Per tutte noi che nel 1982 eravamo bambine, quando Lady Oscar andò in onda per la prima volta su Antenna Nord, quest’anno cade un anniversario importante: il quarantesimo. Ma adesso che siamo cresciute (mi esprimo al femminile perché, ancorché gli estimatori maschi esistano, sono in numero ben inferiore alle donzelle) e abbiamo imparato ormai da tempo che prima del cartone animato fu il manga e che quel manga uscì nel 1972, ebbene sì, dobbiamo riconoscere che quest’anno cade in realtà il cinquantesimo.

Il mezzo secolo di Oscar è l’occasione per Lady dal fiocco blu? Cinquant’anni con Oscar (Graphe.it, Perugia 2022, pp. 156, euro 13,50), un volumetto di Silvia Stucchi che definire delizioso è poco. Un omaggio a un mito e anche un saggio originale e ad alto contenuto filologico che illumina non solo curiosità e dettagli storici sui quali qualcuna di noi si è spaccata il cranio per lustri, ma anche altri aspetti più sottili, perfino insospettati.

I conti con la Storia

A proposito di spaccarsi la testa sulla Storia, quella vera, che fa da cornice alla fiction, l’Autrice dice bene, quando allude al fatto che chissà quante giovani menti si sono interessate e appassionate alla ricerca storica grazie a quelle quaranta puntate: la mia, per esempio.

Se a leggere e a scrivere ho imparato con il settimanale Topolino (chi dimentica le sceneggiature di Rodolfo Cimino?), la prima volta che ho messo piede in una biblioteca vera, la Sormani di Milano, prendendo a poco a poco confidenza con i cassettini metallici contenenti le schede bibliografiche, è stato, inutile negarlo, grazie alla curiosità di capire chi mai fosse chi, in quella storia di Corte e Rivoluzione; chi, insomma, fosse esistito davvero e chi solo nella fervida fantasia di Ryoko Ikeda. Era ancora troppo presto per leggere la biografia di Maria Antonietta di Stefan Zweig, per tacer delle lettere di Fersen o della scandalosa, infamante collezione di porcherie assortite contro la regina scaturite dalla penna di quell’anima nera di Jeanne Balò (Valois) de la Motte (quelle le ho sfogliate inorridita in Braidense, da adulta). Jeanne: che nel cartone perisce nel rogo di un’esplosione, ma che nella realtà fuggì in Inghilterra e compose per l’appunto la sentina di nequizie di cui sopra.

Anime & manga

Quanto alla ricostruzione della verità storica alla base di personaggi e vicende varie, la selva dei personaggi che gravitavano attorno alla corte di Versailles negli anni Settanta e Ottanta del Secolo dei Lumi è talmente nutrita che Ikeda non ebbe certo difficoltà a prendere qua e là qualche talea e a innestarla sulla pianta di rosa (bianca, ça va sans dire) di Oscar, e in quella selva Stucchi si addentra volentieri per fornire delucidazioni anche su altri comprimari (un’attenzione particolare è riservata per esempio alla Du Barry).

L’analisi, filologicamente accurata, restituisce non solo un quadro efficace della genesi della storia, ma anche una precisa collazione-comparazione tra anime (adesso i cartoni animati vanno chiamati così, mi dicono) e manga (genere letterario-fumettistico tipicamente nipponico): il quale manga ho letto, sì, ma senza apprezzarlo molto ‒ per rimuoverlo quasi subito, a onor del vero ‒ quindi il ripasso schematico e preciso offerto dall’Autrice mi ha snebbiato i ricordi e chiarito molte cose (in ogni caso, io insisto a detestarlo, quel manga: foss’anche solo per l’assurdità di André che tenta di farla finita con un esecrabile omicidio-suicidio ‒ un insulto all’eroe, figuriamoci!).

Intrigante, poi, è il suggerimento di certi accostamenti della trama ikediana alla mitologia classica e di alcuni pertinenti rimandi letterari, tra amor cortese e ideali cavallereschi.

Donna ed eroe

Un altro aspetto assai pregevole di questo agile lavoro è la sottolineatura della femminilità di Oscar. In un’epoca come la nostra, che vive di (e vagheggia intorno a) ambiguità vere o presunte, dichiarare con forza e risolutezza che la nostra beniamina è sempre stata genuinamente donna, fin nei precordi (e la mente vola al meraviglioso episodio n. 25, Cuore di donna), dotata di “nettissima identità femminile”, per poi azzardarsi a dire la verità, cioè che Lady Oscar è “essenzialmente una vicenda d’amore”, è quasi rivoluzionario (à propos).

Insomma, diciamolo pure forte e chiaro, Oscar è costretta a vestire i panni di un maschio causa padre generale iper-realista che, ahilui, non riesce a far partorire un erede testosteronico alla consorte: non per chissà quali altri oscuri motivi.

S’intende che madamigella Oscar ci marcia allegramente, su questa faccenda del sembrare un maschio, perché – diciamo pure anche questo – per quanto divertente potesse essere la vita di una giovane dama di corte, vogliamo mettere spassarsela tra duelli e cavalcate, cosa che all’epoca le fanciulle non erano proprio incoraggiate a fare?

In un altro contesto, forse, Oscar si sarebbe innamorata prima: ho sempre ritenuto poco credibile quel suo non sviluppare una cotta tremenda per André fin da bambina o ragazzina, ma ho anche sempre spiegato intuitivamente la cosa con una sorta di misteriosa sublimazione dovuta, appunto, all’ambiente.

E poi il drammone richiedeva a gran voce un unrequited love di quelli strazianti, per quel cuore di donna che le circostanze soffocavano sotto l’uniforme: chi meglio dello splendido Hans Axel di Fersen, innamorato della Regina di Francia e dunque assolutamente inattingibile, avrebbe potuto incarnare il sogno impossibile di una Oscar super-devota alla Corona e in particolare alla coetanea Maria Antonietta? Il quale Fersen per giunta considera lei, la bellissima, biondissima, avvenentissima de Jarjayes, «che nasconde il suo corpo incantevole sotto l’uniforme da ufficiale», il suo “migliore amico”, come dichiara nella memorabile scena del ballo in cui danza con lei senza riconoscerla (perché vestita finalmente da donna, nei panni di una misteriosa duchessa straniera): involontaria pugnalata inflitta alla povera Oscar, che con la sua muta ma eloquente reazione a quelle parole si tradisce infine agli occhi del bel conte.

Quanto abbiamo pianto tutte noi da bambine (e anche dopo), invaghite di Fersen insieme a Oscar! «L’amore può portare a due cose: alla felicità completa o a una lunga e triste agonia», dice lei: e Fersen, che ha quel problemino con la Regina, di rimando afferma che no, l’amore porta «solo a una lenta e triste agonia».

Finale amaro

A proposito di unrequited love, André ama Oscar fin da bambino: ma i reciproci affetti sono ingarbugliati e sottili, quindi il dramma si fa ancora più profondo. Perché lei, in realtà – lo fa notare molto bene Stucchi, esplorando e analizzando ogni singola manifestazione di questo sentimento “sotto traccia” – non è che non lo ami, ma lo ama in modo inconscio, inconsapevole, sublimato in chissà cosa, insomma tirandosi la zappa sui nobili stivali da ufficiale per una vita intera: fino al momento dell’illuminazione, ovviamente troppo tardi; una notte d’amore (la scena osé con loro due nudi avvinghiati nel bosco verso Parigi, tra lucciole vere e stelline e luccichii) e poi praticamente subito la morte, prima lui (tra le braccia di lei che gli dice «ci sposeremo nella chiesetta di Arras», e giù altre lacrime) e poi lei, schiantata da una fucilata davanti alla Bastiglia. E anche sulla logica interna di questo finale amarissimo ma necessario, il volumetto contiene interessanti osservazioni.

Notevole la disamina dell’amicizia tra Oscar e Maria Antonietta (colei che correttamente Stucchi definisce “motore immobile” dell’intera vicenda): il rapporto tra le due donne è complesso, fatto com’è innanzitutto di amicizia profonda e sincera, ma anche di rispetto, lealtà e devozione tali da mettere a tacere la sfumatura di rivalità – comunque a senso unico, perché la regina non sospetta nulla – che avrebbe potuto scatenare il comune amore per Fersen. Ma Oscar è troppo nobile. All’amore per lo svedese ormai ha rinunciato: e allora non le resta che rinunciare eroicamente anche all’amicizia della regina, lasciando il comando delle Guardie Reali; e chiede in ginocchio (letteralmente) di farlo senza dare quelle spiegazioni che Maria Antonietta la implora di darle.

Molto opportuno, infine, anche l’approfondimento del rapporto tra Oscar, André e Rosalie, descritto come dinamica del tipo genitori-figlia (“la nostra piccola Rosalie” è solo un assaggio tra molte allusioni simili); il che irrobustisce ulteriormente, se ce ne fosse bisogno, l’evidenza della coppia Oscar-André (implicita fin che si vuole ma onnipresente, s’intende sempre “sotto traccia” fino alla tragica epifania).

Per concludere: quasi in ogni pagina, perfino in quelle dal carattere più spiccatamente storico-filologico, rilucono i tratti di un’acuta analisi psicologica nella quale si sente vibrare l’affetto (e dunque la comprensione) di una vecchia amica di Oscar. Come lo siamo tutte noi.