La Casa del Dio
Il tempio nella cultura del Vicino Oriente antico
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Gli antichi abitanti del Vicino Oriente pensavano che solo la benevolenza degli dèi potesse contrastare le oscure forze del caos, sempre in agguato, e assicurare la permanenza della vita e dell’ordine. La presenza del dio era quindi necessaria: egli doveva abitare fra gli uomini, avere una casa. Nella «casa» il dio veniva accudito, lavato-vestito-nutrito, oltre che venerato. Poteva uscire in visita o in processione, come nella solenne festa del Nuovo Anno a Babilonia, in cui la statua del dio Marduk, accompagnata dal figlio Nabu, seguita da tutti gli dèi venuti dalle «proprie» città e tenuta per mano dal re, lasciava la propria «casa», l’Esagil, per raggiungere la casa delle feste Akitu, sita fuori le mura. In tale modo, all’inizio della primavera, al risveglio della natura, si intendeva rinnovare ritualmente l’opera di creazione del dio. Il tempio era la «porta» con cui il cielo comunicava con la terra: attraverso di essa il dio scendeva a incontrare gli uomini. A loro volta, nel tempio, gli uomini entravano per elevarsi al dio. In esso nell’antico Egitto, quotidianamente, il Faraone, rappresentante di tutta l’umanità , offriva al dio il simbolo di Maat, personificazione della «norma», fondamento della vita cosmica e vita dello stesso Ra, ricreando ritualmente l’ordine prestabilito ed elevandosi quasi a identificarsi con l’essenza divina.
«Casa», «porta», luogo d’incontro: il tempio era chiamato dagli antichi egizi anche «Orizzonte». Dove cielo e terra sembrano unirsi. Quasi a visualizzare l’aspirazione perenne dello spirito umano, la sua irrinunciabile ricerca di una unità misteriosamente spezzata dalla colpa.