Nasce “Belos“, una nuova collana dedicata ai classici, a cura di Beatrice Savino, docente di Lettere classiche negli istituti superiori.
Come mai? Qual è il significato del nome? Cosa si nasconde dietro questa grafica nera come l’ossidiana? Perché Edipo re e Antigone sono i primi titoli scelti? Ne abbiamo parlato con lei.
Com’è nata l’idea di questo progetto?
Questo progetto è nato dall’idea di rendere una traduzione poetica fruibile a tutti; avere una serie di classici, che sono classici del cuore, che possiamo leggere in una traduzione bellissima, non usuale, che mette insieme la poesia antica con la voglia di imparare cose nuove. Un progetto che vede anche le bellissime introduzioni di specialisti del settore come Cristina Dell’Acqua e Silvia Stucchi, delle vere addette ai lavori che riescono ad appassionare tantissimo e a veicolare il messaggio profondo che c’è dietro a questi testi davvero immortali.
Perché proprio “Belos”?
“Belos” è il dardo, quello che ti colpisce. È una parola omerica, una parola importante, guerresca. Ci piace l’idea che questi libri compaiono un po’ “guerreggiando” tra le varie edizioni sul mercato e si facciano valere, ma soprattutto che entrino nel cuore, perché “belos” è anche questo: quel dardo che arriva, ti trapassa, ti colpisce e a cui non puoi rimanere indifferente.
Anche il progetto grafico si discosta dalle edizioni presenti sul mercato…
Sì, copertine diverse dove si riconosce immediatamente l’impronta classica data dalle foglie di ulivo del lettering ma, allo stesso tempo, uno sguardo più contemporaneo.
L’ulivo era il simbolo sacro di Atene, quindi della Metis, dell’intelligenza viva e pura che ci attraversa, ma è anche il simbolo di qualcosa di imperituro, perché l’ulivo sacro non è soltanto il simbolo della Dea Atena, ma è anche e soprattutto un simbolo di resilienza: l’ulivo c’è ancora, è sull’Acropoli, io ne conservo ancora qualche fogliolina nel mio portafoglio, data da mio papà Ezio Savino (ndr classicista, traduttore delle prime opere di Belos). Ricordo che quando l’abbiamo raccolto insieme mi ha detto: «Vedi, questo ulivo è qualcosa che non muore mai. Nemmeno quando sono arrivati i persiani nel 480 a. C e hanno dato fuoco ad Atene. Nella devastazione l’ulivo è rimasto». È un simbolo di resilienza ed è il simbolo della nostra copertina, con l’auspicio di far rimanere questi libri, queste parole, oltre il tempo e gli ostacoli. Una traduzione grafica dell’idea di fondo: un’unione di classico e attuale.
Ci racconti qualcosa di Ezio Savino?
Ezio Savino era uno studioso, un vero classicista, viveva pensando che il greco fosse tutto, «Il greco è tutto» era proprio la sua frase preferita. Ha cominciato giovanissimo a tradurre testi letterari greci iniziando, a soli ventiquattro anni, con la Guerra del Peloponneso di Tucidide. Da lì ha poi tradotto Sofocle, Euripide, Eschilo, i Lirici… ha passato tutta la sua vita traducendo. L’ultima sua fatica è stata una nuova traduzione integrale dei Lirici greci, uscita poco prima che mancasse. Durante gli ultimi suoi giorni mi ha dettato l’indice dicendo: «Se scrivi male il greco ti taglio le mani». La precisione testuale era una cosa importantissima per lui.
È stato anche un bravissimo giornalista, ha collaborato per tantissimi anni a “il Giornale”, ed è stato co-fondatore della rivista gloriosa “Poesia” dell’editore Crocetti.
È stato anche un insegnante eccezionale. Insegnava al Liceo Omero di Milano, periferia di Bruzzano. Ancora esiste un liceo Omero che vive in quei pochi studenti, nelle poche classi della zona di Niguarda, in cui ancora campeggia grandissima all’ingresso la sua frase: «Il greco è tutto». Ed è così, una frase che dovrebbe arrivare dappertutto, non soltanto nei centri di cultura dove la bellezza è scontata, ma soprattutto dove la bellezza deve ancora fiorire, nei posti lontani. Avrebbe potuto scegliere qualunque tipo di liceo e andare a insegnare in qualunque università, ma non ha mai voluto perché diceva che quella era la sua frontiera, lì doveva arrivare la cultura, non soltanto nelle scuole gloriose del centro di Milano. Lui aveva fatto il Parini, dove gli avevano detto: «Questo ragazzo non è adatto al liceo classico». Lui credeva soprattutto nei ragazzi che “non sono adatti al liceo classico”, per questo è stato un grande insegnante.
Vuoi raccontarci qualche aneddoto?
Sì, tutta la nostra vita insieme, il nostro lungo ma brevissimo viaggio insieme, è stato sempre improntato all’idea della classicità, del greco, di quello che questi grandi maestri potevano insegnare.
Un giorno abbiamo deciso di scoprire quanto spazio potesse prendere l’intera Iliade stampata su modulo continuo: l’abbiamo stampata tutta e abbiamo cominciato ad attaccarla alle pareti della mia camera per vedere l’ingombro fisico dei versi su cui sia io che lui avevamo studiato tantissimo. Poi abbiamo visto che ci stava anche l’Odissea e, perché no, mettiamola! Quando abbiamo finito, ci siamo resi conto che tutta la mia stanza, soffitto compreso, era costellata di avventure e versi meravigliosi. Lui mi diceva: «Guarda Bea, qualunque difficoltà della vita ti possa capitare alza lo sguardo, gira a destra, gira a sinistra, guarda per terra: c’è Omero vicino a te». Ed è così, è sempre vicino a me in tutti i modi. Questo è un aneddoto che dice tantissimo di lui.
E poi citava versi di Sofocle per fare le cose più normali. Non funzionava la pompa della benzina? «Caso equilibra, caso sbilancia», un verso dell’Antigone detto dal messaggero che racconta appunto la tragedia di Antigone che è andata contro a un divieto, e prima di raccontarla ci dice: «Caso equilibra, caso sbilancia», chi capita bene, chi capita storto. Ed è così nella vita.
Hai altri esempi di traduzioni particolari che ritroviamo solo nelle sue opere?
Sì, tantissime. C’è una traduzione di una parte dell’Antigone che è forse lo snodo fondamentale dell’opera in cui dice che lei è nata per amare, e la a sua natura è una natura d’amore. Mio padre fa dire ad Antigone : «Non nodo d’odio, nodo con i miei è la mia essenza». Antigone spiega che per lei l’amore è più forte della legge e l’appartenenza alla sua famiglia, ai legami che contano è ciò che davvero regge la sua vita e le sue scelte. Sarebbe stato molto più facile tradurre, come fanno in tanti: «Ma io sono nata per amare, non sono nata per odiare», e invece lui ti dice che l’amore è un nodo, è un nodo bellissimo da cui non ci si vuole sciogliere, nemmeno quando arriva il nulla che decide tutte le cose come dice Antigone in un’altra sua bellissima traduzione: «L’invisibile riequilibra tutto». È la legge di Ade, del nulla, che arriva, avanza, ma non distrugge proprio tutto. Queste traduzioni sono voci che arrivano da un’altra dimensione, la quarta, quella del mito.
Perché hai scelto Antigone ed Edipo Re come primi volumi?
Perché sono le tragedie più tragiche di tutte. Edipo Re è la tragedia dell’uomo che conosce tutto, sa gli enigmi della Sfinge però non riesce a decifrare sé stesso. C’è qualcosa di più tragico di questo? Penso di no. Lui cerca tantissimo la verità e quando la trova è una verità che lo distrugge. E questo è il vero senso della tragedia: il cercare sempre la verità, pensare di avere delle risposte, ma non conoscere a fondo il proprio cuore. È una tragedia che dice tantissimo anche all’uomo moderno, all’uomo di oggi.
Per quanto riguarda Antigone, è una tragedia che ci insegna l’amore, ci insegna che esistono delle leggi che Ezio Savino traduce come «leggi non scritte», leggi non di un’ora, non di un giorno. Quelle del cuore sono leggi che valgono per sempre, vanno oltre qualunque cosa, perché sono più forti di tutto. È la logica di Antigone che si autodefinisce una devota fuori legge. Bisogna essere così, devoti fuori legge che rispettano molto devotamente quelli che sono gli imposti del cuore.
Se potessi fare una chiacchierata con un personaggio della mitologia greca, chi sceglieresti e perché?
Allora, sono tanti i personaggi che sceglierei. A me piacciono le figure dimenticate del mito, le figure un po’ a lato, ad esempio Ismene, la sorella di Antigone, che all’inizio le chiede cosa può fare per lei – che non può fare molto, solo filare, cucire… Questo è un modo di dire greco: «Si può fare poco e niente». Ismene vorrebbe aiutarla, prova un pentimento tardivo. Ecco, io le chiederei com’erano i giochi da bambina con Antigone, quali erano i suoi ricordi di Edipo come papà; non deve essere stato facile vivere sentendo il peso del destino. Il poeta greco Ghiannis Ritsos riporta in vita queste figure in Quarta dimensione e fa dire a Ismene che Antigone regolava tutto “si deve o non si deve”; Antigone era così: nel suo cuore non c’erano mezze misure, non lo spazio di una possibilità. Si deve seppellire un fratello anche se fuorilegge, non si deve obbedire alle leggi che violano il vincolo dell’amore e del sangue. Credo che questa Ismene così lucida ci abbia regalato un’immagine giusta della sua granitica sorella.
Queste sono le figure del mito che mi piacciono di più, quelle che rimangono ai margini ma fanno la storia.
Se invece ricevessi una profezia in stile Edipo Re sul futuro di questa collana, cosa spereresti che ti dicesse?
Allora, se l’oracolo mi parlasse, sicuramente lo farebbe in modo ambiguo, ma mi direbbe che avendo come titolo Belos, una parola che va dritta al punto come un dardo, la collana si incuneerà molto bene nei cuori di tutti.
Se ti trovassi nei panni di Antigone, quale legge infrangeresti oggi per difendere i tuoi ideali?
Io, come Antigone, sono convinta che al centro e al cardine di tutto ci sia l’amore, che è l’amore anche per il prossimo o l’amore per la cultura. Infrangerei tutte quelle leggi che mettono dei paletti ingiusti al volersi bene e al vivere con equilibrio.
Un saluto in greco per i nostri lettori?
Γειά σου (YAH-soo), in greco moderno!
Dobbiamo essere dei devoti fuori legge come Antigone e ricordarci che «Caso equilibra, caso sbilancia».
Direi che questo è sufficiente: «Il greco è tutto e tutto è il greco».
Alessia Soldati