I libri salvano la vita. Vorrei esserne convinto, ma forse è too much, come – ahimè – si dice oggi. Quello di cui però sono certo è che i buoni libri sono felici fratture di aria nuova che portano felicità. Hanno la capacità liberante di una gita in montagna: ripuliscono la mente, svelano orizzonti. Sono uno zoom sull’esistenza e raccontano quello che ognuno di noi intuisce nel quotidiano. I grandi libri si spingono più in là, interpretando la realtà e mostrando quello che a prima vista ci sfugge. Come l’Iliade che racconta di duelli sotto la rocca di Troia e poi rimanda alla caducità della nostra vita e ai suoi affetti più profondi.

Prendendo spunto da Stepping Stones, splendida autobiografia di Seamus Heaney (Nobel 1995), verrebbe da dire che i libri sono “pietre di guado”: spuntoni di roccia dove appoggiare i piedi tra le acque, talvolta vorticose, della vita.

Le parole di Luigi Cappello

Tra gli esempi più “vivificanti” in cui mi sono imbattuto c’è la storia di Pierluigi Cappello (1967-2017), poeta grande e sfortunato. A sedici anni era un ragazzo carico di promesse: un atleta che volava sugli ottanta metri e che sognava di diventare pilota. Un incidente in moto gli spezzò la schiena e tutti i progetti inchiodandolo per sempre sulla sedia a rotelle. Nei bui momenti in ospedale quel ragazzo ricordò la felicità di aver letto Moby Dick su un ippocastano vicino a un fiume.

Forte di quella memoria, si fece riportare il capolavoro di Melville e riscoprì gli spazi di libertà donati dalla lettura; nella sua autobiografia scrisse: «Non credo esista un mezzo di trasporto più veloce dell’immaginazione; così come non penso esista un propellente più efficace di questa per spingere la nostra libertà al di fuori di noi stessi. Un uomo seduto che legge non sta fermo; anzi: quanto più sta fermo e concentrato nella lettura, tanto più è alle prese con un viaggio nelle profondità cosmiche di sé stesso»[1].

Per conoscere questo poeta, c’è anche Il tuo sguardo illumina il mondo, bellissimo memoir di Susanna Tamaro che racconta la sua amicizia con Cappello, la libertà interiore dell’autore friulano e la sua capacità di amare le piccole cose (i bucaneve raccolti in riva al torrente, la stufa nella casa di pietra di Chiusaforte, la scrittura a matita su piccoli quaderni).

Il silenzio nel caos di oggi

Il nostro tempo ansiogeno vela i nostri occhi con una sorta di cataratta. Il dover essere schiaccia l’essere, e anche la pausa estiva talvolta è una rincorsa alle scadenze. L’imperativo è di essere felici in quello che appare l’unico spazio “autentico” della nostra vita. Ecco allora che può venire in soccorso il libro come “pietra di guado”. Per “staccare” e ritrovare un eden di piccole gioie perdute. Negli ultimi anni sono debitore a molti libri. Camminare di Erling Kagge mi ha insegnato a riscoprire la felicità del “trekking urbano”, la Leggenda dei monti naviganti di Paolo Rumiz la bellezza dei borghi sperduti tra le montagne.

Le riflessioni di Eugenio Borgna mi hanno portato su alcune parole chiave come Mitezza, Tenerezza o Speranza e Disperazione. Da Gli autonauti della cosmostrada ovvero Un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia di Julio Cortázar e Carol Dunlop ho appreso che si può vivere un viaggio intenso come l’Odissea anche a bordo di un pulmino Volskwagen scegliendo per giorni di non uscire dall’autostrada e percorrendo 800 km a passo di lumaca. Stanotte guardiamo le stelle di Alì Ehsani (con Francesco Casolo) mi ha portato a vedere con occhi nuovi la tragedia dei barconi in mare.

Ho appreso anche che l’elenco sconfinato di traslochi narrati da Paul Auster in Diario d’inverno può essere un esame di coscienza su quello che conta nella vita.

Tornare all’infanzia

Come trovare però le “pillole della felicità” nella straripante produzione editoriale? I buoni amici servono proprio a questo e non importa se siano in carne e ossa o siano i nostri autori prediletti (i nostri abbonati sanno che le Letture di Cavalleri sono un formidabile Zibaldone di suggerimenti). E per questo io non finirò mai di ringraziare la giovane prof. delle medie in camice nero che un giorno mi portò di fronte a una vetrata all’ultimo piano della scuola consigliandomi Il corsaro nero di Salgari.

Quel pomeriggio non riuscii a staccarmi dalle sue avventure e dal suo lacerato amore per Honorata, figlia del suo acerrimo nemico Wan Guld: fu l’inizio di una passione senza ritorno per i libri…

Già, forse è vero che non possono salvarci, ma possono farci, questo sì, molto felici.

[1] Pierluigi Cappello, Questa libertà, Rizzoli, Milano 2013, pp. 7-8.