Se siamo di fronte a un cambio d’epoca, come riconfigurare la relazione tra fede religiosa e cultura dal punto di vista cattolico? È la domanda a cui risponde in questo studio Pierpaolo Donati, professore di Sociologia nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Alma Mater Università di Bologna, partendo dalla tesi secondo cui la società plurale del secolo XXI è caratterizzata dall’ideologia del multiculturalismo, la cui esaltazione delle differenze e della loro uguaglianza genera, però, il suo contrario: l’in-differenza delle diversità. La matrice cristiana è per essenza relazionale, ma, secondo lo studioso, per rispondere alla matrice multiculturalista che porta all’indifferentismo religioso deve adottare una visione che tratti le differenze come opportunità di relazioni umane che si aprono al senso soprannaturale della vita.

Intervengo sul tema “cattolici e cultura” dopo una lunga serie di interventi molto ricchi e istruttivi pubblicati nei mesi scorsi da “Avvenire” su Agorà. Il mio intento è quello di guardare avanti. Se siamo di fronte a un cambio d’epoca, allora ciò significa che dobbiamo affrontare una morfogenesi della matrice teologica che ispira la cultura della società1. Si tratta di capire che cosa ciò significhi e come possiamo rispondere alle sfide. In ultima analisi, come riconfigurare la relazione tra fede religiosa e cultura dal punto di vista cattolico?

Come tutti sappiamo, l’Occidente si è caratterizzato, nel corso dei secoli, inclusa la modernità, per la sua identità/differenza cristiana. Ma la “differenza cristiana” non sembra più qualificare l’Occidente. Anzi, questa differenza sembra eclissarsi del tutto. Dove va la differenza cristiana? La differenza dell’essere cristiano riguarda solo gli individui (e la loro coscienza interiore) o un’intera cultura? Non può essere comparata a nessun’altra differenza oppure è possibile fare delle comparazioni? Queste sono le domande che mi pongo e a cui vorrei cercare di dare una risposta prospettica.

Non c’è più distinzione dei valori

La società plurale del secolo XXI è caratterizzata dall’ideologia del multiculturalismo2 che, a mio avviso, è diventata la matrice teologica della società odierna. Per questa matrice, le culture (e le religioni) sono “tutte differenti e tutte uguali”. Non è solo il prevalere del “politeismo dei valori”, come direbbe Max Weber, è il fatto che i valori sono resi indifferenti fra di loro, sono resi privi di relazioni significative. Essere cristiani, cattolici o protestanti, ebrei, musulmani, buddisti, induisti, scintoisti, animisti, o altro ancora, inclusa la religione civile dell’umanità o credere nell’universo, diventa una differenza che non fa più differenza, perché – così si dice –, nel clima della globalizzazione, le religioni diventano tutte “uguali”, non solo di fronte allo Stato, ma anche alla coscienza personale, visto che la fede religiosa diventa una questione di scelta individuale.

L’affermazione secondo cui siamo “tutti differenti, tutti uguali” è una comunicazione che poggia sui paradossi e produce solo paradossi. Segmenta la società e produce relativismo culturale3. Così procede l’evoluzione sociale. Fare società non rimanda a dei significati che abbiano un valore comune, ma consiste solo nel produrre comunicazioni che sollevano sempre dei conflitti, dovuti all’incapacità di vivere l’alterità come relazione che unisce le persone mentre le distingue.

La religlione ridotta a un non luogo

Per evitare questi esiti, anche una parte della Chiesa cattolica sembra accettare una situazione di co-esistenza, che si traduce nel creare luoghi in cui le religioni si trovano assieme e convivono accettando una comune stanza del silenzio dove ciascuno prega il suo Dio.

Queste stanze le vediamo negli aeroporti internazionali, ma anche altrove, nei posti dove le tradizioni culturali vengono trasformate in “non-luoghi”, come direbbe Marc Augé4. I non-luoghi sono l’opposto dei luoghi antropologici, sono tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, dunque non producono cultura. Sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei non-luoghi, ma nessuno vi abita.

Differenze = Uguaglianza = Indifferenza

Ciò che la matrice teologica multiculturale non dice è che la contemporanea esaltazione delle differenze e della loro uguaglianza genera il suo contrario, ossia l’in-differenza delle diversità/differenze. L’indifferenza culturale, a sua volta genera un vuoto, che deve essere colmato. Per reazione nascono la cancel culture e la cultura woke, che sono espressioni di questo vuoto.

Se le distinzioni diventano indifferenti, ciò significa che la produzione culturale viene azzerata. È ciò che constatiamo ogni giorno. Tutt’al più ogni cultura può cercare di rinnovare il proprio passato, le proprie tradizioni, la propria letteratura, i propri “classici”, la propria liturgia, e così via. Ma invano, perché la vita è continua rigenerazione delle distinzioni, altrimenti muore. Questo tutte le culture e le scienze lo sanno. Se cessa di fare distinzioni, qualsiasi ente cessa di esistere.

Perciò la domanda diventa: possiamo ancora dire che l’essere cristiano comporta una differenza? In che cosa consiste questa differenza? Come possiamo ripensare e rigenerare la differenza cattolica senza che questa diventi motivo di separazione e conflitto, ma invece di relazioni autentiche, aperte, dialogiche, talmente significative da generare una nuova cultura? Se dobbiamo procedere a dei confronti con altre fedi e religioni, è necessario rispondere ai seguenti interrogativi: quali dispositivi le religioni hanno per operare distinzioni? Come ciascuna di esse fa le distinzioni e quali esiti ne conseguono?

Le matrici culturali “assiali” dell’Occidente

Per rispondere molto sinteticamente, direi che, nel corso degli ultimi due millenni dell’Occidente, sono esistite due grandi matrici culturali di derivazione teologica5.

A partire dall’antichità, la prima matrice culturale è stata, e tuttora è, quella identitaria. Il suo fondamento sta nell’affermare la propria identità, e la fede in Dio, senza mediazioni né interne né esterne [A=A]. Fede e cultura praticamente coincidono perché l’esistenza umana e sociale è concepita come del tutto naturale. Se è possibile una convivenza fra religioni e culture diverse, essa si può al massimo realizzare nel condividere un confine comune fra differenze che comunque si riconoscono come estranee fra di loro (pensiamo al trattato di Westfalia, al sistema dei Millet nell’Impero ottomano, ai ghetti ebraici ecc.). Qui giace sempre la tentazione di ritrovare sé stessi, la propria fede e religiosità, nel creare delle comunità relativamente chiuse, onde salvaguardare la purezza identitaria.

L’altra matrice è sorta con la modernità. È quella dialettica-binaria o dualistica, nella quale oggi siamo pienamente immersi. La differenza diventa dinamica e indeterminata, in quanto si basa su una distinzione binaria (sì/no, 0/1, presenza/assenza ecc.) che tratta l’identità come risultato della negazione di tutto ciò che le è estraneo [A=non(nonA)]. L’identità nasce da una doppia negazione, ed è quindi costitutivamente negativa. E poi è essenzialmente costruttivista (cultura come Bildung anziché come colĕre). Differenza come autopoiesi e incomunicabilità fra Ego e Alter. L’unità della differenza è solo la comune problematizzazione del mondo. La religione non è più la fede in un Dio identitario, creatore del mondo, ma diventa una costruzione socio-culturale. Fede e cultura si dissociano: la fede diventa soggettiva e la cultura sostituisce progressivamente la natura.

La matrice identitaria è in declino

Oggi siamo al punto in cui la matrice dialettica dualistica sta cancellando in modo inesorabile la matrice identitaria legata alle tradizioni, e intende farlo in modo progressivo per andare verso il postumano mediante il complesso scientifico-tecnologico digitale (Information and Communication Technologies [ICT], IA, robotica).

Per quanto il termine sia controverso, le due matrici identitaria e dialettico-binaria possono essere chiamate matrici “assiali” (Karl Jaspers6). Il punto è che entrambe si trovano a fronteggiare una terza matrice assiale, quella che potremmo chiamare matrice tecnologica-digitale. Faccio solo un cenno per farmi capire, perché un discorso approfondito ci porterebbe molto lontano.

Una matrice culturale è detta assiale quando opera una svolta culturale tale che fa ruotare la storia umana, volente o nolente, attorno a un nuovo asse radicalmente differente dal precedente che produce un cambiamento di enorme portata su tutti i piani dell’esistenza umana e su scala globale7. Questa svolta, a mio avviso, oggi consiste nella nascita e nel diffondersi della realtà virtuale/digitale, che va a sostituire il pensiero analogico su cui il cristianesimo ha elaborato tutta la sua cultura nei secoli.

L’Ia diventa forza autonoma

Le nuove tecnologie (ICT-tecnologie dell’informazione e comunicazione, intelligenza artificiale, robotica), come afferma Luciano Floridi8, cessano di essere dei semplici strumenti che permettono alle persone di padroneggiare la cultura, per diventare forze autonome che modificano: 1) la nostra autoconcezione (chi siamo); 2) le nostre interazioni reciproche (come socializziamo); 3) la nostra concezione della realtà (la nostra metafisica); 4) le nostre interazioni con la realtà (il nostro agire).

Ecco, dunque, come si modifica l’asse della cultura. L’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e la loro adozione da parte della società influenzano radicalmente la condizione umana, nella misura in cui modificano le nostre relazioni con noi stessi, con gli altri e con il mondo. La sempre crescente pervasività delle ICT scuote i quadri di riferimento consolidati attraverso le seguenti trasformazioni: l’offuscamento della distinzione tra realtà e virtualità; l’offuscamento delle distinzioni tra umano, macchina e natura; l’inversione dalla scarsità di informazioni all’abbondanza di informazioni; e il passaggio dal primato delle entità al primato delle interazioni9.

La differenza culturale diventa quella fra la realtà analogica e la realtà virtuale (quella del metaverso, per intenderci). La cultura si fa “virtuale”, creando mondi artificiali apparentemente simili a quelli della realtà analogica, ma in verità fittizi, interconnessi e fusi fra di loro, oltreché con la realtà analogica.

La sfida della matrice tecnologica-digitale a quella cristiana

Qual è, o può essere, la risposta cristiana, e in specifico cattolica, a questa sfida?

La matrice cristiana è per essenza relazionale. Concepisce la differenza non come confronto fra identità predefinite, né come opposizione dialettica, né come opposizione fa analogico e virtuale, bensì come relazione interpersonale. L’identità differente è originaria in quanto è derivata – per differenziazione – da una comunanza (originaria), e la comunanza è – a sua volta – costruita o distrutta dalla relazione fra i termini distinti. Qui si colloca la visione cristiana. Ovviamente il riferimento è al mandatum novum del Vangelo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Si potrebbero citare tantissimi autori, accomunati dall’aver tratto le conseguenze dalla teologia trinitaria cristiana (da Gregorio di Nissa ad Agostino di Ippona, a Tommaso d’Aquino).

Tuttavia, queste tradizioni, che si sono avvalse della matrice identitaria e sono entrate in crisi con la matrice dialettica-binaria, se oggi vogliono affrontare la matrice tecnologica-digitale debbono ripensare il concetto di relazione e le pratiche relazionali10.

Un suggerimento ci viene da Romano Guardini, che ha definito la relazionalità come “opposizione polare”, ossia come un «particolare rapporto in cui due momenti si escludono l’un l’altro e tuttavia si collegano l’un l’altro, anzi […] si presuppongono l’un l’altro». La distinzione è interpretata come fenomeno che emerge da una tensione relazionale. Con Guardini possiamo dire che “il concreto vivente” esiste nella “opposizione polare”: se viene meno la distinzione, viene meno la vita. Ritorna la domanda: qual è la opposizione polare del cristiano?

Relazione e non-relazione

Potrei definirla semplicemente così: l’opposizione fra relazionale e non-relazionale. Ossia la necessità che il nuovo mondo culturale, lo si chiami Infosfera o matrice tecnologica digitale, sia messo di fronte alla domanda di quali siano le relazioni favorite dai nuovi prodotti culturali, quelli multiculturalisti, come le teorie del gender o della maternità surrogata, ma anche e in particolare i prodotti delle tecnologie digitali basate su algoritmi. Il quesito è: le relazioni interumane vengono aiutate e fatte fiorire oppure vengono seccate, alienate, manipolate, e così via?

La matrice culturale relazionale di cui abbiamo bisogno è quella per la quale le differenze culturali non sono confronti fra identità pre-date, né tantomeno costruzioni dualistiche, e nemmeno realtà virtuali, ma sono diverse modalità di vivere la relazione che è analogicamente costitutiva della identità sia di Ego sia di Alter. Potremmo quasi parlare di “un eterno ritorno della matrice relazionale”, come anni fa Heinrich Rommen parlò di un eterno ritorno del diritto naturale. Tuttavia, non si tratta più, come pensava Rommen, di una natura pre-supposta, bensì di una natura in opposizione polare con la cultura.

La terza via del cristianesimo

Per farla breve, il cristianesimo ha sviluppato una matrice teologica del tutto peculiare quanto alla relazionalità che pone tra fede e ragione, tra divinità e umanità, fra trascendenza e immanenza. Si tratta di sviluppi che hanno portato il cattolicesimo ben oltre le matrici identitarie e dialettiche, in quanto il pensiero relazionale ha elaborato la differenza credente/non-credente salvando l’umanità di entrambi, e quindi concependo la differenza come uno scarto che si presenta in entrambi i lati della distinzione credente/non-credente: sia il primo sia il secondo sono ugualmente peccatori, così come sono entrambi persone umane, per cui la loro differenza rimanda a una relazione con Dio che non li rende estranei, refrattari, necessariamente configgenti fra loro, ma – al contrario – li accomuna in un comune destino sulla terra.

La laicità del cristiano può così reclamare la sua distinzione con la laicità del non-cristiano per essere più comprendente e inclusiva rispetto a quest’ultima, che è identitaria o dualistica.

È a questo punto che il cristianesimo, se vuole ridistinguersi, deve ricorrere a una “ragione relazionale” che consenta di indicare una differenza – quella cristiana – che non opera né tenendo separati gli estranei, né mettendoli in conflitto fra loro, e senza renderla virtuale. La Chiesa è certamente segno di contraddizione come sostiene Massimo Cacciari11, ma la contraddizione non è il segno distintivo del suo modo di operare. Adopera un altro tipo di relazionalità.

Cultura come stile di vita

In sostanza, la differenza cristiana sta nel rimandare a una matrice teologica che fa uso di una semantica relazionale della differenza, che nessun’altra matrice teologica ha. È questo che la distingue da tutte le altre identità religiose (i non-cristiani). Con le altre identità il cristiano instaura una tensione relazionale che va alla ricerca di ciò che accomuna i poli mentre li distingue, cercando non già un compromesso sui confini o un rapporto di reciproca inclusione/esclusione, ma l’amicizia come reale scambio di beni fra persone e fra gruppi sociali, e dunque come creazione di beni relazionali, non un semplice rispetto reciproco a distanza o una mescolanza confusiva. La cultura, per il cristiano, è figlia di relazioni di amicizia orientate al bene reciproco.

L’amicizia sgorga dalla persona umana, e solo da essa, ma non può essere un fatto individuale. Non si può essere amici in quanto individui. L’amicizia è il riconoscimento di qualcosa che non appartiene a nessuno dei due pur essendo di entrambi. Essa è, come la società, di tutti e di nessuno. Per essere amici bisogna essere almeno in due e condividere e scambiare qualcosa. A prescindere da quel “qualcosa” (che implica una inter-soggettività, ma anche modi non-individuali di riconoscimento), è la con-divisione (la rel-azione, o azione reciproca) che dà senso e forma e contenuto all’amicizia.

E la condivisione non può essere certo un fatto spiegabile in termini di individui, anche se, d’altra parte, non è certo una realtà collettiva a sé, non è imposta da nessuna autorità impersonale. Nessuno dei due può viverla come qualcosa di imposto e di esterno. Entrambi hanno creato una relazione che, pur dipendendo da loro, ha delle premesse che non dipendono da loro e implica cose che vanno al di là delle loro individualità. Essa implica un “dividere assieme” che chiama in gioco ben altro delle due individualità.

Le diverse tipologie di cultura

Che conseguenze pratiche ha questo discorso a proposito di cultura? Sul piano pratico, la matrice relazionale implica una concezione della cultura come modus vivendi, come stile di vita. I manuali di sociologia della cultura indicano tanti e diversi significati di cultura12, che ritroviamo anche nei contributi pubblicati su Agorà. Ma bisogna distinguere fra la cultura come sistema di idee contenute nei libri e nelle biblioteche e la cultura come prodotto delle interazioni socio-culturali13. Molti si riferiscono al primo significato, senza considerare il fatto che la cultura non è un insieme di idee, concetti, frasi scritte nei libri, ma è una realtà viva che viene interpretata e reinterpretata ogni giorno nelle interazioni e relazioni sociali quotidiane.

La cultura come realtà socio-culturale, per un cristiano, è quella che crea beni relazionali, dalla famiglia a tutte le realtà della comunità locale. Che si tratti di incontri, conferenze, educazione popolare, lettura di buoni libri, eventi di entertainment, e così via, fare cultura significa viverli come relazioni inclusive non per assimilazione o meticciato, ma per un reale scambio di beni animato dal desiderio di comprendersi e, per un cristiano, di santificare le relazioni di vita quotidiana.

Il ruolo della Chiesa

Sul piano ecclesiale implica una definizione relazionale della Chiesa come popolo di Dio, plebs adunata nel sentire trinitario (come afferma san Cipriano). Implica una nuova relazionalità fra gerarchia e laicato che, nella distinzione dei ruoli, valorizzi l’agire autonomo dei laici battezzati che cercano di dare un senso trinitario alle realtà temporali, incluse le culture “altre” in ciò che hanno di buono. Purtroppo, c’è ancora chi assimila il concetto di fedeli a quello di laici14, come se i laici fossero i seguaci della gerarchia e del clero, mentre sono coloro che hanno un compito precipuo:

Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi […]. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, a ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero (Gaudium et Spes, 43).

I pastori dovrebbero essere sussidiari ai laici, e non viceversa. Sul piano educativo, implica andare oltre i modelli formativi descritti con acume da Amedeo Cencini15, quelli preconciliari ispirati a una perfezione irraggiungibile, e quelli postconciliari dell’autorealizzazione o dell’autoaccettazione. Il modello di formazione integrale da lui proposto, tuttavia, rimane centrato sull’individuo, sostenuto da maggiori competenze psicologiche, mentre dovrebbe essere centrato sulla formazione alla relazione di alterità, umana e soprannaturale16. Un modello poliedrico, e non sferico, come l’ha definito papa Francesco (Evangelii Gaudium, 236). Sul piano pastorale, significa valorizzare le reti di relazioni sul territorio così come nei movimenti associativi.

La differenza come opportunità

In sostanza, fare cultura per rispondere alla matrice multiculturalista che porta all’indifferentismo religioso significa adottare una visione che tratti le differenze non come uguaglianze, ma come opportunità di relazioni umane che si aprono al senso soprannaturale della vita.

In un mondo fatto di relazioni sempre più complesse, una cultura cristianamente ispirata si può produrre solo nei luoghi in cui si vive una dimensione attiva e dinamica dell’accoglienza reciproca, mettendo alla prova le proprie convinzioni religiose con chi ha un altro modo di vita per creare delle forme di convivenza tra diversi in cui il cristiano propone il suo modo di vivere, abitare, lavorare, essere famiglia, fare economia, generando beni comuni. Cultura, dunque, come costruzione di luoghi sociali fluidi perché relazionali, dotati di mentalità laicale come si legge nella Lettera a Diogneto, e quindi basati sulla coesistenza e l’intreccio di una molteplicità di luoghi che condividono pratiche relazionali e interagiscono fra loro. Luoghi che alimentano la dignità delle persone, creando per loro opportunità di spiritualità, pensieri e desideri di una relazionalità che connette terra e cielo nella vita quotidiana.

 Note

1 P. Donati, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010.

2 C. Taylor, Multiculturalismo, Anabasi, Milano 1993.

3 Per fare un esempio, prendiamo il caso delle differenze fra identità sessuali. Seguendo l’ideologia del multiculturalismo, l’identità sessuale è una questione soggettiva e questo porterebbe più eguaglianza fra i sessi. Come afferma Concita De Gregorio (Nella differenza cresce l’eguaglianza, “La Repubblica”, 11 agosto 2024, p. 25), «è nella differenza che cresce l’eguaglianza. Non importa che tu definisca chi sei, importa che tu sia libero di esserlo». Dunque, a suo parere, l’eguaglianza consisterebbe nel fatto che una persona «si sente più libera a non definirsi sessualmente: lei lo sa chi è». Questa posizione non comprende che l’eguaglianza intesa come libertà di autodefinire la propria identità crea più diseguaglianze e relativismo culturale. Per esempio, se un maschio si autodefinisce donna e gareggia nello sport con le donne, si creano nuove disparità, e l’eguaglianza fra le donne scompare.

4 M. Augé, Nonluoghi: introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthèra Editrice, Milano 2009.

5 Per maggiori dettagli si veda P. Donati, Il destino dell’umanesimo: il Terzo (incluso) come relazione fra umano e sociale, “Annales Theologici”, 36 (2022), pp. 177-198.

6 K. Jaspers, Origine e senso della storia, Mimesis, Milano 2014 (ed. originale 1949): «Un asse della storia mondiale, supposto che ne esista uno, dovrebbe essere trovato empiricamente, come un fatto valido in quanto tale per tutti gli uomini, compresi i cristiani. Tale asse dovrebbe essere situato nel punto in cui fu generato tutto quello che, dopo d’allora, l’uomo ha potuto essere, nel punto della più straripante fecondità nel modellare l’essere-umano; esso dovrebbe essere, per l’Occidente, l’Asia e tutti gli uomini, senza riguardo a un determinato contenuto di fede, se non empiricamente cogente e palese, perlomeno così convincente dal punto di vista della penetrazione empirica da dar vita a una struttura comune di autocomprensione storica per tutti i popoli».

7 Si veda, tra gli altri, P. Costa, La sfida teorica dell’assialità, “Politica & Società”, 2 (2015), pp. 169-190: «L’immagine che la metafora dell’assialità vorrebbe evocare è quella di un cambiamento di tale portata, o meglio di tale “gravità”, da spingere la storia umana a ruotare volente o nolente attorno a esso dal momento della sua realizzazione. Trattandosi di un cambiamento culturale, la transizione in questione presuppone una scoperta (o invenzione) allo stesso tempo così gigantesca e a tal punto innovativa da poter essere considerata allo stesso tempo come contingente (cioè non determinata da cause naturali), prevedibile (talmente sostanziale da rendere quasi inevitabile il suo verificarsi) e fondamentalmente irreversibile (destinata a durare, a scanso di catastrofi talmente grandi da produrre effetti regressivi sull’intera forma di vita investita dal cataclisma)».

8 L. Floridi, The Informational Nature of Personal Identity, “Minds & Machines”, 21 (2011), pp. 549-566; Id., La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina, Milano 2017.

9 Id. (a cura di), The Onlife Manifesto. Being Human in a Hyperconnected Era, Springer, New York 2015.

10 P. Donati, Being Human in a Virtual Society. A Relational Approach, Peter Lang, Berlin 2024.

11 M. Cacciari, Se la Chiesa è contraddizione avrà vicino laici pensanti, “Avvenire”, 22 maggio 2024: «Il pensiero è pensiero quando è segno di contraddizione e la Chiesa è Chiesa quando è segno di contraddizione. Come il messaggio evangelico che non porta a un irenismo e un pacifismo astratto. Se la Chiesa si pone così rispetto all’opinione comune e all’andazzo dei tempi, alle ideologie del mondo, avrà sempre qualche rapporto, magari polemico, con il pensiero laico e anche con l’ateo. Perché c’è un ateismo della totale indifferenza e ci sono atei che credono».

12 Si vedano, per esempio: W. Griswold, Sociologia della cultura, il Mulino, Bologna 2005; D. Cuche, La nozione di cultura nelle scienze sociali, il Mulino, Bologna 2006.

13 M.S. Archer, Culture and Agency, Cup, Cambridge 1988.

14 Una chiara distinzione si trova in Á. Del Portillo, Laici e fedeli nella Chiesa, Ares, Milano 1969; ulteriori riflessioni in U. Borghello, Laicità e cristianesimo. Riconsiderare il rapporto tra natura e grazia per una maggiore efficacia culturale, Apes, Roma 2021.

15 A. Cencini, L’albero della vita. Verso un modello di formazione iniziale e permanente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005.

16 P. Donati, Alterità. Sul confine fra l’Io e l’Altro, Città Nuova, Roma 2023.