Lo studio delinea una ricca panoramica degli studi sui vari aspetti della complessa figura di Thomas More che egli stesso con il suo influsso sulla cultura italiana ha suscitato: traduzioni di sue opere, monografie sulla sua vita e sul suo pensiero, soprattutto morale e politico, numerosissimi articoli. Oltre ai suoi principali studiosi, come Firpo, Castelli, Gabrieli e Bartagnoni, si descrive l’attività del “Centro Internazionale Thomas More” e del suo presidente, Francesco Cossiga, che si adoperò affinché san Giovanni Paolo II proclamasse More patrono dei politici e dei governanti e del cui rapporto di sintonia con More tratta il libro di Antonio Casu, Il potere e la coscienza (Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, pp. 186, euro 14), analizzato nello studio, che si conclude auspicando una sempre nuova riscoperta della personalità moreana, la cui importanza «Diventa evidente ogni volta che ha inizio una nuova stagione» e in grado di arricchire «la vita umana, in tutti i suoi aspetti sociali, politici e culturali» (Nella foto a lato, una copertina della rivista Moreana).
Se non fosse per l’interesse e l’attrazione a volte irresistibile verso la figura del Cancelliere inglese, che ha contribuito non solo a far conoscere, ma soprattutto ad approfondire alcuni aspetti fondamentali della sua complessa esistenza, l’influsso della vita, dell’opera e del martirio di Thomas More nella cultura italiana potrebbe essere classificato quasi come un debito, un riconoscimento di quello che fu l’influsso della cultura italiana nella formazione di Thomas More. Il nostro grande Luigi Firpo, nella sua rassegna della fortuna del Moro in Italia, ha riaffermato la convinzione che:
Tutta la nostra cultura umanistica nutrì di sé nel profondo quel nobile spirito, fecondandolo di ispirazioni, di suggestioni, di richiami, dai giovanili entusiasmi pichiani allo storico commiato dal mondo, compiuto – secondo una tradizione piuttosto tarda – recitando a un amico diletto due meste terzine del Petrarca, che richiamano con accento sconsolato la caducità della vita umana e la paragonano a una giornata piovosa, greve di freddo e di noia1.
Poiché sulla vita di Giovanni Pico della Mirandola, del nipote Gianfrancesco, More modellò la sua prima opera in prosa inglese, pubblicata intorno al 1510, e poiché a un italiano, Antonio Bonvisi, egli indirizzò dalla prigionia nella Torre di Londra una delle sue ultime lettere, è lecito ravvisare una singolare continuità nei suoi interessi per l’Italia e nei legami che egli intrattenne con quei nostri connazionali che s’erano stabiliti in Inghilterra.
Furono proprio questi, una volta conclusasi la vicenda terrena di More, a portare in Italia la sua straordinaria e avvincente parabola dell’esistenza. La prima edizione dell’Utopia pubblicata in Italia appare fin dal 1519 presso Giunti di Firenze, cioè tre anni dopo l’edizione originale, e la prima traduzione italiana del 1548 precede di tre anni quella inglese. Biografie assai diffuse come quella di Domenico Regi compaiono già dal 1675. Anche il teatro contribuì efficacemente – scoprendo un egregio soggetto tragediabile – alla diffusione della vita, dell’opera e del martirio di Thomas More. Opere teatrali, dalla Thomas Morus Tragoedia rappresentata al Venerabile Collegio inglese di Roma nel 1612 fino al Tommaso Moro di Silvio Pellico (1833). Assai numerose sono, poi, le traduzioni italiane delle lettere di More, che culminano con l’epistola scritta nella Torre di Londra servendosi di un tizzone e indirizzata al buon amico banchiere lucchese Antonio Bonvisi. In Italia sono stati pubblicati lavori su More a opera di stranieri, come il De unitate del cardinale Reginald Pole (Roma 1538) e il trattato Il Moro del gesuita Hellis Heywood, pubblicato a Firenze nel 1556. La lista degli italiani che hanno arricchito gli studi su More nel XX secolo comprendono decine e decine di nomi.
La fortuna del More in Italia – precoce e durevole, anche se non molto ricca di salienti episodi – si è perpetuata lungo un duplice filone: quello più scoperto e nutrito dell’apologetica cattolica, fitto di esclamazioni ammirative per l’uomo di intemerata coscienza e di vasta dottrina, per il protagonista dell’Umanesimo, e quello meno appariscente, ma di ben più profonda rilevanza culturale, degli studi politici, intesi a decifrare il genuino messaggio dell’enigmatica Utopia.
In realtà l’influsso di Thomas More in Italia acquista la sua maggiore rilevanza quando ci si comincia a chiedere non solo a livello religioso ma anche sociale, culturale e politico quali significati la sua opera e il suo martirio realizzano nella società contemporanea. Come ebbe a scrivere Chesterton:
Tommaso Moro è più importante in questo momento che in qualsiasi altro momento della sua vita, forse anche più che nel grande momento della sua morte; ma non è ancora così importante come sarà fra un secolo. Allora, egli verrà forse considerato il più grande degli inglesi, o per lo meno il più grande degli inglesi che hanno agito nella storia2.
La grandezza di Thomas More durante il nostro secolo, l’importanza attribuitagli da uomini di pensiero e non, viene vista nella possibilità di attualizzare la sua vita e il suo pensiero, grazie soprattutto agli strumenti della ricerca storica moderna che consentono di leggere il suo pensiero esattamente come fu espresso, e di collocarlo nel tempo proprio dell’Inghilterra dei primi decenni del Cinquecento, e non unicamente, come avveniva in passato, in uno spazio ideale o spirituale.
Gli studi moreani
Gli studi moreani in Italia, chiamati in questo modo perché sistematici e di carattere scientifico, hanno inizio con Alberto Castelli. Dal 1934 al 1953, per quasi un ventennio, fino a quando venne consacrato vescovo, Castelli fu docente nell’Università Cattolica ove si occupò di anglistica, realizzando opere monografiche e traduzioni su autori inglesi e poeti tra il Trecento e il Seicento. Nel 1938 fu il primo a tradurre in italiano l’Autobiografia di Gilbert Keith Chesterton, unitamente a una revisione critica dei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer del 1946. Castelli, noto per aver tradotto la biografia redatta da Christopher Hollis sulla personalità di sir Thomas More, uscita appena qualche mese prima che Pio XI, l’ambrosiano papa Ratti, ne proclamasse la canonizzazione nella solennità dell’Ascensione, il 19 maggio 1935. Nell’opera il Castelli riportò alla luce anche un poemetto in ottave di Zenobio Ceffino, composto nel 1543, che a oggi è la più antica testimonianza italiana della vicenda di More. Ma l’opera più meritoria fu un’autorevole edizione del Dialogo del conforto nelle tribolazioni (Edizioni Studium 1970), che ancora oggi sopravvive al linguaggio contemporaneo, visto che da allora è stata fatta soltanto una ristampa dalle Edizioni Rubbettino (2010).
Contemporaneo al Castelli e finissimo studioso di Giordano Bruno, di Tommaso Campanella, degli utopisti e più in generale del pensiero politico e religioso del Cinque-Seicento, instancabile cacciatore – e scopritore – di testi e personaggi minori o sconosciuti, fu Luigi Firpo, filologo incontentabile e rigorosissimo. La giustamente famosa passione moreana di Firpo risale agli anni in cui dirigeva i “Classici della Politica” della Utet.
Fu lui a proporre al Castelli di contribuire con una scelta di lettere annotate, e ampliate rispetto a quelle pubblicate nel 1966 da Studium, al volume dedicato a Thomas More, cui lo stesso Firpo avrebbe prestato la cura generale, una nuova edizione dell’Utopia e la versione integrale degli Epigrammi, e Vittorio Gabrieli la traduzione italiana della Storia di Riccardo III e una prima traduzione delle Quattro cose ultime. Purtroppo il volume Utet non fu mai chiuso e dato alle stampe: non è certo raro il caso che un libro sembri d’imminente conclusione e invece slitti in avanti e finisca per non esistere. Forse, del lavoro dei tre collaboratori, quello di Alberto Castelli, che sembrava il più incerto, era in realtà allo stadio più avanzato. O i programmi e le priorità della casa editrice erano nel frattempo cambiati. Il dattiloscritto originale fu spedito dai fratelli Castelli alla Utet poche settimane dopo il lutto, e prima dell’estate venne letto e approvato da Luigi Firpo, che numerò le lettere e ne compilò un indice3.
Da quel momento non si hanno più notizie della lavorazione di questo prezioso volume che troverà forma ed esistenza in tempi diversi. Intanto, attorno al quinto centenario della nascita di Thomas More (nel 1477 o, più probabilmente, nel 1478) Luigi Firpo pubblica sulla rivista “Il pensiero politico” i Centoventi epigrammi e l’Utopia, con testo latino e traduzione a fronte nel 1978 presso l’editore Neri Pozza, e in edizione definitiva, con un più ampio apparato di note (ma senza testo latino), nel 1981 a Napoli da Guida.
Per quanto riguarda gli Epigrammi, lo stesso Firpo concludeva mettendo in luce che la “parzialità” della sua versione rappresentava una scelta tematica, guidata da un preminente interesse politico, e che la sua pubblicazione in quell’anno 1978 voleva «essere un sommesso contributo alla celebrazione del quinto centenario della nascita di un grande umanista che fu Cancelliere d’Inghilterra e martire della cattolicità, un uomo festevole per arguzie benigne ma di inflessibile fedeltà alla propria coscienza»4.
Se Luigi Firpo avesse avuto tempo e vita sufficienti per completare il suo lavoro sugli epigrammi moreani, probabilmente saremmo in possesso di un secondo gioiello critico e letterario, oltre alla splendida edizione che egli ci ha lasciato dell’Utopia. Un volume di Tutti gli epigrammi uscirà solo nel 1994 (Edizioni San Paolo), cinque anni dopo la morte di Firpo5, con prefazione di Cesare Grampa. E nel 2008 Francesco Rognoni, nipote del Castelli, pubblica presso l’editrice Vita e Pensiero il manoscritto delle lettere che Firpo tanto desiderò vedere e che curò personalmente senza avere la soddisfazione di poterlo pubblicare.
Con metodo altamente scientifico si colloca l’interesse moreano di Vittorio Gabrieli, allievo all’università di Roma, e poi Lettore d’Inglese di Mario Praz, col quale s’era laureato con una tesi su Samuel Butler. Prestò servizio, con Guido Calogero e Gabriele Baldini, nell’Istituto italiano di cultura a Londra dal 1951 al 1962. Docente di Lingua e Letteratura inglese a Torino (1962-1969) e a Roma (1969-1985), le sue pubblicazioni riguardano il Seicento (Sir Kenelm Digby, Milton, puritanesimo e libertà), l’umanesimo cristiano (Thomas More), il romanticismo (Matthew Arnold) e la letteratura americana dell’Ottocento (Henry Adams, Prescott). Collaborò con la rivista di filosofia, letteratura e storia “La Cultura” e la rivista bilingue “Moreana” (Angers)6.
Non meno profittevole, dalla palladiana Vicenza, l’opera di Marialisa Bertagnoni7. Ben presto si dedicò alla ricerca nell’àmbito della letteratura inglese privilegiando la figura e l’opera di Thomas More. Nel 1961 tradusse, in collaborazione con Loredana da Schio, il dramma di Robert Bolt Un uomo per tutte le stagioni, rappresentato al Teatro Olimpico e in seguito tradotto anche in film per la regia di Fred Zinnemann. Seguì la versione di due Vita di Tommaso Moro, quella scritta dal genero del Santo, William Roper (Brescia 1963) e quella moderna di R.W. Chambers (Milano 1965). Nel 1968 tradusse le Preghiere della Torre composte da More in carcere. Dal 1974 fece parte del consiglio di redazione della rivista “Moreana”, edita dall’Associazione internazionale Amici Thomae Mori, di cui fu vicepresidente dal 1976 al 1986. Con gli Amici teneva costante collegamento attraverso una sua Lettera da Vicenza. Basterebbe la lettura dell’ultima Lettera, pubblicata postuma, per rendersi conto dell’estrema diligenza della sua ricerca bibliografica di quanto appariva in Italia su Tommaso Moro, e della sua “dolce pedanteria”, come lamentava qualche amico, nel pretendere esattezza e completezza nelle citazioni e nei riferimenti storici. Socio corrispondente dell’Accademia Olimpica fin dal 1966, divenne Accademico effettivo il 9 dicembre 1978, l’anno in cui pubblicò da Neri Pozza, in collaborazione con Cesare Grampa e Angelo Paredi, il volume Idea di Thomas More. Non fa meraviglia se il dedicare una vita di studio e di interesse intellettuale e spirituale a Tommaso Moro finì col creare un rapporto così stretto tra Marialisa Bertagnoni e lui, una specie di spirituale coabitazione, che una coincidenza straordinaria sembra aver suggellato: Marialisa Bertagnoni morì il mattino del 6 luglio, il giorno in cui a Londra, nel 1535, si immolò martire Thomas More. Il funerale con vasta e qualificata partecipazione venne celebrato dal vescovo Giuseppe Nonis, già prorettore nella celeberrima università patavina e personaggio molto impegnato nell’attività moreana, il discorso funebre venne tenuto da Cesare Grampa, che diede comunicazione del messaggio di un altro convinto moreano, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il quale sottolineava la ricchezza della sua amicizia intellettuale e la sua attività incessante per dare vita e sostegno al sodalizio.
Tra le sue ultime fatiche di studiosa va ricordata la traduzione dell’opera estrema di More, Nell’orto degli Ulivi (Ares, Milano 1984, ripubblicata nel 2023), meditazione sull’agonia di Cristo composta in carcere e interrotta quando al prigioniero fu tolta anche la possibilità di scrivere. L’opera riveste un evidente valore autobiografico per More e ne diventa l’immediata preparazione alla morte ormai prossima; ma la traduttrice sembra avervi intuito un’affinità propria con l’autore, poiché da vari anni ormai la sua vita era segnata dalla sofferenza che la condusse anzitempo alla morte. Nel saggio introduttivo la Bertagnoni sottolinea quel passo del libro in cui il Moro si ritrova in sintonia con il “discepolo ignoto”, il ragazzo che segue Gesù nell’orto degli ulivi e sguscia via lasciando nelle mani dei soldati l’unico lenzuolo in cui era avvolto, per salvare «ciò che è più propriamente sé stesso». Anche il ricco deve saper «lasciare con prontezza tutto ciò che esteriormente possiede scegliendo razionalmente di salvare l’unica cosa veramente essenziale, la sua anima»8.
Il “Centro Internazionale Thomas More” e Cossiga
La passione moreana consolidò lentamente il “Centro Internazionale Thomas More”; tra le persone più impegnate ad animarlo occorre citare Pietro Bucalossi, oncologo di fama internazionale e sindaco di Milano, i cardinali Giovanni Colombo, Giacomo Biffi e Attilio Nicora, Luigi Firpo, Francesco Cossiga, Virginio Rognoni, Vittorio Mathieu, Angelo Paredi, Gaspare Barbiellini Amidei, Giorgio Rumi, Silvio Ceccato, Arturo Colombo, Giuseppe Fossati, Cesare Grampa, con il manifesto proposito di proporsi nella memoria di Thomas More, giurista, uomo di Stato, protagonista dell’Umanesimo in Europa, martire per la fedeltà ai valori sostenuti dalla coscienza, testimone inflessibile di libertà, di affermarne l’alto esempio di moralità politica, di promuovere lo studio della personalità e dell’opera moreana e di sviluppare iniziative di formazione culturale civile e sociale.
Virginio Rognoni delineò un convincente profilo di Thomas More, uomo di diritto, insigne umanista, politico attento alle vicende del suo tempo, non meno complesse delle nostre, cancelliere del Re d’Inghilterra chiamato a ricoprire le più rilevanti cariche pubbliche e finito sul patibolo per aver tenuto fede, fino all’estremo sacrificio, ai doveri verso la propria coscienza con indefettibile coerenza morale. Ne è venuto fuori un More acceso di entusiasmo, caratterizzato nel contempo da un convinto e maturo realismo e sempre equilibrato in ogni scelta9. Tra le varie altre iniziative del Centro può essere opportuno ricordare la collaborazione con l’editore Neri Pozza, altro appassionato moreano, che portò alla pubblicazione di un volume antologico con testi moreani anche inediti, cui farà seguito, novità per l’Italia, l’edizione latina di Utopia con traduzione di Luigi Firpo. Si potrebbe inoltre segnalare la biografia a opera di Angelo Paredi, prefetto dell’Ambrosiana, la traduzione delle Lettere curata da Bruno Fortunato e il saggio sull’Utopia avverata del magistrato Piero Pajardi. In tale fase della sua attività il Centro acquisterà maggior prestigio con il presidente Cossiga. Grazie soprattutto alla tenacia di quest’ultimo, Thomas More verrà proclamato patrono dei politici e dei governanti, che dopo la canonizzazione è quanto di più si poteva fare per il grande statista inglese.
Come ebbe modo di scrivere Giovanni Conso, la vicenda di Thomas More è un bell’esempio di «amicizia diacronica, cioè tra soggetti appartenenti a epoche diverse o, più precisamente, tra una persona scomparsa e altre di epoche successive, separate nel tempo, ma in sintonia così profonda da potersi definire amicale»10. Di questa nobile e alta amicizia dà testimonianza il libro significativo, brillante e documentato di Antonio Casu, Il potere e la coscienza (Rubbettino, Soveria Mannelli 2011), sottotitolato Thomas More nel pensiero di Francesco Cossiga11. Il libro riporta interventi, conferenze, prefazioni, capitoli di volumi collettivi, dal 1978 al 2004. Cossiga vedeva nel Cancelliere martire il campione dello Stato laico secondo la concezione di una politica inseparabile dall’etica, indirizzata al bene comune “possibile”: la difesa dei valori e degli interessi legittimi, infatti, dev’essere tradotta «in forme e termini compatibili con il funzionamento generale del sistema politico, al fine di pervenire a un assetto generale armonico, non dominato da settarismi e particolarismi». L’Utopia di More, secondo Cossiga, si rivela «come una visione che non prefigura sulla terra una società perfetta edificata dagli uomini, il mito di un progresso inarrestabile e salvifico, la fine della storia», bensì «l’orizzonte in direzione del quale ogni persona è chiamata a procedere nell’agire quotidiano».
Particolarmente significativa la partecipazione del Presidente emerito della Repubblica alla tavola rotonda del 9 aprile 2003 presso la Pontificia Università della Santa Croce sul tema: «L’impegno e i comportamenti dei cattolici nella vita politica». All’iniziativa, aperta dal prelato dell’Opus Dei, monsignor Javier Echevarría, gran cancelliere dell’Ateneo, parteciparono tra gli altri Joseph Ratzinger e Giuseppe De Rita. Nell’occasione, si sottolineò che la politica non si desume dalla fede, ma dalla ragione, una ragione «che ha la capacità di conoscere i grandi imperativi morali», rifiutando «un positivismo ed empirismo che è una mutilazione della ragione».
L’ultima parte del volume è dedicata all’azione di Francesco Cossiga perché Thomas More venisse proclamato dal Papa patrono dei governanti e dei politici. Il progetto andò a buon fine per il confluire di due iniziative sorte indipendentemente: il senatore venezuelano Hilarión Cardozo (che fu anche ministro della Giustizia nel suo Paese) dal 1991 perorava simile causa e aveva mobilitato eminenti uomini politici sudamericani, vescovi e intere conferenze episcopali, compresa la Conferenza episcopale britannica. Dal canto suo, Cossiga operava in proprio, e fu l’allora prelato dell’Opus Dei, monsignor Álvaro del Portillo, a invitare monsignor Flavio Capucci, postulatore della Causa di beatificazione e canonizzazione di san Josemaría Escrivá, a mettere in contatto Cardozo e Cossiga. Nell’Opus Dei esiste una viva devozione per san Thomas More, perché san Josemaría lo scelse per tutta l’Opera come intercessore per i rapporti con le autorità civili12.
L’amicizia fra Capucci e Cossiga è rievocata nel libro, e finalmente, il 31 ottobre dell’Anno giubilare 2000, Giovanni Paolo II proclamò Thomas More patrono dei governanti e dei politici. In questi difficili momenti, governanti e politici, ma anche tutti i cittadini è bene che si rivolgano al martire inglese obiettore di coscienza affinché la politica non sia guidata da mere ambizioni di potere, bensì dalla consapevolezza che «le istituzioni non sono semplicemente dei meccanismi giuridici: esse sono anche forme operative dell’autocoscienza della nazione».
Questo libro rievoca la fervida ammirazione, anzi la profonda amicizia di Francesco Cossiga nei confronti di Thomas More, la cui figura e le cui opere ha più volte richiamato nel corso della sua vita. Il libro, che esce a un anno dalla sua morte, segue due complementari percorsi di ricerca. Il primo è costituito dall’analisi di una selezione di scritti, discorsi e conferenze, che vanno dal 1991 al 2004, che ci restituisce l’immagine che di More aveva Cossiga; le qualità personali, culturali e politiche sulle quali ha tante volte soffermato la sua attenzione; il monito che ha lasciato alle generazioni successive; il rapporto tra etica e politica, tra santità e laicità, tra verità e coscienza; la sua realistica visione del bene comune, dell’utopia come ironia; la sua personale resistenza contro la ragion di Stato che ne fa un paradigma per la modernità. Il secondo è la ricostruzione del ruolo svolto da Cossiga a sostegno della proclamazione di san Tommaso Moro a patrono dei governanti e dei politici, avvenuta nel 2000 a seguito di una petizione presentata da numerosissime personalità politiche di primo piano di vari continenti. Un processo di mobilitazione di cui Cossiga fu il principale artefice.
Si potrebbero citare molte altre attività del Centro internazionale Thomas More, come il convegno con una qualificata partecipazione internazionale svoltosi nella prestigiosa sala Zuccari nella sede del Senato della Repubblica, le celebrazioni a Roma con il cardinale decano del Sacro Collegio Carlo Confalonieri, già segretario di Pio XI, la statua di Thomas More collocata sopra la cattedra ambrosiana nel Duomo di Milano.
La rivista “Morìa”
Da segnalare anche la meritoria infaticabile azione di Giuseppe Gangale in quel di Crotone, con la pubblicazione di numerosi articoli su riviste scientifiche e pubblicazioni moreane, con la rivista “Morìa”, la cui pubblicazione intende promuovere un progetto che porti alla luce e interpreti le varie rappresentazioni della Follia nella storia e nella nostra epoca, quale promozione di una Sapienza “altra” per il mondo, capace di generare un pensiero di vita, verità e giustizia. Un laboratorio di studi e di esperienze che va oltre quello iniziato nel 1963 da Germain Marc’hadour ad Angers con la costituzione degli Amici Thomae Mori e della rivista “Moreana”. La “Morìa” di Gangale intende attualizzare il pensiero moreano, mostrando come quell’uomo possa essere «il santo per la nostra stagione», se è vero che «secondo che il tempo lo richieda Tommaso Moro è un uomo di straordinaria allegrezza o di pensosa gravità: un uomo per tutte le stagioni»13.
La soddisfazione più grande è stata quella di poter iniziare quest’avventura proprio nell’anno (2011) della celebrazione del cinquecentesimo anniversario della pubblicazione dell’Elogio della Follia. Il primo fascicolo, infatti, è stato dedicato interamente alla moría di Erasmo e di Thomas More. L’impegno del Centro Internazionale Thomas More, sede di Crotone, è stato sempre orientato verso la pubblicazione in italiano delle Opere Complete di Thomas More. Com’è noto, l’opera omnia in inglese è stata pubblicata da Yale University Press in quindici volumi dal 1963 al 1997. Attualmente, non esistono versioni dell’opera omnia in altre lingue. Del corpus delle opere moreane soltanto undici sono state (a volte, parzialmente) tradotte e pubblicate in lingua italiana, incluse alcune, selettive, raccolte delle sue lettere. Il progetto è appena iniziato ed è coordinato dal professor Carlo Maria Bajetta dell’Università della Valle d’Aosta. Il primo volume recentemente tradotto in lingua italiana e in attesa di pubblicazione è l’Apology, l’ultimo scritto di More prima della sua prigionia.
La pubblicazione delle Opere di More in italiano può essere considerata il naturale approdo di un lavoro di ricerca e di studio iniziato circa novant’anni fa, quando personaggi come Castelli, Firpo, Gabrieli, Bertagnoni e altri si cimentarono con i testi moreani, scoprendo una profondità che ancora oggi non è stata completamente esplorata, giacché l’importanza di More diventa evidente ogni volta che ha inizio una nuova stagione.
Ci si augura che attraverso l’opera dei suoi appassionati cultori chiunque si accosti a Thomas More scopra quanto possa essere ricca di spiritualità la vita umana, in tutti i suoi aspetti sociali, politici e culturali.
1 Luigi Firpo, Thomas More e la sua fortuna in Italia, “Il Pensiero Politico”, 9, nn. 2-3 (1976).
2 G.K. Chesterton, A turning point of history, The Fame of Blessed Thomas More, Being Addresses Delivered in His Honour in Chelsea, July 1929, Sheed e Ward, London 1929, pp. 63-64.
3 Cfr Francesco Rognoni, Thomas More e Alberto Castelli: storia di una corrispondenza, in T. Moro, Lettere, scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Vita e Pensiero, Milano 2008.
4 “Il Pensiero politico”, 11, n. 2 (1978), pp. 209-242.
5 I restanti Epigrammi furono tradotti da Luciano Paglialunga, autore di numerosi articoli su More e, soprattutto meritevole per aver tradotto La Supplica delle anime, Ares, Milano 1998.
6 Vittorio Gabrieli tradusse: la Storia di Riccardo III, pubblicata da Giappichelli Torino, nel 1964; Sports and Merry Tales (Facezie), Editrice Adriatica, Bari 1974; W. Shakespeare, Sir Tommaso Moro, I drammi storici, tomo terzo, collana i Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1991; Tommaso Moro, Le Quattro cose ultime con la Supplica delle anime & nell’Orto degli Ulivi, Ares, Milano 1998. Per la rivista “La Cultura” scrisse: I dialoghi di Moro, 3 (1965), pp. 225-273; Giovanni Pico and Thomas More, 3 (1968), pp. 313-332; The Merry Tales of Sir Thomas More, 12/1 (1974), pp. 23-46; Shakespeare e Thomas More, 3/4 (1979), pp. 397-405.
7 Nata il 12 dicembre 1922, compì il corso di studi classici con la laurea in Lettere moderne all’Università di Padova e fu subito attiva nella vita culturale della città interessandosi, oltre che di letteratura, di teatro e di cinema. Fu assai attiva, infatti, fin dalla fondazione, nel Circolo del Cinema e nel Cineforum cittadino; e qualcuno ricorderà ancora il cinema all’aperto La lucciola, da lei fondato e gestito per alcuni anni nel giardino di casa sua con gusto raffinato e con precise mire culturali.
8 Giuseppe Gangale, Marialisa Bertagnoni: la sua folgorante love story con Thomas More, “Morìa, Rivista semestrale di studi moreani”, 3 (2012), pp. 109-110.
9 La laicità e l’incredibile attualità del Santo, che si rifiutò di prestare giuramento a Enrico VIII come supremo capo della Chiesa anglicana, sono riaffiorate in alcuni “spaccati” ben scelti da Virginio Rognoni tra i copiosi testi della produzione letteraria moreana a partire da quello che dice: «Anche se non è possibile sradicare del tutto le opinioni distorte, anche se non riesci a medicare secondo le tue vedute le piaghe di certi vizi inveterati, non per questo si deve abbandonare lo Stato, come non si abbandona una nave nella tempesta solo perché non si possono imbrigliare i venti. Se non potete fare andare bene tutte le cose dovete almeno aiutare perché vadano il meno male possibile»; un testo moreano preso a pretesto per ammonire come non debba venir meno l’impegno politico pur in tempi difficili. Dal fustigatore della politica chiaramente amorale del Cinquecento, quale era stata teorizzata da Machiavelli, al censore severo delle scandalose ingiustizie che caratterizzavano gli Stati cristiani dell’Europa, l’oratore è passato a esaminare le richieste del giurista per una società ordinata con più razionale disciplina. Di vivo interesse il richiamo al desiderio di Thomas More quale cristiano che vuole la Chiesa attenta alla sostanza del cristianesimo e lo Stato veramente una res publica, cioè un bene provvido per tutti non «una congiura di pochi privilegiati», i quali, prendendo a pretesto il servizio da rendere ai cittadini, mirano solo a fare i propri interessi e a sfruttare il lavoro altrui. Esposte alcune riflessioni sul pensiero di More nei confronti della famiglia e del mondo femminile, il professor Rognoni ha accennato a significative azioni politiche animate da una lucida visione europea e ha messo in risalto come carattere peculiare di More la stima che aveva per i valori umani nella loro totalità e il suo fermo proposito di difenderli contro ogni tentativo di conculcarli. Concludendo, Rognoni non ha tralasciato di sottolineare il proverbiale senso dell’umorismo di More.
10 Thomas More e l’amicizia, in Aa.Vv., Il primato della coscienza. Omaggio a St. Thomas More nel X anniversario della proclamazione a patrono dei governanti e dei politici, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, p. 54.
11 Direttore della Biblioteca della Camera, cultore di More e fondatore del Cenacolo di Tommaso Moro, Roma.
12 Cfr Andrew Hegarty, S. Thomas More intercessore dell’Opus Dei, “Morìa”, 6 (2014).
13 L’espressione “uomo per tutte le stagioni” è di R. Whittington, Vulgaria, 1520. Per approfondimenti si possono visitare i siti: www.giuseppegangale.org, www.rivistamoria.org, www.thomasmore.studio
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