Da poco è cominciato un nuovo anno scolastico. Per l’ennesima volta con l’accompagnamento di grandi propositi di riforma e annunci di cambiamenti epocali. Alcuni sono meramente amministrativi, come l’estensione delle tutele Inail agli studenti, la piattaforma digitale ComUnica, certe misure di welfare a favore dei dipendenti; altri vanno incontro a bisogni oggettivi e noti da tempo o confermano azioni già intraprese, come il sostegno alle scuole in reggenza, l’aiuto agli alunni neoarrivati in Italia, i docenti tutor, la formazione.

Poi ci sono le riforme collegate all’ordinamento come la nuova filiera tecnica con il modello 4+2, quattro anni di scuola superiore e due negli ITS Academy, percorsi integrati con aziende e territori. In realtà una scelta obbligata per mettersi in linea con il resto dell’Europa e limitata a poche scuole (circa 150) e pochi studenti (non più di tremila); e le nuove linee guida di educazione civica che danno spazio alla cultura d’impresa, alla finanza e all’educazione stradale.

Nuovi e vecchi cambiamenti

E infine le azioni vere e proprie di cambiamento, approvate o solo annunciate:

  • divieto di utilizzo dei dispositivi elettronici in classe fino alla scuola media, anche per fini didattici, salvo casi specifici previsti dal PEI o PDP; uso obbligatorio del diario scolastico per assegnazione compiti e studio, per evitare comunicazioni solo via registro elettronico[1];
  • possibile ritorno dei voti in condotta alle medie e valutazione riferita all’intero anno scolastico[2];
  • possibile ritorno alla scuola primaria dei giudizi sintetici (ottimo, buono, sufficiente, insufficiente) in aggiunta alla descrizione del percorso formativo[3];

Si tratta davvero di novità? Non mi pare. Come scriverebbe Enzo Biagi, maestro nelle autocitazioni: si riprende il cappottino autunnale; la cartella; eccetera eccetera.

Ancora una volta la scuola è oggetto di interventi privi di una strategia complessiva, come fosse un mondo avulso dalla società circostante, anche se a parole tutti si impegnano a dichiararne il valore e il ruolo di educatrice dei futuri cittadini. In realtà si interviene solo con palliativi che rispondono a qualche emergenza e senza nessun reale progetto educativo. Perché la scuola, alla fine, è solo un serbatoio di voti. Come dimostra il caso dei candidati perdenti all’ultimo concorso per i dirigenti scolastici, riammessi d’ufficio tramite legge apposita. E senza alcun imbarazzo.

Diario sì o diario no

Che riforma sarebbe rendere obbligatorio l’uso del diario scolastico? Il diario esiste da sempre e spesso, soprattutto nei comprensivi, è dato in omaggio dalle scuole stesse o venduto con prezzo calmierato dall’intervento dei comitati genitori, così per creare spirito di appartenenza. Certo è passato il tempo della mitica “Smemo” (prima edizione 1978) o del diario B.C. (che è quello che usavo io) ma non c’è studente – anche oggi caro ministro – che non porti con sé il proprio diario-agenda-libro e la frase “prendete il diario e scrivete” è quotidianamente pronunciata da molti docenti. Forse il ministro non lo sa ma in primaria nelle classi prime sono i/le docenti in persona a scrivere i compiti per i propri alunni, insegnando che è loro responsabilità svolgerli puntualmente.

Piuttosto semplicistico credere davvero che l’obbligo di usare il diario scolastico serva a “promuovere una maggiore responsabilità e autonomia degli alunni, fin dai primi anni della scuola primaria e proseguendo nella scuola secondaria di primo grado, dosando al contempo il ricorso alla tecnologia. In questo modo, gli studenti potranno imparare a gestire i propri compiti in modo più efficace e autonomo, senza dipendere esclusivamente dalle tecnologie digitali” (circolare n 5274/2024).

Se spostiamo il discorso sugli smartphone vale la pena ricordare che c’è già una normativa chiara che ne vieta l’uso personale. Perfino ai dipendenti in servizio, salvo specifica autorizzazione del dirigente scolastico. Se poi l’intento è quello di disincentivarne l’uso didattico, allora siamo alla regressione.

la mano di un bambino scrive su una lavagnetta nera la scritta "back to schoool"

Back to school (123 rf)

Patto di corresponsabilità

Rimangono la riforma della valutazione nella primaria e il ritorno al voto in condotta. Opinioni contrastanti su questo punto. Il mio parere è che con i numeri tutto sia più chiaro e trasparente, per gli studenti, per i genitori, per i docenti. La scelta per la primaria sembra andare però in una direzione ibrida, quella dei giudizi sintetici (di fatto numeri travestiti da termini verbali) da usare in itinere: ma questa non è una innovazione o una riforma, è un ritorno al passato, cosa che vale anche per il voto in condotta con annessa relativa eventuale bocciatura. Il che dimostra una volta ancora che la scuola è sostanzialmente presa in giro: anni di lavoro per partorire tassonomie coerenti e per lo meno logiche, e poi via tutto con un facile colpo di spugna.

In ogni caso non è di questi annunci-spot che ha bisogno la scuola italiana, ma della condivisione di un progetto educativo, di un patto tra genitori e scuole fondato su valori riconosciuti come tali, cioè come prezioso contributo alla crescita personale di ciascuno. Qualcuno ritiene che questo non sia possibile, io non sono d’accordo e mi piacerebbe dimostrarlo. L’autonomia riconosciuta alle scuole attribuisce ad esse le stesse competenze di un Comune, prima fra tutte la potestà regolamentare. Collegio e Consiglio di Istituto possono dunque deliberare i fondamenti educativi su cui fondare un vero patto di corresponsabilità.

Quali possono essere questi fondamenti?

Prima di tutto la Costituzione che elenca i valori cardine del vivere sociale a cominciare dal lavoro (art. 1) che a scuola significa studio, rispetto delle scadenze e della puntualità, partecipazione, spirito di sacrificio; poi la libertà, e cioè il rispetto degli altri, del loro pensiero, e delle loro cose; infine il reciproco riconoscimento dei ruoli, in una corretta asimmetria tra genitori, studenti e docenti e personale.

Principio cardine dovrebbe essere anche la distinzione tra verità e opinione. Come insegna Hermann Hesse in un celeberrimo racconto breve (Leggenda cinese) che così si conclude:

“Al maestro fu riportato ciò che dicevano di lui novatori e mandarini. Si limitò a riderne e, avendogli i suoi chiesto perché lo facesse, così rispose:

La verità esiste, figlioli, e su questo non c’è niente da ridire. Ma di verità, vale a dire opinioni sulla verità espresse in parole, ve ne sono infinite, e ognuna di esse è tanto vera quanto falsa. E gli allievi, per quanto ci si provassero, non riuscirono a indurlo a ulteriori chiarimenti”.

La priorità deve essere l’Educazione

Educare è un’attività complessa, che però si articola a partire da un’azione semplice, comune a chi cammina in montagna: orientare. Orientamento, infatti, non è indicare la strada da percorrere (che è scelta libera di ciascuno di noi) ma fornire la precisa e chiara distinzione tra est e ovest, orientare è dire all’altro dove si trova l’oriente, perché l’altro possa scegliersi la strada migliore per sé. Per farlo occorre saper sopportare un peso, come ha cantato Vasco, quello di distinguere il giusto e lo sbagliato.

Buoni o cattivi
Non è la fine
Prima c’è il giusto o sbagliato
Da sopportare, da sopportare

Che di per sé è maledetto
Perché divide
Mentre qui tutto
Dovrebbe solo unire

Questo potrebbe (dovrebbe) essere l’asse portante di un vero patto educativo tra famiglie e scuola, per costruire un ambiente capace di favorire la crescita delle persone, attraverso la reciproca educazione adulti-giovani, genitori-docenti. Perché l’impegno di chi lavora nella scuola (e il diritto di chi sceglie una scuola per i propri figli) dovrebbe essere diretto solo a far germogliare ciò che già è dentro ciascuno dei nostri alunni/figli.

È per questo che sono convinto che non sia necessaria una riforma della scuola centrata sugli strumenti, sugli edifici, sulle attività di laboratorio, sulle regole per valutare, ma occorrano invece persone formate, dotate delle competenze e conoscenze disciplinari, ma anche della indispensabile saggezza educativa, che è figlia dell’assunzione della responsabilità educativa da parte di tutti coloro che nella scuola operano, siano essi docenti, collaboratori scolastici, assistenti amministrativi.

La missione di un docente

Riformare la scuola è possibile solo a patto che si riscopra il senso etico del lavoro educativo. E non già ricorrendo al trito ragionamento della scelta di questo mestiere come vocazione, utile solo per mantenere bassi i livelli retributivi; ma riconoscendo l’attualità di quanto Giovanni Paolo I disse agli insegnanti il 17 settembre 1978:

“Gli insegnanti italiani hanno alle loro spalle dei casi classici di esemplare attaccamento e dedizione alla scuola. Giosuè Carducci era professore universitario a Bologna. Andò a Firenze per certe celebrazioni. Una sera si congedò dal ministro della pubblica istruzione. «Ma no, disse il ministro, resti anche domani». «Eccellenza, non posso. Domani ho lezione all’università e i ragazzi mi aspettano». «La dispenso io». «Lei può dispensarmi, ma io non mi dispenso». Il professor Carducci aveva veramente un alto senso sia della scuola, sia degli alunni. Era della razza di coloro che dicono: «Per insegnare il latino a John non basta conoscere il latino, ma bisogna anche conoscere e amare John». E ancora: «Tanto vale la lezione quanto la preparazione».

Agli alunni delle elementari vorrei ricordare il loro amico Pinocchio: non quello che un giorno marinò la scuola per andare a vedere i burattini; ma quell’altro, il Pinocchio che prese il gusto alla scuola, tanto che durante l’intero anno scolastico, ogni giorno, in classe, fu il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire. I miei auguri più affettuosi, però, vanno agli alunni delle scuole medie, specialmente superiori. Questi non hanno soltanto gli immediati problemi di scuola, ma c’è in distanza il loro dopo scuola. Sia in Italia, sia nelle altre nazioni del mondo, oggi: portoni spalancati per chi vuole entrare alle scuole medie e alle università; ma quando hanno il diploma o la laurea ed escono dalla scuola, ci sono soltanto piccoli, piccoli usciolini, e non trovano lavoro, e non possono sposarsi. Sono problemi che la società di oggi deve veramente studiare e cercare di risolvere”.

La scuola non ha bisogno di riforme, ma di docenti e presidi innamorati del proprio lavoro, del proprio compito, capaci di anteporre i diritti dei loro studenti ai propri diritti sindacali, ha bisogno di docenti che studiano, che conoscono e proprio per questo sanno trasmettere il gusto del sapere, o – come hanno scritto due docenti dai quali ho imparato tanto per svolgere questo mestiere – il sapore del sapere, espressione che bene descrive il fine dell’insegnamento, ricerca della verità e trasmissione dei valori, consegna agli allievi di un “metodo”, una strada per cercare il bene.

Insegnanti, genitori, ragazzi

Tutto questo non è facile, ma è sempre più urgente, come già diceva Benedetto XVI nel 2008:

“Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande emergenza educativa, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una frattura fra le generazioni, che certamente esiste e pesa, ma che è l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori”.

Nuovamente… buon anno scolastico.

note

[1] Circolare n. 5274 dell’11/07/2024.

[2] Comunicato del 29 giugno 2024 che fornisce le direttrici cui le scuole dovranno attenersi nell’ambito della propria autonomia.

[3] Emendamento 1.1000 di modifica del DDL n. 924-bis.