L’anno in corso si è aperto con un importante evento sul fronte dell’impegno dell’Italia con il continente africano. Il 29 gennaio si è tenuto, nell’aula del Senato, il vertice Italia-Africa intitolato “Un ponte per una crescita comune”, rimbalzato nei media con la denominazione “Piano Mattei”, dalle parole scelte dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

L’iniziativa, nelle sue premesse, e di conseguenza anche nella sua impostazione, ha un evidente intento di natura politica sia nazionale che internazionale. Non sembra spiccare per una significativa originalità e, a tutt’oggi, si mantiene ancora piuttosto indefinito nella sua attuazione.

Non ha mancato però di sollevare critiche, come c’era da aspettarsi, sia dal mondo politico internazionale che da esponenti della società civile. Al di là però delle inevitabili schermaglie e dialettiche ideologiche, è interessante porre l’attenzione su quelle osservazioni che, lette con gli strumenti e le logiche proprie della cultura della cooperazione allo sviluppo, sembrano mettere in risalto alcuni aspetti ricorrenti delle modalità distorte con cui l’Occidente guarda e si occupa del continente africano.

La prima e significativa osservazione è venuta durante i lavori stessi quando il Presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki, ha lamentato come il piano sia stato costruito da parte dei promotori senza che vi sia stata una previa consultazione dei loro destinatari e beneficiari; vale a dire gli stessi stati africani.

Critiche analoghe provengono dal mondo della cooperazione e degli enti del terzo settore, che fanno notare di non essere stati minimamente coinvolti nell’articolazione di questo tipo di progetto, nonostante siano coloro che vantano la maggiore conoscenza della realtà dei Paesi africani e più lunga esperienza operativa sugli interventi a favore delle popolazioni locali.

Una lettura “compartecipativa”

Si tratta di osservazioni che potremmo definire di ordine “metodologico”, ma che lette fra le righe rimandano a una sostanza da cui l’Occidente sembra non riuscire ancora ad affrancarsi: l’incapacità di una lettura realmente “compartecipativa” del destino dei popoli che abitano il nostro pianeta.

Alla radice è la declinazione dello stesso principio di solidarietà, come interdipendenza e comune destino, che sembra non essere stato realmente assimilato dalla classe politica. In realtà la questione si pone molto più a monte. È la stessa sensibilità culturale, e relativo immaginario collettivo occidentale, che sembrano restare ancorati a una lettura “dall’alto e da fuori” del fenomeno del sottosviluppo dei popoli.

A questo si aggiunge poi, su un piano che diventa più pratico e operativo, il pragmatismo dalle radici liberiste delle strategie sovra e multinazionali che entra in azione quando si muovono gli interessi delle potenze economiche sul continente africano.

Lo sviluppo umano è concetto denso e complesso, certamente. Ma una prima distinzione, essenziale, è necessaria se non si vuole correre il rischio di ripetere gli errori, equivoci e insuccessi che accompagnano da decenni ogni volontà di intervento programmatico sul continente africano.

Sviluppo di “sistema” e di “soggetto”

Si tratta della distinzione fra una visione di sviluppo umano “di sistema” e sviluppo umano “di soggetto”. Si respira una stretta analogia fra questa distinzione e quella che nella Dottrina Sociale della Chiesa viene posta fra dimensione oggettiva del lavoro umano e la sua dimensione soggettiva.

Recitano i punti 270 e 271 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: «Il lavoro in senso oggettivo è l’insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l’uomo si serve per produrre […]. Costituisce l’aspetto contingente dell’attività dell’uomo. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l’uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale».

La distinzione è decisiva in ordine al problema di un’organizzazione dei sistemi economici e sociali rispettosa dei diritti dell’uomo. Dunque, decisiva, si deve dedurre, in ordine anche alla questione delle strategie di intervento globali per lo sviluppo umano.

Il lavoro, cardine dello sviluppo umano

Il riferimento al lavoro non è puramente funzionale, dal momento che questo costituisce la chiave di volta dello sviluppo umano e condizione essenziale per la promozione della dignità umana. Si tratta anche di un concetto che è necessariamente sotteso, anche quando non in modo pienamente consapevole, alle stesse logiche di intervento che ispirano il Piano Mattei quanto di tutti quelli che lo hanno preceduto, a livello tanto nazionale quanto internazionale.

Il punto critico è che queste logiche si ispirano a una visione “oggettiva e di sistema” del problema dello sviluppo e mai a una visione soggettiva che ponga il singolo uomo come misura e obiettivo dello sviluppo.

Le conseguenze più rilevanti sono di due ordini. La prima è che viene disatteso nella sua radice il principio chiave dell’etica sociale di “Bene comune” come bene di tutti e di ciascuno allo stesso tempo; cioè, di tutti gli uomini e di tutto l’uomo. I popoli africani continuano a essere una massa anonima sulla quale formulare ipotesi e strategie; e i singoli continuano a essere semplici comparse sulla scena degli eventi e della storia: mai concepiti come protagonisti in prima persona delle vicende del loro popolo. L’Africa è libera di scegliere il suo futuro, forse, ma secondo i princìpi demagogici dell’Occidente; non è mai resa davvero “libera di essere capace di sceglierlo”, che presuppone ben altro sguardo e rispetto.

Dignità e stabilita

La seconda è insita nel carattere proprio delle due dimensioni del lavoro, così come esplicitate dal testo del Compendio della Dottrina Sociale.

La dimensione oggettiva degli interventi per lo sviluppo, fatti di logiche produttive, strategie organizzative, performance e statistiche sono l’aspetto contingente dell’attività dell’uomo. Dunque, un aspetto che resta comunque legato a circostanze esterne, per forza di cose mutevoli. La dimensione soggettiva è invece quella stabile, perché non ancorata a ciò che l’uomo realizza, ma ciò che è ed è destinato a essere per la sua dignità.

L’educazione è l’obiettivo prioritario

È proprio su questo ultimo carattere che si gioca la comprensione e la realizzazione di una delle parole chiave della cooperazione allo sviluppo, e cioè il concetto di sostenibilità, declinato in tutte le sue accezioni.

Non c’è una reale sostenibilità della progettualità per lo sviluppo umano fino a che non si pone come obiettivo centrale ciò che è dimensione stabile del lavoro umano, e più in generale dell’agire umano in tutte le sue manifestazioni. Cambiamenti strutturali e infrastrutturali, miglioramento della produttività agricola e industriale, risanamento ambientale, sicurezza alimentare e miglioramento della salute; in sintesi una gran parte dei diciassette Sustainable Development Goals.

Come si interviene per sviluppare la dimensione stabile dell’agire umano?

Tanto il piano Mattei quanto i Sustainable Development Goals citano l’istruzione fra gli obiettivi prioritari d’intervento. L’obiettivo sostenibile numero quattro specifica inoltre, opportunamente, che si deve trattare di un’istruzione di qualità.

Istruire, ma più ancora, per la sua maggiore densità concettuale, educare, è il tipo di intervento che più di ogni altro contribuisce a costruire nel singolo e nella società ciò che è stabile.

Costruire ponti

Educare, prima ancora che istruire o formare, perché chi realmente si propone di educare anzitutto intende educere: cioè, “tirar fuori” dal soggetto tutto il suo valore e tutto il suo potenziale. Ed è proprio ciò che viene fuori dal soggetto che, prima di qualsiasi altro, ha il sigillo di garanzia della stabilità.

Educere è quell’agire che porta in sé un paradosso virtuoso, perché chi è educato non gioca il ruolo di discente ma di protagonista, e chi educa sperimenta la sorprendente scoperta di ritrovarsi a imparare da colui che si è proposto di educare.

Ma questo è proprio il senso compiuto del concetto di co-operazione.

Il primo passo per la realizzazione di quel “Ponte per una crescita comune”, titolo e spirito del vertice e del piano d’azione, è far propria questa consapevolezza.