Guy de Maupassant (1850-1893), uno degli scrittori più celebri della letteratura francese del XIX secolo, conosciuto soprattutto per il romanzo Bel-Ami, è stato un maestro della narrativa breve, noto per il suo stile realistico e per le sue storie che esplorano temi come l’avidità, la follia, l’amore e la fragilità umana. Silvia Stucchi, docente di Lingua latina e Letteratura latina presso l’Università Cattolica di Milano e nei licei, ha raccolto sei racconti di Maupassant nella nuova uscita per Ares Racconti in nero. In comune una delle ambientazioni preferite dai romanzieri dark: il cimitero. Continua a leggere per scoprire di più.
Dietro le quinte di Racconti in nero di Guy de Paupassant, a cura e traduzione di Silvia Stucchi
Una nuova traduzione di Maupassant. Come mai i Racconti in nero?
“Come mai una nuova traduzione” e “come mai proprio i Racconti in nero” sono due domande che hanno in fondo la stessa risposta. Per prima cosa, perché è vero, di traduzioni di Maupassant ce ne sono tantissime, però mi sembra di poter dire che si apprezzano di più i racconti che toccano una stessa tematica quando li si legge in una traduzione che sia per tutti contemporanea e anche fatta dalla stessa mano, per dare un registro e un tono uniforme alla raccolta.
Racconti in nero perché Maupassant è, se posso dire, il dio del racconto. Le novelle di Maupassant sono tutte bellissime, e consideriamo che ne ha scritte a centinaia, pubblicate da subito in volume, sui giornali, pubblicate col suo nome o sotto pseudonimo, e in tutte c’è veramente il guizzo del grande narratore. E una delle tematiche che più gli sono congeniali, insieme all’amore, la vita militare e l’orrore, è quella del racconto cimiteriale.
Qui ho raccolto sei racconti che hanno appunto come caratteristica in comune l’ambientazione in un cimitero; toccano sei sfumature diverse del tema, sei topoi differenti, che ho cercato di legare con un’introduzione che non sia semplicemente di tipo cronologico e contenutistico: ho infatti provato a tracciare una storia della poesia e della letteratura cimiteriale, che per noi italiani, in fondo, è qualcosa di estremamente familiare. Tutti a scuola abbiamo studiato i Sepolcri di Foscolo, ma in realtà è una tematica che è trasversale a tanti generi e che arriva fino ai nostri giorni.
Pensiamo, per esempio, alla Totentanz, la Danza Macabra che compare in varie forme in Dylan Dog di Tiziano Sclavi; oppure pensiamo alle geniali parodie dei Monty Python sul tema della Morte come “tristo mietitore”, per esempio, ne Il senso della vita. In realtà questo libro è nato anche rivedendo per l’ennesima volta un film molto famoso: tutti conosciamo Shining, ma pochi sanno che il modello d’ispirazione per Stephen King è stato l’Auberge di Maupassant, perché esistono anche i cimiteri di ghiaccio, e Maupassant è anche un maestro della paura.
C’è stata una selezione dietro questi racconti, ovvero ce ne sono anche altri che parlano dei cimiteri? E se sì, perché hai scelto proprio questi sei?
Sì, ce ne sono un cospicuo numero.
Ho scelto questi sei perché, come per ogni silloge, bisogna fare delle scelte, e allora ho cercato di non dare spazio soltanto al tema lugubre, ma anche all’ironia che in Maupassant diventa molto spesso cinismo – ed è il caso per esempio di Le tombali, con le quali arriva al grottesco. Maupassant è un uomo disincantato, però, nel suo disincanto, ci mostra molto spesso anche momenti di autentica tenerezza. Altri due elementi, anche questi molto tipici di Maupassant e che ritroviamo uniti insieme in questa novella piuttosto breve, sono il fantastico e lo sberleffo finale, e mi è piaciuto, in particolare, inserire in questa piccola antologia un racconto che comincia con un’elegia dai tratti dark, sovrannaturali, e si conclude poi con un grandissimo sberleffo.
C’è qualcosa che ti lega a Maupassant in particolare?
Sì, tante cose.
Ho studiato per tanti anni francese e ancora adesso penso che sia una grande perdita non studiare né leggere in questa lingua, che si va perdendo nelle scuole, dove è stata soppiantata dallo spagnolo e, in parte, dal tedesco. Maupassant, inoltre, è un maestro del racconto, e, secondo me, al di là dei romanzi, che sono bellissimi e che consiglio a tutti – se non li avete letti, attaccate subito Una vita, Bel-Ami, e anche Forte come la morte – Maupassant è proprio l’autore più significativo per quello che riguarda il racconto, perché, nella cornice di pochissime pagine, riesce a costruire tutto un mondo. È anche un maestro della sintesi, ed è un maestro nel tratteggiare i personaggi e gli ambienti.
Rispetto a Flaubert, amico d’infanzia di famiglia e poi suo mentore, Maupassant ha qualcosa in più, ha cioè la capacità, rispetto alle grandi descrizioni, bellissime, densissime di Flaubert, di costruire un’atmosfera con due tocchi. Lo vediamo perfettamente nella passeggiata nel bosco del protagonista di Bel-Ami, Georges Duroy, con Maddalena, in un passo molto bello del romanzo:
Un sentore di terra, di alberi, di muschio, il profumo fresco e antico dei boschi folti, fatto di linfa dei germogli e di erba morta e marcita nelle forre, pareva dormire in quel sentiero. Alzando la testa, Maddalena scorgeva qualche stella tra le cime degli alberi e, benché non ci fosse un filo di brezza a muovere i rami, sentiva intorno a sé il vago palpitare di quell’oceano di foglie. Uno strano brivido le attraversò l’anima e le corse sulla pelle; un’angoscia confusa le strinse il cuore. Perché? Non capiva. Ma le sembrava di essere perduta, sommersa, circondata da pericoli, abbandonata da tutti, sola, sola al mondo, sotto quella volta vivente che fremeva lassù in alto.
Lì, dove tanti si sarebbero diffusi a descrivere gli effetti di luce tra le foglie, l’ombra, le specie degli alberi, di fiori, ci sono solo due elementi, una notazione olfattiva e una quasi tattile: eppure sembra di trovarsi in quel bosco, in quel momento.
Sei solita frequentare dei luoghi spettrali?
Luoghi spettrali? Non so, i cimiteri monumentali in realtà sono luoghi storici, non necessariamente spettrali.
È vero però che le ville isolate e diroccate, le case abbandonate, i castelli, sono molto affascinanti per noi che viviamo sempre in città travolti e soffocati dal cemento, in ambienti molto spesso piccoli a livello di metratura.
Oltre a Shining, nell’introduzione hai fatto anche un parallelismo con Cime Tempestose.
Esatto, con un passo molto specifico di Cime Tempestose a proposito di uno dei luoghi comuni che noi possiamo ritrovare quando un autore cala un personaggio in un’ambientazione cimiteriale: la riflessione, che a noi pare un po’ lugubre, sulle sorti del corpo della persona amata. Qualche decennio prima di Maupassant, Baudelaire sviluppava questo tema con un compiacimento quasi crudele, volutamente anti-lirico in una poesia intitolata Una carogna. Invece, nel racconto La morta Maupassant ci presenta un giovane uomo che non può star lontano dalla tomba dove è sepolta la sua amata, perché la vuole vedere un’ultima volta dopo che gli è stata strappata velocemente da una malattia così repentina da non prepararlo minimamente al distacco. In situazioni simili, spesso accade che non solo ne siamo addolorati, ma siamo anche tramortiti da una perdita troppo veloce. E c’è un parallelo, che però da ultimo si discosta dal modello, con quello che accade in Cime Tempestose, quando anche Heathcliff vuole rivedere per un’ultima volta la sua Catherine. In Maupassant però il dato di realtà prevale, perché l’autore sembra dirci sempre: “La realtà, signori miei, è dura, è tetra, non vi fate illusioni”; eppure, molto spesso, insieme alla malinconia, insieme anche alla disperazione, c’è un piccolo tocco di speranza. Maupassant ha questo enorme talento di saper coprire tutto lo spettro delle emozioni umane.
Quindi, se avete letto e avete amato Shining, Cime Tempestose e Frankenstein, Racconti in Nero è il libro che fa per voi.
Alessia Soldati