dietro le quinte di irene nemirovsky di cinzia bigliosi

Tutti conoscono Irène Némirovsky e, soprattutto, il suo capolavoro Suite francese. Ma non tutti sanno che la traduttrice in Italia per Feltrinelli, Cinzia Bigliosi, ha avuto l’opportunità di conoscere e incontrare più volte la figlia di Némirovsky, Denise Epstein. Siamo felici di annunciarvi che la collana dei Profili Ares si arricchisce con la prima monografia critica dedicata a quest’autrice degli anni Trenta e scritta proprio da Cinzia Bigliosi. Abbiamo fatto una chiacchierata con l’autrice: siete pronti a scoprire tutti i dettagli dietro questa nuova uscita?

Tra Irène Némirovsky e la figlia Denise Epstein: lo sguardo di Cinzia Bigliosi

Tu hai conosciuto e incontrato più volte Denise Epstein, figlia di Irène Némirovsky: come siete venute in contatto?

Le ho scritto una lettera e Denise mi ha mandato un’e-mail due giorni dopo, dicendo che era più semplice scriverci delle e-mail e, soprattutto, darci del tu.

Sarai stata emozionata…

Moltissimo, ma già ero emozionata nello scrivere la lettera. Devo dire che ci ho messo giorni e giorni perché cercavo le parole giuste. Ho stracciato non so quanti fogli di carta di Amalfi perché mi sembrava che la calligrafia, e soprattutto le parole scelte, non fossero adeguate alla persona. Quindi sì, grande emozione.

Che effetto fa incontrare dal vivo la figlia di una scrittrice che ammiri?

È la prima volta che mi capita e probabilmente credo che sarà l’ultima, nel senso che non è una situazione così frequente. Con Denise è stato meraviglioso perché era una persona che metteva a proprio agio, molto simpatica, molto determinata, molto sicura. E quindi sì, è stata una grande emozione ma anche un’occasione umana, devo dire, a prescindere dal legame tra la scrittrice e la figlia.

C’è un ricordo particolare dell’amicizia con Denise che conservi nella tua memoria?

È un ricordo nebuloso. Siamo state diversi giorni a Tolosa a chiacchierare e a parlare della madre. Denise fumava tantissimo e mi ricordo la quantità di sigarette e caffè: i caffè li abbiamo condivisi, mentre le sigarette le ho fumate per fumo passivo.

Ti ha mai regalato un oggetto, qualcosa che apparteneva a Irène Némirovsky?

No, anche perché Denise aveva potuto conservare poco che fosse appartenuto alla madre. Tutto o quasi era andato perduto, e si salvarono solamente qualche foto e la famosa valigia con la quale sono stati trasportati i manoscritti e le pellicce. In seguito questa valigia è stata anche esposta nelle mostre di Parigi e New York. Oltre a questo, credo che sia rimasto poco, perché quando furono arrestati i genitori di Denise, Irène Némirovsky e il marito Michel Epstein, il loro appartamento a Parigi fu svaligiato. Denise mi raccontò – e lo racconta anche in un libro di memoria che si chiama Sopravvivere e vivere – che quando tornò a visitare la portinaia del palazzo dove aveva vissuto con la famiglia, si accorse che c’erano dei vasi dei genitori nel suo salotto, cosa che capitava in modo abbastanza regolare. Per fortuna salvò una collana che portava al collo e che si vede in diverse foto della madre.

Com’era il rapporto tra Denise e Irène Némirovsky?

Credo molto buono. Chiaramente quando Denise ha perso i genitori era un’adolescente che ha dovuto fare i conti con la grande storia e soprattutto con il fatto che aveva una sorella piccola da proteggere, paradossalmente. “Paradossalmente” nel senso che lei stessa era da proteggere. Mi ha raccontato dei ricordi molto belli, molto teneri, come l’ultimo saluto prima che i genitori venissero arrestati il 13 luglio 1942, quando la famiglia si mise in cerchio, come in una consuetudine ebraica. In quel momento ripercorsero col pensiero la loro origine e purtroppo il motivo dell’arresto, e si dissero delle parole che Denise non condivise mai con nessuno.

Nel libro che hai dedicato a Irène Némirovsky, scrivi che Denise e sua sorella avevano una sorta di rabbia mista a rancore, ripensando a come entrambi i genitori le avessero in qualche modo abbandonate. Sai se Denise ha fatto pace con il passato e con questo sentimento?

In realtà il “rancore’’ era un sentimento che apparteneva forse più alla sorella Élizabeth; infatti, in un’intervista dice esplicitamente che non era riuscita a perdonare la madre per non essersi accorta di quello che stava succedendo. Credo che Denise abbia fatto percorsi diversi. Irène nascondeva i giornali e le notizie al marito per non spaventarlo, tanto che Denise arrivò a chiedersi se la causa non fosse un sentimento di noncuranza rispetto alla Storia, una forma di condanna, oppure una distrazione di qualcuno che è totalmente immerso nella scrittura e non fa i conti con la realtà all’esterno. Denise più che rabbia aveva un senso di abbandono, derivato dall’arresto dei genitori.

Irène è una figura complessa: donna ebrea russa ma francese per cultura, scrittrice e vittima delle leggi razziali. Qual è il tratto che più di tutti la definisce?

Scrittrice, senz’ombra di dubbio: il suo essere scrittrice. Irène ha scelto di essere una scrittrice non abbandonando fino a qualche ora prima dell’arresto il suo quaderno sul quale, per nostra fortuna, ha appuntato e scritto quello che ci è arrivato di Suite francese, ovvero i due capitoli che è riuscita a completare. Pochi mesi prima dell’arresto, in una lettera al suo editore ammette di essere consapevole di scrivere per i posteri, certa di essere condannata. Credo che in quel momento molti intellettuali non hanno voluto rendersi conto o non si sono capacitati  di quello che stava succedendo fino in fondo. Penso a Walter Benjamin, che prova ad andarsene quando è troppo tardi, o a Stefan Zweig, che nella fuga decide di suicidarsi. Insomma, credo che un’immersione talmente profonda in quello che stava succedendo impedisse di comprendere la realtà, un po’ come accade con La lettera rubata di Edgar Allan Poe. Irène stessa ammette di rimanere ferma a guardare che cosa la Francia stesse combinando: non credeva fino in fondo che proprio la Francia la condannasse, cosa che invece è accaduta, tanto che la lettera di delazione arriva da un francese.

Cosa rende Némirovsky così rilevante per i lettori di oggi?

Qualcosa che Irène ha dichiarato, scritto e studiato. Negli ultimi quaderni di appunti dove lavorava al romanzo Suite francese dice che dovrebbe concentrarsi meno sui fatti storici e più sui sentimenti dell’uomo, che sono qualcosa di eterno. Effettivamente, se pensiamo ai grandi classici, essi rimangono tali e continuano a parlarci perché non ci interessano tanto le guerre in cui erano coinvolti i personaggi, ma come questi si rapportano all’odio, all’amore, al fratricidio, al matricidio, sentimenti che vengono scavati nell’emozione e nell’emotività. Tra l’altro, Irène stessa era una grande amante dei classici. Da giovane, quando rimase bloccata in Russia durante la rivoluzione bolscevica – prima di riuscire a partire per la Finlandia e poi arrivare in Francia –, ha l’occasione di leggere a tappeto tutti i libri che contiene la casa che il padre ha affittato. Da qui deriva la sua grande cultura classica.

Chi erano i suoi preferiti?

I grandi classici moderni. Irène cita costantemente Cechov, Tolstoj, Maupassant, Flaubert, grandi autori a cui si rifà. Non a caso, quando nel 1929 viene pubblicato David Golder, il primo romanzo che le dà il successo di pubblico e di critica, c’è chi parla di un romanzo addirittura balzachiano.

Da quale libro consiglieresti di partire a chi si approccia per la prima volta a Némirovsky?

Per affezione direi di fare quello che migliaia di lettori hanno fatto, ovvero partire da Suite Francese. È uno dei momenti più alti della letteratura di Irène, contiene moltissimi dei suoi temi principali e ha il fascino dell’opera incompiuta.

Se potessi rivolgerle una domanda, quale sarebbe e perché?

Io voglio sapere che fine fa il gatto Albert in Suite francese, e, naturalmente, conoscere la trama generale di Suite Francese, come avrebbe voluto chiudere questo enorme, immenso romanzo. È come leggere un giallo di cui non sappiamo il finale, dunque si rimane con l’amaro in bocca, soprattutto perché il romanzo non è stato concluso a causa dell’assassinio dell’autrice.

E qual è invece il tuo libro preferito di Irène Nemirovsky?

Forse quello a cui sono più affezionata è Come le mosche d’autunno. Poi c’è l’immenso Suite francese.

Secondo te se Irène potesse tornare indietro nel tempo, farebbe qualcosa di diverso?

Io penso di sì perché lo dice lei stessa. Quando si rende conto che il nazismo è fuori controllo e iniziano ad arrivarle le notizie più tragiche, ammette che se avesse potuto prevedere ciò che accadde, nei suoi romanzi avrebbe trattato gli ebrei in modo diverso. Naturalmente, io credo che avrebbe fatto un torto alla sua opera, ma Irène ha saputo dimostrare che anche nel momento in cui accantona l’ambiente ebraico e mette in scena delle famiglie borghesi francesi il suo sguardo non perde né lucidità né ferocia e la sua penna non è di certo più morbida.

Vorrei concludere questa chiacchierata presentandoti un’emozione e chiedendoti a quale situazione la assoceresti nella vita di Iréne. L’emozione che ho scelto è la paura. Cosa associ a Irène pensando alla paura?

La traversata che fece per arrivare in Francia, lo dice lei stessa. Durante un’intervista le fu chiesto se avesse mai conosciuto la paura. Inizialmente rispose di no, ma poi rivelò che aveva avuto paura a causa di una violenta burrasca di mare scatenatasi durante la traversata. Dopo questo episodio Irène rimase innamorata del mare, tanto che era solita andarci con le figlie e il marito in vacanza, ma non mise mai piede in acqua per il terrore.

Alessia Soldati
a cura di Greta Rocco