Una morte felice, quella di Alain Delon. Senza tragedie, discreta, al termine di una vecchiaia tranquilla, protetta da un impermeabile come quello indossato in tanti film, con sulla testa una coppola Borsalino (come nel film omonimo), nell’ombra. Alain Delon, attore talentuoso, è ormai una leggenda. Con lui muore un mondo, quello di una Francia del cinema che se n’è andata per sempre. Si eclissa la galassia che ha avuto per stelle Jean Gabin, Lino Ventura, Jean-Paul Belmondo, Romy Schneider e pochi altri. Tutti artisti che hanno rappresentato molto per l’immaginario collettivo. Idoli di intere generazioni, che hanno portato con stili diversi in Francia valori e ideali (non sempre virtuosi) provenienti in gran parte dal cinema di Hollywood.

Fine di un mondo

Alain Delon è mancato domenica 18 agosto all’età di ottantotto anni. Pochi attori si sono dedicati con altrettanta intensità al cinema. Era nato l’8 novembre 1935 a Sceaux, una cittadina benestante a dieci chilometri da Parigi, dove il padre gestiva un piccolo cinema di quartiere, e dove la madre, Edith (di origine corsa, con un antenato italiano), lavorava in una farmacia.

Quando aveva quattro anni, i genitori si separarono, e questo provocò in Alain una ferita profonda, che non si rimarginò mai. Al cronista e letterato Bernard Pivot, anch’egli di recente mancato, che nel 1996 gli chiedeva: «Se Dio esiste, che cosa vorrebbe sentirsi dire da lui dopo la morte?», Alain rispose: «Vieni, ti porto da tuo padre e da tua madre, affinché, per la prima volta, finalmente, tu li veda assieme» (Paris Match, 22/08/2024, p. 76).

Alain Delon al Festival di Cannes nel 1958 (Luc Fournol-Photo 12)

Alain Delon al Festival di Cannes nel 1958 (Luc Fournol-Photo 12)

Una gioventù bruciata

Alain frequentò tutte le scuole come interno in vari collegi. Ne cambiò parecchi, perché ogni tanto la combinava grossa e veniva espulso. Un giorno, nel collegio di suore a Issy-les-Moulineaux, fu invitato a far parte del coro. Le sue doti d’artista si erano già rivelate.

Quell’istituto ricevette la visita di Angelo Giuseppe Roncalli, nunzio apostolico (e futuro papa Giovanni XXIII), il quale ascoltò il giovane Alain e gli fece i complimenti, come racconta Thomas Sotinel a p. 2 dell’inserto Alain Delon, mort d’une étoile (Alain Delon, morte di una star), pubblicato con il quotidiano Le Monde il 20 agosto 2024.

Dopo l’ennesima fuga da un collegio, Alain diventa apprendista presso la salumeria del patrigno, a Bourg-la-Reine, dove porta a termine una formazione professionale che non lo soddisfa. Si arruola allora nella marina a diciassette anni e vi rimane per tre anni, combattendo anche come fuciliere di marina in quella che all’epoca si chiamava Indocina francese. Ma ruba una jeep e materiale di guerra, per cui passa i suoi vent’anni in prigione a Saigon e viene rispedito a Parigi.

L’incontro con il cinema

Lavora come cameriere e manutentore, ma passa le notti a Pigalle, tanto che potrebbe diventare uno che vive dei guadagni di più prostitute. Per fortuna però frequenta anche Saint-Germain-des-Prés, e lì conosce alcuni agenti cinematografici che lo convincono a entrare nel mondo del cinema.

La sua carriera è cominciata da circa tre anni quando dà la sua prima memorabile interpretazione in Delitto in pieno sole (1960), girato in Italia da René Clément, tratto dal romanzo di Patricia Highsmith Il talento di mister Ripley. Subito dopo, Luchino Visconti lo sceglie per Rocco e i suoi fratelli (1961) ispirato ai racconti de Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori.

Se con il primo film nasce il personaggio del criminale, indubbiamente uno dei registri più spesso interpretati da Delon, nel secondo l’attore interpreta magistralmente la figura angelica di Rocco, il quale, pur muovendosi ai confini di un mondo fuorilegge, prende su di sé le colpe di un fratello (e non a caso è ispirato alla figura di Alëša dei Fratelli Karamazov).

Gabin, Belmondo, Moreau, Schneider e altri grandi interpreti

In questi anni ha l’occasione di recitare con Jean Gabin, da lui considerato un idolo e punto di riferimento cinematografico, in Colpo grosso al casinò (1963) di Henri Verneuil. Alain Delon incarna spesso figure silenziose, chiuse, in aperto contrasto, ad esempio, con la verve dell’estroverso Jean-Paul Belmondo.

François Mauriac scrive nel 1964 su Le Figaro Littéraire che il giovane Delon «non parla mai così bene come quando tace». C’è in Delon un’ambivalenza tra attore e personaggio. L’attore lavora bene e parla poco, ma la sua è soprattutto un’arte resa intensa dal personaggio, dalla sua presenza fisica, fatta di una bellezza ambigua, seducente e canagliesca, giovanile e terribile, romantica e tragica.

Indimenticabile Gattopardo

Nel 1963, per la seconda volta, Delon lavora sul set con Luchino Visconti per Il Gattopardo, nel quale interpreta il principe Tancredi Falconeri accanto a Burt Lancaster e Claudia Cardinale.

Da quel momento, Delon diventa sempre più spesso una figura del cinema francese commerciale (non sempre con film di grande successo o di eccelsa qualità), e i suoi film (o telefilm) sono in genere polizieschi (per molti anni, avrà la sua casa di produzione, Adel Productions, e lavorerà a volte come regista).

Impersona il solitario – poliziotto o delinquente che sia – che oppone alla società una violenza fredda, un’indifferenza quasi affascinante per la sua forza; oppure è un giovane o un uomo maturo, un po’ effemminato, sfrontato, gaudente, arrivista, play-boy e rubacuori come in La piscina (1969) che lo vede accanto a Romy Schneider e Maurice Ronet. Borsalino (1970), ad esempio, film da lui stesso prodotto, dove ha il ruolo principale accanto a quello di Belmondo, è ispirato a un libro su due criminali marsigliesi, Carbone e Spirito, che negli anni Trenta misero a ferro e fuoco Marsiglia.

Più impegnato invece il film Mr Klein (1976), dove recita accanto a Jeanne Moreau: Robert Klein è un uomo sulla quarantina che, nella Parigi occupata del 1942, colleziona opere d’arte, vive in una lussuosa residenza e ha una giovane amante. Da incallito affarista, non esita ad assicurarsi a metà prezzo quadri antichi di cui qualche ebreo in difficoltà è costretto a disfarsi.

La sua sicurezza s’incrina il giorno in cui scopre l’esistenza di un suo omonimo, verosimilmente un ebreo, il quale cerca di sottrarsi alle persecuzioni razziali attribuendogli la propria identità.

Collezionista d’arte

A partire dal 1969, Delon ha speso gran parte del suo patrimonio nell’acquisto di opere d’arte. Diceva: «Qualcuno si compra belle macchine, altri vanno a puttane, io personalmente preferisco i quadri».

Amava il XIX secolo e aveva una passione sconfinata per Géricault, ma anche per Delacroix, Millet e Corot. Possedeva anche quadri dei pittori fauves, in particolare Braque. Probabilmente i suoi numerosi soggiorni in Italia contarono non poco nella sua passione per l’arte. Tra un film e l’altro, gli piaceva visitare a lungo i musei.

Aveva acquistato una formidabile collezione di disegni, tra cui vari italiani: alcuni furono esposti al Palais de la Bourse a Parigi nel 2010, per il Salone del disegno (Salon du dessin): Pontormo, Veronese, ma anche Dürer, Rembrandt, Rubens, Degas.

Spiegava in un’intervista: «Il disegno è il primo getto, il primo pensiero di un artista». Scherzando, diceva che la differenza tra i collezionisti come i banchieri e lui, era che i primi hanno un limite, a un’asta devono fermarsi a una certa cifra.

Lui invece, poteva permettersi di superarla (Harry Bellet, Le Monde, 20 agosto 2024, p. 4 dell’inserto Alain Delon, mort d’une étoile). Negli anni Novanta, Alain deciderà di vendere all’asta gran parte della sua collezione.

Passione politica

Alain Delon si esprimeva di rado, ma in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica non mancava mai di esprimere la sua simpatia per i candidati della destra gollista: ad esempio nel 1981 quando fece campagna per la rielezione di Valéry Giscard d’Estaing.

Nel 2013 ha suscitato alcune polemiche una sua intervista al canale televisivo francese France 5 in cui affermava che «l’omosessualità è contro natura» e in cui si opponeva alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. Dal 2015, l’attore ha iniziato a manifestare simpatie per l’estrema destra di Marine Lepen; nel 2022, ha invece dichiarato di sostenere alle elezioni presidenziali la candidata del centro-destra Valérie Pécresse, definendola l’unica donna in gamba in grado di governare all’Eliseo.

L’ex Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy ha recentemente scritto di lui: «La sola persona che ha continuamente amato e messo su un piedistallo è stata la Francia, che venerava, come l’ha venerata il generale de Gaulle» (Paris Match, 22/08/2024, p. 50).

E fede religiosa

Il suo rapporto è stato talvolta conflittuale con la religione cattolica nella quale è stato battezzato, eppure, ha ammesso che il cattolicesimo lo ha influenzato e, in più occasioni, si è detto un devoto della Madonna definendola «La donna più importante della mia vita» (come ha ricordato Matilde Amorosi in un articolo del 2019, ripubblicato su Famiglia Cristiana il 19 agosto 2024).

Alain aveva fatto costruire nel 2000 una cappella nella sua proprietà francese di Douchy, che dal 2000 è stato il luogo del suo buen retiro, e amava farsi fotografare accanto all’altare (per esempio per i fotografi di Paris Match, rivista che gli ha dedicato molto spazio questi ultimi anni, e anche un numero monografico citato sopra il 22/08/2024).

Senz’altro l’approssimarsi della morte, sapeva di avere un linfoma incurabile, lo ha portato a una maturazione della propria fede. Nel 2017, nei giorni in cui annunciava il suo ritiro dal cinema, l’attore ha confidato il suo rammarico per non avere mai interpretato il ruolo di Gesù Cristo. «Un personaggio meraviglioso», ha spiegato, che avrebbe voluto proporre, nella sua dimensione più umana, quella di «un figlio devoto, sempre illuminato dall’amore tenero e protettivo della Madre».

Tanto che Alain ha chiesto per sé un funerale cattolico, che si è svolto per pochi intimi il 24 agosto, nell’intimità familiare. La cerimonia è stata presieduta da mons. Jean-Michel Di Falco, vescovo emerito di Gap, il quale ha ricordato che rispettava così le ultime volontà dell’attore: «È stata una richiesta sua», ha precisato il prelato, che conosceva il defunto.

Dichiarazioni a fine carriera

Dopo una serie di articoli che il quotidiano Le Monde gli aveva dedicato nel luglio 2018, Delon volle farsi intervistare lungamente dal critico cinematografico Samuel Blumenfeld. (Gran parte dell’intervista è ripubblicata da Samuel Blumenfeld nel già menzionato inserto Alain Delon, mort d’une étoile).

«Tutto quello che ho fatto al cinema, l’ho vissuto», dichiara, come poi ripeterà spesso. «Tutto ciò che sono diventato, lo devo all’esercito. Devo all’esercito la disciplina, i rapporti con gli altri, con il capo, con i vice, l’azione, la paura».

Delon si dichiara sia caratterista, che è un mestiere che ha imparato sul set grazie a maestri come René Clément e Luchino Visconti, sia attore, cioè uno che vive le proprie parti. «Ho sempre vissuto le mie parti. Non le ho mai semplicemente recitate». Si considera una personalità al servizio del cinema, e in questo si sente più “hollywoodiano” che francese, si sente vicino ad attori come Steve McQueen.

Romanticismo cupo e triste

Se Gérard Depardieu è stato soprattutto un ottimo interprete dei romanzi di Balzac e Dumas, per la sua voce e la sua corporatura, Delon sembra invece una figura caratterizzata da un romanticismo cupo e triste che potrebbe avere per padrino Alfred de Musset, famoso per il suo romanzo sentimentale, ispirato a vicende autobiografiche, Confessione di un figlio del secolo (1836), che narra gli amori, le gelosie e i tradimenti di Octave. Come Musset, sembra aver sofferto nei suoi ultimi anni la malattia del disincanto.

Delon incarna forse più ancora l’ideale che Stendhal ha descritto nelle figure di Fabrizio Del Dongo e di Julien Sorel: quello di un eroe alle strette nel suo piccolo mondo, che sogna invece la gloria; eroi di modeste origini, sulle prime maldestri, poi insolenti se non raggiungono i loro obiettivi; e che infine (nella Certosa di Parma) si rinchiudono con fierezza nel loro passato.

Circa novanta film, quasi sempre le stesse espressioni e ruoli simili: Delon impersona soprattutto all’inizio la foga della gioventù, il seduttore impenitente; poi sempre un uomo indaffarato in loschi traffici e/o nel crimine, come un leone insolente; infine, l’uomo al crepuscolo della vita, che non perde mai coraggio e maestosità.