È una colorata luna blu appesa al cielo, la Terra, in La sorpresa dell’amore, spettacolo prodotto da Pacta dei Teatri e Centro Teatrale Bresciano, messo in scena (oltre che a Brescia, Teatro Sant’Afra, a inizio marzo) al Pacta Salone di via Ulisse Dini, zona Abbiategrasso, periferia sud di Milano. Riaperto da qualche anno, il Salone, ex Crt, è lo storico teatro fondato con il Teatro dell’Arte nel 1974 da Sisto Dalla Palma (1932-2011), allievo di Mario Apollonio e docente all’Università Cattolica. Dalla Palma «sborghesizzò» la scena italiana portando a Milano il grande teatro di ricerca internazionale (Wilson, Grotowski, Kantor, Foreman, Monk, il Bread and Puppet, l’Odin Teatret di Eugenio Barba) e scoprendo talenti italiani come Sandro Lombardi, Federico Tiezzi, Gabriele Vacis o Emma Dante.
La sorpresa dell’amore
È una pallida luna blu la Terra in La sorpresa dell’amore di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1688-1763), regia di Paolo Bignamini, con Miryam Chilà, Maria Eugenia D’Aquino, Riccardo Magherini, Annig Raimondi, Antonio Rosti. Appeso lassù, il nostro pianeta si allontana con le sue angosce di guerre, pandemie e brutalità, per lasciare spazio all’amore, legame autentico, pudico, passionale che visita donne e uomini scompaginando i loro piani e le loro vite.
È ancora una Francia da Ancien Régime quella in cui nasce l’opera di Marivaux, datata 1722. Le classi sociali mantengono le loro distinzioni. Il nobile Lelio e il suo anziano paggio Arlecchino sembrano aver archiviato ogni legame sentimentale, feriti da tradimenti e sofferenze patiti in passato. Essi si trasferiscono in campagna per eludere la compagnia di altri esseri umani. Non casualmente, tuttavia, avviene il loro incontro con una contessa vedova e con la sua valletta Colombina, animate dagli stessi propositi di isolamento misantropico. Se è vero che «in amore vince chi fugge» qui tutti scappano da qualcosa. Inevitabilmente tutti cadono come topi nella trappola ordita da un Cupido che ha nascosto arco e frecce, ma non rinuncia ai propri tranelli.
Il testo procede a pennellate nitide. È fresca e briosa la traduzione di Paola Ranzini dell’Institut Universitaire de France e Avignon Université. Lo spettacolo conta sul sostegno del progetto Scènes Européennes Marivaux. Consente di accostarsi a un autore vivace per notazioni realistiche e finezza dell’indagine psicologica, ma pochissimo rappresentato in Italia.
La scena costruita da Anusc Castiglioni è una sorta di Isola degli schiavi (per citare un’altra commedia di Marivaux, del 1925) in cui ha fatto naufragio non una nave, ma un aereo. La scena è un cerchio magico che prova a esorcizzare l’amore. Ma quest’isola è uno scoglio senza difese né pretese. L’amore incombe. Come il mare preme da ogni direzione, e diventa onda anomala che travolge indistintamente i protagonisti.
Commedia dal retrogusto amaro
Un baule, un divano e un tavolino d’epoca dentro il perimetro di questo spazio circoscritto. La regia di Bignamini fa saltare ogni coordinata spazio-temporale. La Terra appesa al soffitto allontana ogni affanno che rimandi alla quotidianità. Qui l’amore è Empireo dantesco: osserviamo distanti, preoccupati, sornioni «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Paradiso XXII, 151).
I personaggi sono mutevoli. Tutti si allontanano da un passato con cui s’illudono di aver chiuso i conti. Lelio (Magherini) e Arlecchino (Rosti) rappresentano la spavalderia di chi minimizza le insidie dell’amore e poi crolla sui piccoli dettagli. Più giudiziose e avvedute, la contessa (Raimondi) e Colombina (D’Aquino) si mettono in gioco per prime e non tardano ad abbandonarsi alla verità dei sentimenti.
Esse valorizzano l’attimo. Vivono con meno assilli degli uomini le sorprese del futuro, sul quale capiscono di non avere controllo. In aggiunta alle due coppie principali c’è la servetta Giacomina (Miryam Chilà) in totale balia delle oscillazioni del cuore proprio e altrui.
La sorpresa dell’amore è una commedia brillante, con un retrogusto amaro che si dirada progressivamente. L’abbandono ai sentimenti diventa rimedio ai mali. Marivaux scriveva di sé stesso: «ho spiato nel cuore di tutti i ripostigli in cui si può nascondere l’amore quando teme di farsi vedere. Ciascuna delle mie commedie ha lo scopo di obbligarlo a uscire da uno di quei ripostigli». L’autore francese forniva così una puntualissima indicazione di lettura. L’osservazione precisa e squisita del sentimento d’amore è infatti una delle caratteristiche più evidenti del suo teatro. Nel suo sorgere o nelle sue metamorfosi, l’amore urta le convenzioni sociali e mondane, e smaschera le contraddizioni dei personaggi tra essere e apparire. La sorpresa dell’amore ha uno stile gradevole, pieno d’iridescenze. Marivaux avvia un gioco raffinato intorno alla sottigliezza dei casi sentimentali.
I moti del cuore si traducono in un tripudio di colori. Quello che colpisce in questa messinscena, è il totale possesso dell’arte della recitazione. Rosti, Magherini, Raimondi e D’Aquino calpestano da qualche decennio la polvere del palcoscenico, sempre con la stessa passione, e la qualità si vede. Chilà aggiunge quel po’ di freschezza, rendendo più potente il suo personaggio attraverso l’uso di un accento anacronisticamente e smaccatamente siciliano.
La problematicità delle relazioni
Le inflessioni di Trinacria non sono l’unica situazione in cui si adultera il testo a renderlo più intrigante, a scongiurare toni monocordi. Basti pensare al classico Je t’aime… moi non plus (ma nella versione più onirica e incantata di Leon Impala) usato come ouverture, o a Magherini che intona a mo’ di tormentone Io sono un istrione di Charles Aznavour.
Le luci di Fulvio Michelazzi arricchiscono di sfumature la pièce, così come gli svolazzanti costumi d’epoca ibridati di dettagli contemporanei. Ma contemporaneo qui è soprattutto il bisogno d’amore, per quanto la pandemia l’abbia reso più virtuale e la guerra più distante. La sorpresa dell’amore in fondo parla anche della problematicità delle relazioni nell’era dei social. Focalizza l’attenzione sulla cosiddetta philofobia, la paura cioè di abbandonarsi all’altro nella totalità e fiducia, di condividere i propri pensieri e ripostigli dell’anima in modo autentico e profondo, temendo di non essere ricambiati con la medesima intensità e di rimanerne conseguentemente «scottati».
Tutti i trucchi e le schermaglie che fanno normalmente parte del gioco della seduzione sono visti come inevitabile fonte di sofferenza; il timore di rivelare la nostra vulnerabilità, esponendoci senza difese all’altro, ci conduce alla finzione, a interpretare una parte per appurare se e quanto siamo corrisposti. Ma questa fase di studio si supera solo incontrando il vero amore, quello che ci consente di rivelare la nostra essenza spogli di filtri.
Marivaux, insomma, è un maestro della commedia, ma anche un classico che parla alla nostra epoca: piacevole, aggraziato, sa giocare con le parole e con i sentimenti. I suoi testi sono pensati davvero per il teatro: meccanismi che funzionano perché costruiti a pennello per attori in carne e ossa, e non soltanto pagine di letteratura.