carteggio inedito buzzati e cavalleri

Ultimi giorni del dicembre 2022.

Cavalleri era pronto “al grande salto”, così aveva definito la morte su “Avvenire” congedandosi dai suoi lettori poche settimane prima. Ricordo poco del nostro ultimo colloquio. Sembrava piccolo nelle lenzuola, con i regali degli amici intorno al letto. Aveva un filo di voce, pregava il rosario in latino, tendeva ad assopirsi, ma quando si risvegliava era quello di sempre, affilato e lucido come un diamante. Diceva di pensare agli angeli.
Era tranquillo sul futuro della casa editrice e aveva voluto controllare le bozze dell’ultimo fascicolo dell’anno di “Studi cattolici”, anche se era dispiaciuto di non avere più forze per l’editoriale. Mentre parlavamo gli chiesi se ricordasse dove fosse la dedica autografa (nell’inconfondibile inchiostro verde) di Ungaretti alle poesie di Un grido e paesaggi. Me ne aveva parlato tante volte e, ovviamente, ricordava la posizione esatta del libro in Ares. Lo scaffale “Ungaretti” aveva un posto privilegiato tra il Pantheon degli autori prediletti, vicino a Montale, Pound, Saint-John Perse, Flaiano, Rimbaud, Quasimodo, Raboni, Corti, Neri Pozza e Buzzati. Dopo avermi risposto, gli chiesi quale destino volesse per i suoi libri e le sue carte. Mi sorrise e disse: «Pensaci tu».

Dopo la sua morte, avvenuta il 28 dicembre, festa dei Santi Innocenti, trasferimmo così i tanti faldoni del suo archivio in Redazione. È un materiale prezioso, ricchissimo, che richiederà molto tempo per essere studiato e valorizzato a dovere. C’è il “fior fiore” della sua corrispondenza (tra i tantissimi, si leggono i nomi di Afeltra, Andreotti, Biffi, Caproni, Ceronetti, La Pira, Mary de Rachewiltz, Mattioni, Pampaloni, Spina, Pomilio, Neri…), ci sono i diari, gli appunti delle conferenze, le bozze dei libri, le raccolte delle recensioni. Ma aprendo i primi scatoloni le sorprese si sono aggiunte alle sorprese. Cavalleri adorava il bricolage e spesso dedicava il fine settimana alla creazione dei suoi “libri immaginari”. Libri “del cuore” fatti con i ritagli di giornali degli scrittori preferiti. Sono libri d’arte di cui preparava la copertina, le illustrazioni, così come l’indice e le didascalie. Tra questi non poteva mancarne uno dedicato a Dino Buzzati, anzi sono più d’uno, come raccontava lo stesso Cavalleri su “Studi cattolici” nel gennaio del 1973:

Da quando ho l’uso di ragione… (cioè dall’età di circa sedici anni, che è quando un ragazzo sufficientemente precoce smette di sprecare tempo ed energie per dimostrare a sé stesso di essere diverso dagli altri), ho raccolto in album rilegati tutti gli articoli di Buzzati che di volta in volta mi era dato di incontrare: quelli del “Corriere”, pertanto, ci sono quasi tutti… Quando una volta Buzzati vide i miei album ne rimase “lusingato” (era una parola che usava spesso), si meravigliò di ritrovare articoli ci cui aveva perso il ricordo, perché Buzzati (in questo giornalista più che scrittore) dimenticava rapidamente ciò che aveva scritto…

Tra gli album Buzzati ce n’è uno del 1958 di particolare importanza: è un quadernone rosso, in copertina una veduta della Salute di Venezia di Kokoschka, «squillante di colori», come si legge nell’essenziale colophon redatto da Cavalleri. Il titolo del frontespizio è in corsivo rosso: 13 novelle. Il sottotitolo è composito: ed una recensione di Dino Buzzati con un’intervista di Alberto Cavallari. La sorpresa arriva all’ultima riga del frontespizio: ed un autografo. A p. 45 del “libro” c’è infatti una splendida lettera di Buzzati che è un’autentica dichiarazione di poetica. Ma procediamo con ordine.
Il 2 febbraio 1958 – il giorno successivo alla vittoria di Nel blu dipinto di blu al Festival di Sanremo – il 21enne Cesare Cavalleri scrive a Buzzati, il suo autore di riferimento. È una lettera “spregiudicata” (scritta a macchina, perché sapeva quanto la sua grafia fosse indecifrabile) che contiene in nuce quel Cavalleri che diverrà una delle voci più libere (e temute) della critica letteraria del Secondo novecento. C’è l’ammirazione verso un maestro, ci sono persino le riserve verso certi finali “dilettanteschi” e ci sono quattro righe che magnificamente compendiano la ricerca letteraria di Buzzati.

Egr. Signor Buzzati,

La considero fra i miei autori preferiti,

Il preferito, forse, per quanto per ora abbia letto soltanto Il Deserto del Tartari e le novelle che va pubblicando sul “Corriere”. Mi piacciono molto, le sue novelle, ne ammiro i pregi e ne giustifico i difetti (certi finali, ad esempio, un po’ deludenti, se mi permette dilettanteschi, quasi, qualche volta, ma quasi necessari, messi lì per mascherare una qualche inconfessabile, terribile realtà che può comprendere lei solo. Intendiamo, non verità inconfessabili per motivi di pudore o di moralità, perché del suo senso morale sono molto sicuro, ma comunque terribili, da spaventare il lettore.)

Ecco, la distaccata partecipazione al lettore di misteriose verità, in atmosfere allucinate; certi ritratti di Venezia che richiamano l’incanto stravagante ed impetuoso dei quadri di Kokoschka: tutto questo mi piace.

Ho l’abitudine di conservare le novelle sue per me migliori, di ritagliarle dal giornale e di raccoglierle in volumetti che mi sono molto cari. È appunto riordinando i miei ritagli che mi sono accorto in questi giorni di aver perduto, non so come, una novella che mi aveva particolarmente colpito, e di cui non riesco a ricordare il nome. Dev’essere stata pubblicata la scorsa estate (luglio?). Parlava di un sacerdote che aveva smarrito la nozione del tempo, ed ogni suo atto gli occupava un tempo sempre maggiore. Cominciava con una Messa di tre ore, e terminava con una parola di orazione (Ave?) che gli occupava tutta la giornata. La novità del soggetto e l’abilità del racconto, mi avevano entusiasmato, e poi mi sto accorgendo che un fatto quasi uguale sta accadendo quasi a me, per quanto molto giovane ancora io sia (ho ventun anni).

Perché le ho scritto? Per chiederle se vuol essere tanto gentile da dirmi il titolo di quella novella, e quando è stata pubblicata, per chiedere il numero arretrato del “Corriere” (sperando che ci sia).

Io la ringrazio molto, le esprimo tutta la mia ammirazione, e spero che mi possa accontentare.

Dev.mo Cesare Cavalleri

Chissà se uno scrittore di successo di oggi si prenderebbe la briga di rispondere alle richieste di uno sconosciuto 21enne di provincia… Sia quello che sia, Buzzati, che aveva alle spalle opere come Bàrnabo delle montagne, Il segreto del Bosco Vecchio, Il deserto dei Tartari e che si apprestava a vincere proprio nel 1958 il Premio Strega con i Sessanta racconti, risponde con il silenzio. Nessun cenno al giovane ammiratore. Ma Cavalleri, segno zodiacale Scorpione, e quindi portato alla tenacia e alla passione, non si arrende. (Buzzati era invece Bilancia e quindi, come suggeriva Cavalleri: “sensibile fin quasi alla morbosità, disponibile anche ai compromessi pur di raggiungere un equilibrio”). Cavalleri, dicevamo, non si scoraggia e il 23 marzo torna a pestare i tasti della macchina per scrivere:

Egr. Sigr. Buzzati,

Le scrissi, tempo fa, chiedendole il titolo di una sua novella, ma lei non mi ha risposto.

Fa sempre così, o è perché non ha tempo? Perdoni se le scrivo ancora. Noi lettori crediamo di avere degli amici nei nostri autori preferiti, e ci troviamo mal disposti (sprovveduti) a queste piccole delusioni.

Credo di sapere cosa sia la sincerità dello scrittore: indubbiamente lo scrittore è sincero, mentre scrive, crede davvero alle cose che dice. Però, non sempre pensa così come scrive. Non che ci siano grandi fratture tra lo scrittore-che-scrive, e lo scrittore-che-va-al-cinema: comunque una certa differenza c’è. Ecco perché la personalità dello scrittore così come la si può ricostruire dai suoi libri è sempre un po’ diversa dalla vera, e sovente ne rappresenta una idealizzazione.

Noi lettori ci facciamo amici di questa immagine, e crediamo di farci amici anche dello scrittore, che ad essa più o meno coscientemente tenta di adeguarsi.

Non so perché nuovamente le ho scritto: comunque le ho scritto.

Questa volta il dardo va a segno. Il 24 marzo 1958 Buzzati risponde con la sua grafia limpidissima e su carta intestata del “Corriere della Sera”. È una lettera breve, ma toccante nella sua sincerità. L’uomo si mette a nudo e racconta il mistero dell’uomo:

Egregio Signor Cavalleri,

            perché non le avevo ancora scritto? Per la mia pigrizia epistolare. Mi scusi, se può, La sua lettera me la portavo sempre in tasca, ripromettendomi di rispondere all’indomani, sempre all’indomani. Comunque, la ringrazio delle parole così lusinghiere. E le do pienamente ragione circa la differenza fra X che scrive e X che va al cinema, differenza evidentemente solo esteriore (se X scrivendo è sincero) ma ciononostante impressionante. È anzi, questa, una incongruenza di cui alle volte sono tentato di vergognarmi. Quando penso al mio lavoro, mettiamo, mi commuovono motivi elevatissimi; un minuto dopo accendo la sigaretta e la mente corre dietro al nodo della cravatta, o peggio. Eppure questo è l’uomo, meravigliarsene è sbagliato, e guai, forse, se non fosse così.

            Tutto questo non per giustificarmi. La autorizzo, per quanto mi riguarda, a pensare tutto il male possibile (e forse non andrà tanto lontano dalla verità) sull’uomo.

Dino Buzzati

(Copyright Eredi Buzzati. Per gentile concessione. Published by arrangement with The Italian Literary Acency)

A stretto giro di posta, il 26 marzo, Cavalleri replica, felicissimo:

Egr. Sig. Buzzati.

La ringrazio infinitamente per la novella che mi ha mandata, e per le gentili parole con le quali ha voluto accompagnarla. Davvero non meritavo tanto!

Adesso mi trovo un po’ imbarazzato perché sono stato un po’ impertinente, ma è propriamente dei timidi dimostrarsi, per lettera, un po’ aggressivi.

Mi perdoni, dunque, ed accetti, con rinnovati ringraziamenti e mille scuse, la mia incondizionata ammirazione.

Dev.mo Cesare Cavalleri

Per la cronaca, la novella “mancante” inviata era L’accelerazione e fu inserita a p. 11, proprio in apertura del quadernone rosso approntato da Cavalleri nell’aprile di quell’anno. Gli altri racconti erano Al caffè letterario, Première, Un caso misterioso, Che imprudenza, Il pioniere, Il razzo lunare, Passeggiata col sindaco, Il segreto dello scrittore, La casa stregata, Ci scrivono dall’inferno (recensione), L’erroneo fu, La scomunica, L’umiltà.

Cavalleri ammirò sempre l’arte di Buzzati che definì “un intagliatore di diamanti” (anche se non gli perdonò Un amore): nella parete di fronte alla sua scrivania incorniciò un altro autografo di Buzzati, una semplice scritta (“Va bene così? Arrivederci”) con cui lo scrittore aveva accompagnato un articolo (1970) per “Studi cattolici” sul ruolo dell’intellettuale durante e dopo la contestazione giovanile. Cavalleri volle quell’autografo vicino ad altri due “cimeli” storici, come le firme di Eliot e di Quasimodo. Due premi Nobel. In quella posizione Buzzati non era da meno.

Alessandro Rivali