Il Mediterraneo come grande mare della curiosità e della meraviglia: è il filo conduttore di questo ricchissimo intervento della prof.ssa Gabriella Airaldi, che passa in rassegna le testimonianze di navigatori, filosofi, poeti e storici di ogni età storica, ma tutti invariabilmente sedotti dal Mare Nostrum dell’antica Roma. Gabriella Airaldi ha insegnato Storia Medievale e altre discipline di ambito storico all’Università di Genova. Specialista di storia mediterranea e delle relazioni internazionali dal Medioevo all’Età Moderna, è stata Direttore del Centro di Ricerca di Studi Colombiani e membro del Centro Interdipartimentale di Studi Canadesi e Colombiani. Assessore alla Cultura della Provincia di Genova (1997-2002) e Consigliere di Amministrazione della Fondazione Ansaldo, dal 2008 al 2013 è stata Presidente della Fondazione Regionale Cultura e Spettacolo della Regione Liguria e Presidente del Centro Studi “Paolo Emilio Taviani” sulle Relazioni Internazionali dal Medioevo all’Età Contemporanea.
Nel 1501 Cristoforo Colombo scrive ai Re Cattolici:
Eccellentissimi re, in età giovanissima cominciai a navigare e continuo ancor oggi. La stessa arte induce chi la segue a desiderare di conoscere i segreti di questo mondo. Sono già più di quarant’anni che la pratico e ho percorso tutte le rotte conosciute. Ho avuto rapporti e conversazioni con gente dotta, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e saraceni e molti altri di altre razze. In questo mio desiderio trovai Nostro Signore assai propizio e perciò ebbi da lui spirito d’intelligenza. Egli nella marineria mi fece provetto, in astrologia mi dotò di quanto bastava, e così nella geometria e nell’aritmetica, e mi diede ingegno nell’anima e mani per disegnare la sfera con le città, fiumi e monti, isole e porti tutti al loro posto. In questo periodo ho visto e mi sono sforzato di vedere tutti i documenti di cosmografia, storia, cronache, filosofia e altre arti alle quali Nostro Signore mi aprì l’intelletto per manifestarmi che era possibile navigare da qui alle Indie e mi diede la volontà per l’esecuzione del progetto…
poi aggiunge una considerazione fondamentale che si riferisce all’andar per mare come scuola di vita:
I naviganti e l’altra gente che va per mare conosce sempre meglio quelle parti del mondo dove va più sovente e ha contatti più continui… e così riceviamo con diletto le relazioni che ci fanno di quel che hanno visto, dato che certamente diamo più importanza a tutto quello che sappiamo per esperienza…
Colombo ama sempre riflettere sul senso della propria esistenza e della grande sua “arte” che lo ha guidato:
Ho percorso tutte le rotte conosciute… ho avuto rapporti e conversazioni con gente dotta, ecclesiastici e laici, latini e greci, ebrei e saraceni e molti altri di altre razze…
Il mare delle scoperte
Ed ecco che, insieme con la sua vita intessuta di viaggi dall’Islanda alla Guinea, all’isola di Chio, il primo ammiraglio del Mar Oceano propone ai Re il profilo del mare da cui è partito, un mare aperto a immense possibilità di scambio e di contatto. È attraverso quel mare, teatro di commerci e di battaglie, di vicende piratesche e corsare che gli Europei hanno imparato a usare la numerazione araba e la bussola, a fabbricare la carta, a conoscere nuove merci e nuovi mercati, a elaborare trattati e manuali di mercatura, a formulare nuove tipologie contrattuali, ad approfondire nelle carte nautiche e nei portolani la loro immagine del mondo. Il Mediterraneo è il mare della curiosità e da quel mare lui ha tratto la sua formazione, la sua cultura, la sua identità.
Poco più tardi Thomas More, che incontra Erasmo da Rotterdam ad Anversa, dove si stampa molto di ciò che riguarda le “scoperte”, identifica nella figura del navigatore- scopritore la guida verso un nuovo percorso esistenziale. Solo chi conosce bene il mondo ed «è andato per mare non come Palinuro ma come Ulisse, anzi come Platone», può raccontare con parole giuste Utopia. Tutta la civiltà mediterranea è raccolta nella figura di Raffaele Itlodeo, l’uomo che, dopo aver navigato con Vespucci e visto il mondo, è il solo a poter descrivere il luogo ideale. Nell’età della grande fioritura della Corona inglese William Shakespeare – il suo massimo cantore – sottolinea in molte opere (Il mercante di Venezia, Otello, Giulietta e Romeo e altre ancora) che la memoria dell’Europa abita tra le onde del Mediterraneo.
In realtà, il primo ammiraglio del Mar Oceano segue l’itinerario disegnato da Ulisse che nella notte dei tempi ha fatto del Mediterraneo il cuore della sua ricerca e del viaggio lo strumento ideale per costruirla. Su quel mare hanno navigato Fenici e Greci. Per Roma il Mediterraneo è stato il Mare Nostrum di un grande impero.
Così scrive Isidoro di Siviglia (560 cc.-636 d.C.):
Quando vedi da dove è nato un nome, più rapidamente comprendi la forza che quello stesso nome racchiude. Conoscendo l’etimologia, l’esame di ogni realtà diviene certamente più facile… Il Gran Mare è quello che, nascendo dall’Oceano, fluisce da occidente per volgere poi verso sud e dirigersi quindi a settentrione. È chiamato Gran Mare perché tutti gli altri mari, in confronto ad esso, sono piccoli. Prende anche il nome di Mediterraneo, in quanto attraverso la media terra, ossia la regione centrale della terra, le sue acque si estendono sino all’oriente, separando l’Europa, l’Africa e l’Asia.
«Quasi medium terre tenens» lo definisce nel 1286 il domenicano Giovanni Balbi da Genova, quando nel Catholicum valorizza fin da allora il ruolo di un’Europa come centro del mondo. Dal cuore d’Europa il monaco Ugo di San Vittore (1096?-1141) celebra la navigazione che, penetrando
nelle parti più segrete e remote del mondo, raggiunge i lidi più lontani, toccando i più orridi deserti ed esercita gli scambi anche con le nazioni barbare e per mezzo di lingue sconosciute… concilia le genti fra loro, seda le guerre, rafforza le paci e scambia i beni necessari all’uso di tutti.
Un mondo tripartito
Nella cultura europea domina ancora il profilo dell’ecumene presente nel mappamondo di Ebstorf e nella mappa di Hereford che, disegnati tra la metà del XIII e l’inizio del XIV secolo, fanno coincidere la divisione tripartita del mondo con la sua suddivisione fra i tre figli di Noè. Le mappe T in O rappresentano la terra circondata dall’Oceano, dove il tratto verticale indica il Mediterraneo, che ha alla sua sinistra l’Europa e alla sua destra un’Africa informe. La parte sinistra del tratto orizzontale indica il Tanai (Don), la destra indica il Nilo e separa l’Europa dall’Asia collocata nella zona superiore. Ma l’espansione porta a una progressiva conoscenza del mondo.
In quel momento il trinomio “città-mercato-mare”, fenomeno di struttura tipico dell’area mediterranea, ha già assunto una fisionomia nuova e il mercato ha assunto un ruolo politico nelle città-stato tra le Alpi e il Tevere, governate per la prima volta nella storia da uomini di affari. Fin dal Millecento, attraverso un’intensa attività marittima e l’alleanza con alcune monocrazie europee, Genova, Pisa e Venezia promuovono un deciso allargamento delle frontiere verso il Mediterraneo, il Levante e l’Oriente. Ma non solo. L’anglo Orderico Vitale (1075-1142) scrive nell’Historia Ecclesiastica che tutti i popoli vogliono arrivare supra litus Oceani maris: infatti già allora i Genovesi sono sulle coste dell’Atlantico pronti ad accompagnare i Portoghesi e Castigliani sulle rotte oceaniche.
Il Mediterraneo, intanto, si anima di incontri e di scontri, di un dialogo costante tra culture e religioni diverse; è il luogo dove nasce il capitalismo, la palestra di formazione di mercanti europei che sciamano alla Cina alle Americhe. Guillaume de Nangis, autore delle Gesta Ludovici IX, racconta che, durante il viaggio tra Marsiglia e Tunisi compiuto dal re crociato sulla galea genovese “Paradiso”, dopo una furiosa tempesta Luigi IX aveva chiesto al capitano Pietro Doria e ai piloti dove si trovassero e loro, mostrandogli una carta, avevano affermato di essere in prossimità di Cagliari come in effetti si era accertato il mattino seguente. Più o meno coeva è la Carta pisana (la denominazione rinvia ai primi proprietari ma la carta è di fabbricazione genovese) che, anonima e non datata, risale comunque alla fine del Duecento. Il primo reperto datato, steso a Venezia nel 1311, è di mano del genovese Pietro Vesconte. La conoscenza del mondo avanza ma il reale non demolisce l’immaginario. In un manuale di mercatura pisano pressappoco coevo alla Carta si raccomanda al mercante che intraprenda un viaggio di affari di prestare grande attenzione al moto delle costellazioni e delle configurazioni celesti.
Astomi & sciapodi
Plinio il Vecchio (23-79) aveva precisato che l’India e l’Etiopia erano terre abitate da esseri sbalorditivi: astomi, trogloditi, antropofagi, sciapodi e altri. Muovendo verso Oriente Marco Polo aveva ripreso queste suggestioni. Con pigmei, grifi e mostri l’India resta la culla delle meraviglie, ma l’Africa è pronta a raccoglierne l’eredità. Il Paradiso Terrestre oscilla tra Oriente e Occidente mentre la bianca figura del prete Gianni pervade i sogni dei marinai e di Colombo e non solo quelli dei Portoghesi, spintisi alla sua ricerca verso l’Etiopia dove si crede che egli sia migrato. I predicatori fanno del mare la metafora della vita e delle sue burrasche tentatrici. I Bestiari rispondono a una decifrazione del cosmo letto sul piano morale funzionale al gioco allegorico di una letteratura edificante. Il Libellus de natura animalium descrive le proprietà che privano gli uomini della ragione. I delfini, nell’antichità pesci con gli occhi sul dorso, bocca sul ventre e voce umana sono trasformati in sirene. Nel mappamondo di Hereford il gorgo marino di Cariddi ha forma di conchiglia a spirale, le Cicladi sono rappresentate come satelliti situati intorno a un kuklos, mostri popolano la terra e il mare e sul Mediterraneo domina quella sirena di cui i marinai raccontano ai pellegrini spaventati che viaggiano con loro. In pieno Trecento Corrado di Megenberg include nel suo Buch der Natur il maiale marino, il serpente cornuto, il pesce millepiedi, mentre l’Hortus sanitatis, prima enciclopedia di storia naturale pubblicata da Jacob Meydenbach nel 1491, accoglie nel suo elenco il monachus marinus e il pesce a due teste. Opicinus de Canistris, un chierico lombardo che opera ad Avignone, rappresenta nel suo portolano del 1335 l’Europa e l’Africa con i tratti di un uomo e di una donna. Le loro teste si avvicinano in prossimità dello Stretto mentre il Mediterraneo – diabolicum mare – prende le sembianze del demonio che regna nell’universo e le sue braccia si tendono l’una verso il golfo di Corinto l’altra verso Venezia. Per Opicinus l’Asia può essere raffigurata come un albero e le isole del Mediterraneo fanno pensare a navi e membra sparse. Nello splendido Atlante catalano del 1375 la realtà si coniuga con immagini di re e di Re Magi, di animali fantastici, di vascelli, di città turrite e di grandi accampamenti di tende. E lo stesso accade ancora nella cartografia cinquecentesca.
Amazzoni & sirene
Colombo racconta di sirene e Amazzoni, i suoi marinai pensano che il mare sia stregato e anche lui confida nelle stelle tanto che in un’occasione, preoccupato dell’opposizione di Saturno con Marte, decide di rientrare in porto. Nel 1435 pure i suoi conterranei genovesi, fieri mercanti e guerrieri, prima della battaglia di Ponza avevano interpellato matematici e astrologi e, a vittoria ottenuta, li avevano portati in trionfo. Nel mappamondo di Martín Behaim (1492) l’isola di San Brandano, Antilia e una discutibile immagine dell’Africa testimoniano le incertezze di una geografia in cui reale e leggendario si confondono e altrettanto accade nel planisfero di Enrico Martello, steso tra il 1499 e il 1503, che pure tiene conto dei viaggi di Colombo, Vespucci e Vasco da Gama. La Margarita filosofica, enciclopedia redatta ai primi del Cinquecento da Georg Reisch, confessore dell’imperatore Massimiliano, ignora i viaggi portoghesi, ma raccoglie miti e meraviglie.
Forse, mentre navigava sulle onde dell’Oceano, il Mediterraneo era parso lontano all’ammiraglio Colombo. Ma così non era. Quando aveva dovuto descrivere le “sue” Indie – che tali non erano – si era accorto che gli mancavano le parole per farlo. Così aveva ripescato nella sua memoria. Già sul mare gli era capitato di risentire la dolce brezza andalusa e di ricordare il canto dell’usignolo. Gli era successo molte altre volte; aveva rivisto i verdi panorami andalusi, la quiete delle acque del fiume di Siviglia, gli orti di Valenza, i campi di grano di Cordova, le terre ben coltivate di Castiglia. Le cime di alcune catene montuose gli avevano ricordato la Sicilia e la sommità di un colle aveva richiamato alla sua memoria una moschea. Una volta gli era sembrato di riconoscere il profumo del lentisco di Chio e perfino la sua pianta. Gli era riuscito perfino di sentire il gusto delle castagne della sua infanzia. Di fronte a un mondo “nuovo” Colombo recuperò tutto ciò che poteva. Dal suo bagaglio di letture riaffiorarono dunque le Amazzoni, i cinocefali, l’“aurea Chersoneso” e il Paradiso Terrestre. E da quel momento anche i miti che gli uomini del Mediterraneo avevano forgiato nel tempo passarono con lui all’Oceano acquistando una vita perenne anche se nuova e diversa.