Ventuno grandi arcate di cedro del Libano disegnano nello spazio del MAXXI di Roma una semicupola nella quale è esposto un singolare decalogo: undici tavole in pietra del Sinai su ciascuna delle quali sono incisi i dieci comandamenti scritti in undici lingue: francese, cinese, spagnolo, inglese antico, ebraico, italiano, russo, ucraino, arabo, latino e tedesco. Scritti e poi cancellati: opera di Emilio Isgrò, che della cancellatura ha fatto la sua celebre cifra stilistica. Tutti meno uno, «Non uccidere», tracciato in colore rosso che, spiega l’artista, è il colore del sangue e della risurrezione.
«Il comandamento “Non uccidere” è più prezioso degli altri in un mondo dove uccidere non pare nemmeno un delitto», spiega Isgrò, che assieme a Mario Botta firma la grande installazione realizzata per celebrare il 75° compleanno della “Costituzione più bella del mondo” e inaugurata lo scorso 27 ottobre alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Non so a che cosa alludesse precisamente Isgrò con quella dichiarazione, ma certo il pensiero vola – dovrebbe volare – alla malasorte di questo nostro civilissimo Paese dove l’aborto da delitto depenalizzato ai sensi di legge è culturalmente transitato, anno dopo anno, “battaglia dopo battaglia”, nell’olimpo dei diritti inviolabili dell’uomo; pardon, della donna.
Ma passiamo oltre le ideologiche incongruenze di casa nostra. E a parte le riserve di affidare a quel comandamento il primato su tutti gli altri, che va piuttosto a quello dell’amore (questo «Non uccidere» suona piuttosto laicamente come «un imperativo categorico iscritto nel più vasto orizzonte di ogni società civile»: parole del presidente del MAXXI Alessandro Giuli), facciamo salva la buona intenzione di lanciare il grido d’allarme. Impossibile non cogliere in quel “quinto comandamento” scritto col sangue un riferimento alla guerra, a tutte le guerre, a cominciare dalla tragica vicenda ucraina su cui occorre tenere ben puntati i riflettori, e dalla non meno tragica questione armena, sulla quale i riflettori non si sono mai veramente accesi. Però il riferimento che adesso avvertiamo più straziante – a prescindere dalle intenzioni degli autori, perché l’opera venne commissionata lo scorso 27 gennaio, ma l’arte è sempre “contemporanea”, e la circostanza lo dimostra – è quello alla mattanza perpetrata da Hamas lo scorso 7 ottobre di millequattrocento cittadini inermi d’Israele: ebrei, per la gran parte, ma anche cristiani e persino musulmani. Un’aggressione che profana radicalmente quel comandamento perché non ha ragione diversa dal disprezzo della vita né altro fine che quello di uccidere. È la considerazione che riverbera nelle parole del ministro Sangiuliano, che rileva nell’opera di Botta e Isgrò «un potente messaggio univerale di speranza, dimostrando l’insensatezza della guerra e la drammatica attualità di quel comandamento. Non è mai lecito uccidere cittadini inermi nella propria terra, non è mai lecito uccidere in nome di Dio perché, come disse Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona, significherebbe negare la natura stessa di Dio».
Per questa ragione la grancassa planetaria non solo della “fratellanza musulmana”, ma delle piazze occidentali che con la loro “religione laica”, in nome della causa palestinese, si sono schierate dalla parte dell’odio e del terrore, deve farci riflettere, e tanto. Bisogna anzitutto strappare al nichilismo e all’odio la loro maschera, per poterli disinnescare e perché non trapassino in una reazione uguale e contraria da parte di Israele e di chi ne sostiene le ragioni, senza peraltro dimenticare mai da che parte sta la ragione. Potrà aiutare, in questo, qualche considerazione tolta dall’appello dell’Associazione dei direttori delle Università israeliane: «È ironico che proprio le aule americane ed europee, apparentemente i bastioni del pensiero intellettuale e progressista dei vostri campus, abbiano adottato Hamas come causa nobile mentre Israele viene demonizzato. Le università, in quanto centri d’illuminismo e di discussione razionale, devono assumersi la responsabilità delle opinioni che perpetuano. Non c’è alcuna equivalenza morale. Siamo chiari: Hamas non condivide valori con nessuna istituzione accademica occidentale. La sua ideologia è antitetica ai valori della vita umana e ai valori liberali a noi cari. […] È fondamentale distinguere gli obiettivi terroristici di Hamas e le legittime aspirazioni del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Confondere le due cose serve solo ad aumentare l’odio. […] Gli eventi di quel terribile giorno dovrebbero essere presi come un campanello d’allarme per tutti i pericoli di organizzazioni nichiliste come Hamas e l’Isis, che incarnano l’esatto contrario della libertà».