 1898, hanno studiato le caratteristiche della Sindone, si sono interrogati sulle sue vicende storiche, ma soprattutto hanno cercato di spiegare l’immagine impressa, che mostra il corpo martoriato di un Uomo, e quale sia stata la causa che l’ha prodotta. Quest’ultimo interrogativo non ha ancora trovato una risposta definitiva, ma solo delle ipotesi, più che plausibili. Alla luce delle moderne e recenti ricerche scientifiche, l’immagine impressa misteriosamente sulla Sindone può essere definita Acheropita. È evidente che questa legittima affermazione, tutt’altro che risolutiva, aumenti le domande e, in certo senso, amplifichi le questioni irrisolte.
La gerarchia della Chiesa cattolica è, giustamente, prudente. Con cautela è accorta nel non diffondere temerarie certezze, ma anche sufficientemente convinta nel difendere le incontrovertibili acquisizioni. In tutte le recenti occasioni nelle quali la Sindone è stata mostrata in modo solenne, i Papi sono andati a venerarla. Tantissime persone si sono messe in viaggio per osservarla e contemplarla. C’è chi è stato spinto dalla fede, chi dalla semplice curiosità, chi dalla volontà di conoscere e di capire.
L’uomo ha il desiderio di comprendere le cose, e di vedere con i propri occhi. La domanda fondamentale è quella sul senso della vita, dell’esistenza. L’interrogativo sul perché della morte. La ricerca del senso delle cose è già, di per sé, apertura al mistero, alla fede. I credenti in Cristo sanno, o dovrebbero sapere, che l’itinerario della fede si configura come un cammino iniziatico di rinascita dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito. È l’insegnamento che Gesù propone all’anziano Nicodemo, notturno investigatore di senso e di pienezza. Un uomo che è diventato immagine e metafora dell’umanità in ricerca. Timoroso del giudizio altrui, ma altresì coraggioso nella decisione di incontrare il Maestro di Nazaret, Nicodemo affronta i perigli della notte, gli ostacoli esterni e interiori, le paure che gli impediscono di trovare le risposte alle domande che sono sorte in lui, anche dalla profonda conoscenza delle Scritture.
È Gesù l’incontro decisivo
L’incontro con Gesù apre le porte all’esaudimento del desiderio di conoscere ciò che conta di più, il fondamento, l’essenziale. Un desiderio che, oggi, sembra essersi smarrito. A una umanità sbandata, apparentemente libera, ma assai più ingabbiata di quanto riesca a rendersene conto, la Sindone continua a manifestarsi come un preciso riferimento alla rivelazione storica di Gesù Cristo. In questa società paurosamente complessa, piena di contraddizioni, di conquiste, di vere e presunte libertà, l’immagine dell’Uomo della Sindone provoca numerose domande, ma offre anche alcune significative risposte.
Gesù Cristo si è proposto al mondo come Salvatore, il principio di una Nuova Umanità non più schiava del peccato e della morte. Risorgendo ha indicato al mondo la strada da percorrere. Accogliendo il limite imposto dal peccato, il Cristo sconfigge la morte, riportando l’umanità nella dimensione dell’eternità, e della comunione con Dio. Quando l’uomo prende seriamente coscienza di essere pellegrino e precario, e quando accoglie la provvisorietà della propria esistenza, allora può forse iniziare a rigettare la paura della morte, e a sorridere quotidianamente al respiro della vita. Quando diventa consapevole di essere di passaggio e di vivere all’interno di un passaggio, egli impara a essere sempre pronto alla vita e ad accogliere ogni momento e ogni situazione come un dono.
Se la vita è un passaggio allora siamo totalmente inseriti nella Pasqua. Ed è proprio la Risurrezione pasquale che celebriamo ogni Domenica, nel Giorno del Signore. La Pasqua è il progetto del Cristo, la logica con cui siamo invitati a interpretare l’esistenza. Abitando la dimensione pasquale della vita, la mente e lo spirito umano si aprono all’essenzialità e alla verità.
Il tempo storico che attraversiamo, fluido e ramingo, tecnologizzato, pieno di immagini, offre a tutti la possibilità di conoscere e di vedere la Sindone. Anche in modo approfondito. Sembra quasi che Dio l’abbia pensata – perché se quell’immagine è Nostro Signore Gesù Cristo possiamo dire con certezza che non è capitata su quel telo per un caso – proprio per l’uomo della modernità.
Guardando e contemplando la Sindone, la riflessione va, immediatamente, alla Croce di Gesù Cristo. Le numerose tracce di sangue e la misteriosa impronta umana testimoniano una Passione in tutto simile a quella raccontata dai testi neotestamentari. L’icona del Sabato Santo descrive, con dovizia di particolari, un dolore e una morte devastante. Il corpo del crocifisso, ovviamente, non c’è. Ma la sua assenza diviene, simbolicamente, una inevitabile e continua presenza.
Non si può far finta che quell’immagine non ci sia e non è possibile esimersi dal confronto con i testi sacri.
Le evidenze della Sindone
L’immagine sulla Sindone comunica con un linguaggio immediato. Si propone come testimone autorevole di sé stessa: non ha la necessità di trovare altrove attestati a favore. Descrive una flagellazione, una coronazione di spine, una crocifissione, una morte, una sepoltura. Illustra, con commovente efficacia, molti particolari. Mostra, con evidenza, una ferita al costato, provocata su un corpo ormai defunto.
Attraverso la lettura parallela delle due fonti, il rotolo dei Vangeli e quello della Sindone, e con la mediazione delle numerose fotografie, è possibile entrare in uno straordinario ambito spirituale, contemplativo. È un dono da accogliere. A queste due fonti, poi, vanno aggiunti tutti i dati certi, frutto delle ricerche scientifiche. E allora ci si trova davanti a un insieme di informazioni suggestive, che dilatano lo spazio della riflessione personale.
I dati scientifici sostengono la meditazione spirituale. E questo pone numerosi interrogativi ai paladini di un impossibile rapporto fra l’ambito della fede e quello della ragione scientifica. Sono proprio le scienze che hanno sottolineato anche l’incompatibilità dell’immagine con la pittura e con altre metodologie artistiche e manifatturiere. E sono sempre le scienze che ci confermano la presenza di sangue umano. Queste evidenze, pubblicate da autorevoli riviste specializzate, costituiscono una documentazione disponibile per chiunque abbia il desiderio di approfondire la conoscenza del reperto archeologico più famoso della storia, evidente rimando all’evento centrale dell’umanità: il Cristo Redentore del mondo.
Guardando e studiando la Sindone, quindi, si ha la sensazione, e l’emozione, che diviene progressivamente quasi certezza, di colloquiare con i Vangeli e con Colui che ne è il centro, Gesù Cristo, la vera Buona Notizia, l’autentico e vivente Vangelo della salvezza e della speranza. La reliquia iconica è un rimando al Messia. Lasciamo che quest’immagine, fissata misteriosamente sul lenzuolo reliquiario intriso di sangue umano, parli al nostro cuore, alla nostra mente, alla nostra persona. Lasciamoci emozionare, interrogare, commuovere da quel corpo. Contempliamo con gli occhi della fede e con l’intelligenza dell’umana ragione, l’uomo martoriato, con il capo chino, composto dalla rigidità cadaverica. Ammiriamo quel fisico importante, impegnativo, quella corporalità innegabilmente umana, sospesa fra la vita vissuta e la morte, accertata dall’evidente e impressionante lacerazione al costato dal quale sgorgò il sangue separato dal siero.
Lasciamoci meravigliare da questo telo senza traccia di corruzione e ombra di putrefazione, nel quale nessuna fibra fu alterata dai processi chimici tipici del deterioramento dei corpi. Accogliamo i paradossi della Sindone: l’immagine Acheropita, non fatta da mani d’uomo, simultaneamente svela e nasconde, cela e mostra, ma dà delle risposte, pur continuando ad incrementare il numero delle domande. Essa si propone nella sua costante ambivalenza e nella sua apparente contraddizione, e ci rimanda all’ironico e cordiale atteggiamento con il quale il Cristo dialogò con l’anziano Nicodemo, in una notte oscura, alla luce di fioche fiammelle, mentre rivelandosi suscitava e provocava in lui nuove e più profonde domande.
Pur essendo carica di storia, di scienza, di ricerche, di dibattiti, di analisi, la Sindone sembra leggera. È un semplice lino, resistente, ma pur sempre fragile a causa dell’età. È un lungo pezzo di stoffa di nobile fattura. Pregiata e fragile, come l’esistenza di ogni uomo. Avvolta dalla “leggerezza” dei gas nobili e inerti che la difendono, nella sua teca di conservazione, dagli assalti dell’inesorabile tempo perché non si deteriori. Venne misteriosamente “alleggerita” del martoriato ospite, che di sé lasciò l’immagine sul Telo, per mostrarsi, assente, e per lasciarsi avvolgere dagli sguardi attoniti e meravigliati dei credenti e dei curiosi. Scomparso dal telo, senza che alcuno manomettesse i decalchi di sangue fissati in modo quasi indelebile.
Rileggendo i Vangeli, scopriamo che quello che sappiamo dell’immagine misteriosamente impressa, corrisponde alla vicenda di Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E allora, proprio come i discepoli di fronte ai teli “posati lì” e alla tomba vuota, facciamo l’esperienza della vitalità di Cristo. Egli è in mezzo a noi, è il Vivente, è il Risorto. E il Signore lo possiamo veramente incontrare, presente nella sua Chiesa, nei fratelli e nelle sorelle che incrociamo sul nostro cammino. Lo contempliamo e lo veneriamo nelle immagini solenni che la Tradizione ci ha lasciato in eredità, in particolare quella del primo millennio cristiano, tempo dell’unità di una sola fede e di una sola Chiesa. Ma soprattutto lo adoriamo presente nell’Eucaristia, pane spezzato, sostegno e cibo dei pellegrini.
«Ho visto il Signore!»
La Sindone non può essere considerata, per vari motivi, una prova della Risurrezione di Cristo, ma certamente a essa allude e rimanda. I credenti sanno che il Signore è risorto nel suo vero corpo. Così lo hanno visto i testimoni oculari, che la memoria giovannea tramanda: lo hanno toccato, incontrato, hanno dialogato e mangiato con lui. E noi lo incontriamo ancora oggi nella fede. E lo celebriamo, risorto, nella liturgia.
Affrontando il quotidiano enigma della morte, la sequela del Maestro ci conduce a vivere la Vita nuova in Cristo, ad abitare nella sua Risurrezione, a nutrirci della sua esistenza, nella comunione trinitaria e nella comunione dei santi. Questa è la fede dei cristiani, che non cerca ulteriori conferme, perché forse non ne ha bisogno, ma che, allo stesso tempo, è convinta che anche la materia abbia un rapporto con la fede: è la materia a essere redenta, la creazione ad essere salvata, affinché esprima le conseguenze della trasformazione della storia in atto.
L’immagine sulla Sindone ci rimanda all’Uomo. Il Cristo, l’Uomo nuovo, il Redentore della Storia, l’iniziatore di una umanità rinnovata nel suo Spirito, desidera condurci alla contemplazione di ogni persona umana. E ciascuna persona, può trovare, anche nella Sindone, numerosi argomenti e infinite suggestioni, per approfondire la propria esistenza credente.
Non cerchiamo tra i morti il Signore della vita, ma lo incontriamo risorto in noi e in ogni persona. Anche se proprio l’immagine del dolore che ha voluto sperimentare per la nostra salvezza, ci accompagna e ci impressiona, sappiamo che Egli, il Vivente, mostrerà anche a noi, come all’incredulo Tommaso, i segni della sua morte. E allora gioiremo e lo abbracceremo, certi che anche la nostra sete di conoscenza non sarà stata inutile, ma avrà contribuito a far conoscere al mondo Gesù, nostro unico Signore.
Nell’osservazione e nella contemplazione della Sindone, dunque, al di là di quel morto, è possibile vedere il Vivente. Ogni morte, infatti, non è altro che un passaggio ad una condizione di vita più vera e più piena. L’uomo ha la regale possibilità di realizzare una nuova nascita, secondo l’indicazione che Gesù aveva offerto a Nicodemo, in quel colloquio notturno, pieno di profondità. L’umanità è chiamata a nascere ogni giorno, a convertirsi, a sbucare fuori dalla notte, dalle quotidiane morti, indenne, anzi più viva di prima.
Il Volto di ogni battezzato
Ogni uomo ha la concreta possibilità di sperimentare che, dal sepolcro della storia, dal telo funebre di tutte le nostre storie, sorge il volto ridente e vivente di una umanità finalmente liberata. Il Volto del Risorto che è poi il volto di ogni battezzato. Il Volto del Redentore che invita Maria Maddalena a non piangere dinanzi a Colui che era morto, di fronte a quella imprevista e inaspettata scomparsa.
Dinanzi alla Sindone, anche se attoniti, muti e pietrificati per l’inaudita violenza e l’indicibile cattiveria dell’uomo contro l’altro uomo, e in fin dei conti contro sé stesso, è possibile aprirsi alla speranza e piangere anche di gioia perché in quella grotta non c’è più alcun morto. La terribile morte è stata sconfitta, definitivamente, universalmente, totalmente. Cristo è vivo e io sono già vivo con lui. Per questo non dobbiamo più cercarlo tra i morti.
L’affascinante studio della Sindone, quindi, non deve e non può fermarsi solo ai dati oggettivi. Essa è sempre un rimando, un mezzo, che conduce a Cristo.
Il Volto di Dio si lascia vedere nella storia, in quello di Gesù. Contemplando il Volto del Cristo l’uomo scopre sé stesso. Ed è liberato dalla deformazione, dalla deturpazione, dalla omologazione e dall’insignificanza. È un Volto nel quale non ci si perde e non ci si annulla, ma in cui ci ritroviamo. Come in uno specchio appare finalmente il Volto della Nuova Umanità.
Nel Volto del crocifisso Risorto contempliamo i volti di tutti i dimenticati, di tutti i traditi, di tutti coloro che sono stati vittima dell’odio cieco della folla, della sete di potere e dell’avidità del mondo. Di tutti i disprezzati, di tutti i torturati.
E nel punto più basso della chenosi e dello spossessamento di sé, la Risurrezione ha spezzato e ha travolto le porte della morte e dell’inferno. Al di là della morte, la disperazione si trasforma in speranza. Essere cristiani è scoprire che nel buco nero del proprio male c’è il Volto del vivente, che ci aspetta e si interpone tra noi e il nulla: il Dio incarnato, torturato e Risorto, sfigurato e trasfigurato, che ci accoglie e ci libera. Un Volto nel quale la morte muore.
Il suo Volto, e anche il nostro, è per sempre l’icona vivente dell’Amore, di un amore senza limiti, folle. Il Volto dell’Uomo della Sindone, verosimilmente il volto stesso di Cristo, colto tra la morte e la Risurrezione, è segnato dalla morte per amore. Un amore vincitore della morte. Quel volto segnato dalla morte è la sorgente stessa della luce. E il luminoso Volto del Risorto rivolge a ciascuno di noi un invito a prendere coscienza di un’esistenza. E sembra dirci: Tu sei, tu sei vivo, vivente, ora, per sempre.