Gli autori del Nuovo Testamento erano tutti credenti e convinti della verità di quanto scrivevano. Ma l’uomo di oggi è spesso scettico e sospettoso sulle testimonianze dei cristiani, accusati di essere “di parte”. I pregiudizi rendono difficile il dialogo. Nelle conversazioni sul Gesù storico, quasi invariabilmente la prima domanda degli scettici è “Si può provare che Gesù è esistito? Ci sono prove extrabibliche dell’esistenza di Gesù, entro il primo secolo?”. Un primo passo per una risposta laica, al di sopra di ogni sospetto, è senz’altro il Testimonium flavianum. Un testo di importanza monumentale1, scritto dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, vissuto tra il 37-38 e il 100. È la nostra sola fonte non cristiana entro il primo secolo2. Questo non deve stupirci, perché: «Gesù fu un ebreo marginale, che guidò un movimento marginale in una provincia marginale di un immenso Impero Romano. Desta meraviglia che qualche giudeo o pagano colto lo abbia conosciuto o si sia minimamente riferito a lui nel primo secolo o all’inizio del secondo»3.
Giuseppe Flavio era un profondo conoscitore della cultura del suo popolo, di famiglia sacerdotale, della fazione dei farisei. Era stato uno dei protagonisti della guerra giudaica, fra il 67 e il 70, in cui Vespasiano e Tito erano usciti vincitori, sterminando migliaia di ebrei (G. Flavio riferisce la non verificabile cifra di un milione) distruggendo Gerusalemme e deportando a Roma centomila ebrei. Scrive La Guerra Giudaica, in sette libri, prima in aramaico, poi ampliata in versione greca. In seguito, tra il 93-94, scrive il suo capolavoro, le Antichità Giudaiche, in venti libri, direttamente in greco. In quest’opera difende la grandezza dell’ebraismo, la sua tradizione storica e prende le distanze dal fanatismo degli zeloti, la cui ribellione aveva causato la devastante repressione romana.
Queste sue opere ci sono giunte integre, con ben centoventisette manoscritti greci e circa duecento traduzioni latine. È interessante osservare che analoghe opere di storiografia greca e latina hanno invece pochissimi manoscritti. Giuseppe Flavio ha goduto di grande attenzione da parte dei primi scrittori cristiani che lo citano più volte. Questo spiccato interesse dei cristiani è dovuto al fatto che La Guerra giudaica raccontava l’impressionante compimento delle profezie di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme. Le Antichità Giudaiche documentavano poi l’antichissima storia degli Ebrei la cui maggiore antichità rispetto al mondo pagano era un argomento molto caro all’apologetica cristiana.
Un parallelismo col primo Credo
Nel libro XVIII delle Antichità giudaiche, Giuseppe Flavio ci riporta il monumentale Testimonium flavianum. Leggiamo la traduzione del noto grecista Luciano Canfora:
In quel lasso di tempo appare Gesù, uomo sapiente, sempre che si debba definirlo “uomo”. Era infatti facitore di mirabilia, maestro di uomini: di quelli che con diletto accolgono la verità. E molti Ebrei e molti dell’elemento greco [pagano] attraeva a sé. Il Cristo lui era! E dopo che, su denuncia dei nostri notabili [primores], Ponzio Pilato l’ebbe condannato alla croce, per lo meno quelli che per primi gli si erano affezionati, non smisero. A costoro riapparve infatti [come] vivo tre giorni dopo [la morte]: questo e miriadi di altre cose mirabolanti su di lui avevano detto i divini profeti. E ancora adesso non ha smesso di esistere la “tribù” dei “cristiani”, che da lui prendono nome. (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64)4
L’autore è riuscito in poche righe a riassumere il nucleo genetico dei Vangeli. Elenca la sequenza degli eventi proprio nello stesso ordine. Si può riconoscere addirittura un parallelismo sorprendente tra il Testimonium e il primo Credo o Simbolo apostolico: «Cristo Gesù, crocifisso sotto Ponzio Pilato, risorto da morte il terzo giorno, secondo le Scritture».
C’era da immaginare che una dichiarazione del genere suscitasse una tempesta di discussioni tra gli studiosi, dall’Illuminismo in poi. Alcuni hanno addirittura affermato che l’intero brano sia stato aggiunto da un amanuense cristiano e sia quindi una contraffazione bella e buona, un esempio classico di interpolazione faziosa. Gli studiosi più recenti, invece, riconoscono l’autenticità del testo, anche se spesso ritengono che due frasi siano interpolazioni di amanuensi cristiani, perché difficilmente attribuibili ad uno storico ebreo non cristiano: «sempre che si debba definirlo uomo», «lui era il Cristo». L’autorevole J.P. Meier ritiene sia un’aggiunta cristiana anche la frase: «a costoro riapparve [come] vivo tre giorni dopo [la morte]».
Per valutare l’ipotesi di manipolazione cristiana dobbiamo attenerci ai principali criteri di autenticità: l’antichità delle fonti, il criterio di coerenza narrativa, l’analisi filologica, che dispone oggi delle più avanzate tecnologie informatiche.
La variante araba
Per quanto riguarda il criterio dell’antichità delle fonti, la prima cosa da dire è che il Testimonium flavianum è presente in tutti i manoscritti greci e in tutti i manoscritti delle traduzioni latine. Anche se i manoscritti greci più antichi risalgono all’XI secolo, è possibile comunque risalire fino all’inizio del IV secolo, perché il Testimonium viene citato due volte da Eusebio di Cesarea, che scrive nel 320 circa, e lo riproduce per intero sempre in termini perfettamente coincidenti, senza la benché minima variante5. Un’altra citazione esplicita la troviamo nel De viris illustribus (nel 393) di Girolamo che traduce puntualmente il Testimonium, ma scrive: «credebatur esse Christus» (era creduto essere il Cristo), anziché: «era il Cristo».
È stata scoperta solo recentemente6 una variante araba, riportata da Agapio, vescovo melchita di Hierapolis in Siria. Nella sua Storia universale, scritta in arabo intorno al 942, Agapio inserisce a un certo punto una sua variante del Testimonium. Leggendo attentamente il testo si nota che non si tratta di una citazione alla lettera, ma di una libera elaborazione, diversa dal testo di tutti i codici greci e latini. Ecco le frasi in cui Agapio si scosta dal Testimonium:
La sua (di Gesù) condotta era buona, ed egli fu conosciuto per essere virtuoso… Ma coloro che erano diventati suoi discepoli non abbandonarono il suo insegnamento. Essi riferirono che lui era apparso loro tre giorni dopo la crocifissione e che lui era ancora vivo; di conseguenza egli era forse quel Messia a proposito del quale i profeti hanno raccontato mirabilia.
Inoltre, questa versione araba non contiene alcune frasi importanti del Testimonium: non parla degli «uomini che accolgono con piacere la verità», non parla della «denuncia dei nostri notabili», non parla della «tribù dei cristiani che da lui prendono nome». Mi sembra dunque più ragionevole concludere che la versione di Agapio contenga frasi che sono «probabilmente espansioni successive o varianti del testo»7. Ma sostenere che il testo di Agapio sia quello originale scritto da Giuseppe Flavio significa ignorare arbitrariamente i manoscritti più antichi e soprattutto sottovalutare la loro analisi filologica, che vedremo in seguito. In questa variante araba mancano le due frasi: «lui era il Cristo» e «sempre che si debba definirlo uomo». Per questo Canfora la considera decisiva8 per ritenerle interpolazioni cristiane. La variante include comunque la frase fondamentale sull’apparizione di Gesù vivente tre giorni dopo la crocifissione.
Coerenza narrativa
Per valutare l’autenticità del Testimonium si devono esaminare anche il contesto narrativo e la concatenazione delle frasi che lo compongono. Giuseppe Flavio colloca il brano nel libro XVIII delle Antichità, nell’àmbito di sedizioni e tumulti avvenuti durante il governo di Ponzio Pilato in Giudea, tra il 26 e il 36. Racconta l’insurrezione contro le immagini imperiali introdotte da Pilato e la ribellione contro l’uso del tesoro del Tempio per costruire un acquedotto.
Subito dopo questi tumulti, introduce l’episodio di Gesù, per cui possiamo presumere che Giuseppe Flavio lo ritenga in qualche modo destabilizzante9. All’inizio Gesù è definito “maestro” (didàscalos), ma questo titolo onorifico è preceduto da «facitore di mirabilia (paradòxa)» e seguito da «uomini che accolgono con diletto la verità». Ora, il termine paradòxa è ambiguo in Giuseppe Flavio, perché l’autore ha espresso il suo giudizio disincantato sui miracoli (paradòxa) quando racconta la traversata del Mar Rosso da parte degli ebrei («ciascuno è libero di prendere come vuole racconti del genere» Antichità Giudaiche, II, 347-348) in una pagina molto apprezzata da Spinoza che considerava i miracoli come fatti naturali. E subito dopo i discepoli del maestro vengono definiti con una frase che si può tradurre: «persone che provano diletto a prender per vere» le opere paradossali. Vedremo che la costruzione “accogliere con diletto” non è mai usata nel Nuovo Testamento, mentre è molto frequente in Giuseppe Flavio, che qualifica dunque i discepoli di Gesù come creduloni, persone che si compiacciono di credere in cose straordinarie, contrarie all’apparenza (paradossi). Questa velata derisione viene confermata nella parte conclusiva in cui l’autore parla di «questo e miriadi di altre cose mirabolanti (thaumasìa)» alludendo all’apparizione di Gesù ai discepoli “da vivo” tre giorni dopo la morte. L’ironia è evidente nel termine “miriadi” (murìa = diecimila) che indica una quantità spropositata di detti profetici. L’apparizione “da vivente” al terzo giorno dopo la morte si inserisce dunque perfettamente e anzi è parte integrante di questo contesto di “opere paradossali” e di “cose mirabolanti”, “credute per vere con piacere” dai discepoli. La frase conclusiva esprime il disappunto dell’autore che constata come non abbia ancora “smesso di esistere” la “tribù”, si potrebbe anche tradurre “la setta”, dei cristiani. Come si vede, questo criterio di coerenza narrativa ci ha aiutato a riconoscere che ogni frase è concettualmente connessa con le altre e rivela la consumata ambiguità di Giuseppe Flavio.
Da un lato l’autore sembra concedere la miracolosità degli eventi, e quindi sembra lusingare i cristiani, dall’altro esprime una certa distanza ironica dagli stessi, per non deludere l’ortodossia rabbinica. Non una parola sugli insegnamenti morali e teologici dei Vangeli, che hanno cambiato la civiltà occidentale! È chiaro che siamo di fronte a un resoconto dall’esterno, attento solo agli appariscenti paradoxa e thaumasìa e non all’etica innovativa di Gesù. Nessun amanuense cristiano si sarebbe accontentato di inventare un’interpolazione così deficitaria. Il criterio di coerenza interna ci ha dunque orientato a favore della paternità flaviana del testo.
L’analisi filologica
A questo punto, per appurare l’autenticità integrale del Testimonium, diventa decisivo il criterio dell’analisi linguistica. Gli strumenti informatici oggi a disposizione ci facilitano la comparazione e i confronti, accessibili anche a un lettore non addetto ai lavori.
Il testo inizia con: «in quel tempo» (katà + accusativo), costruzione frequente in Giuseppe Flavio, mai usata invece nel Nuovo Testamento. Gesù viene definito «uomo saggio», espressione ricorrente in Giuseppe Flavio, ma non nel Nuovo Testamento. Prosegue riconoscendo Gesù come «facitore di eventi prodigiosi» (poietès paradòxon ergon). Poietès non è mai usato per Gesù nel testo biblico. Paradòxa è un termine usato cinquanta volte in Giuseppe Flavio mentre solo una volta nel nuovo Testamento. Gesù è «maestro di uomini che accolgono con diletto la verità». È un’espressione non presente nel Nuovo Testamento. Il termine “diletto (o piacere)” (edonè), è un segno di derivazione non cristiana, ricorre solo cinque volte nel Nuovo Testamento e sempre con significato negativo. Invece in Giuseppe Flavio edonè ricorre centoventotto volte, appartiene dunque al suo lessico abituale. Anche l’espressione “la verità” (talethé) è in greco una crasi (fusione della vocale dell’articolo con la vocale successiva) frequente in Giuseppe Flavio, mentre non ricorre mai nel Nuovo Testamento.
È vero che l’affermazione successiva è sorprendente per un ebreo non cristiano: «Egli era il Cristo». Ammetto che può essere un’interpolazione cristiana, come confermato dalla variante araba. Si deve comunque precisare che il termine greco Christòs (traduzione dell’ebraico Mashiach, Messia) viene menzionato da Giuseppe Flavio anche in un’altra occasione, con riferimento a Giacomo «fratello di Gesù, chiamato Cristo» (Antichità, XX, 200).
E lo stesso Tacito chiama Gesù semplicemente Christus (Annales, XV,44). Giuseppe Flavio potrebbe aver fatto riferimento a questo nome Christòs come nome attribuito dai discepoli a Gesù. Del resto alla fine del Testimonium parla esplicitamente dei “cristiani”. La successiva espressione «i nostri notabili» (pròtoi àndres) non ricorre mai nel Nuovo Testamento. Anche la costruzione della frase successiva non viene mai usata in questa forma (letteralmente: «apparve avente il terzo giorno, di nuovo vivente»), ma viene usata generalmente ophthe (fu visto) e non éphane. Non usa mai per il Risorto la costruzione del terzo giorno come accusativo del participio “avente”10. Da notare che anche la versione araba riporta questa frase decisiva sull’apparizione tre giorni dopo. Infine, i cristiani non definiscono mai se stessi come phylon, ossia “tribù”: il termine phylon rientra invece nel lessico abituale di Giuseppe Flavio, che lo usa undici volte.
Il risultato di questi confronti è decisivo: il lessico e la sintassi sono tipici di Giuseppe Flavio e generalmente non trovano riscontri nel Nuovo Testamento, che è la fonte d’obbligo per un eventuale amanuense manipolatore. Come dice un autorevole studioso: «Non vi è parola del Testimonium che non ricorra altrove in Giuseppe Flavio (a parte “christianon”) usualmente con lo stesso significato e con la stessa costruzione»11.
Una conclusione ragionata
È assolutamente inverosimile, dunque, che un amanuense cristiano, senza l’aiuto dei moderni dizionari e concordanze, abbia introdotto un Testimonium così tipicamente “flaviano”. Per questo, oggi, la maggior parte degli studiosi ammette che sia stato effettivamente Giuseppe Flavio a scrivere questo testo. Rimangono comunque perplessità sulle due brevi frasi che potrebbero essere state aggiunte da uno scriba cristiano: a) «sempre che si debba definirlo uomo», b) «Egli era il Cristo». I sostenitori dell’interpolazione domandano: chi può aggiungere queste due precisazioni se non una persona che crede in Gesù come Dio? Inoltre, queste due frasi sono come delle parentesi, non sono connesse logicamente con il resto del brano, che rimane coerente e completo anche senza queste. Si deve precisare, tuttavia, che quando Giuseppe Flavio parla di profeti o di grandi uomini del passato, usa facilmente un linguaggio teologico, secondo lo stile enfatico e iperbolico della tradizione semitica. Proprio in questo brano si trova l’espressione «divini profeti», che riconosce appunto un carattere divino anche a semplici profeti.
Mi sembra insostenibile invece ritenere un’interpolazione la terza frase sospettata da J. P. Meier: «a costoro riapparve come vivo tre giorni dopo la morte», per almeno tre motivi. In primo luogo, perché tutte le parole appartengono al lessico di Giuseppe Flavio e questa costruzione sintattica con il numerale in accusativo, retto dal participio del verbo “avere”, non si trova mai riferita a Gesù risorto nel Nuovo Testamento, come già detto. In secondo luogo, per il criterio di coerenza interna: se si cancella questa frase, risulta insensata la frase successiva che la associa alle altre diecimila cose mirabolanti (thaumasìa) dette dai profeti. Infine, in terzo luogo, anche la variante araba conferma questa frase: «essi (i discepoli) riferirono che lui era apparso loro tre giorni dopo la crocifissione e che lui era ancora vivo».
Notate che in questa variante araba, l’autore, pur prendendo le distanze da quella che presenta solo come un’opinione dei discepoli, tuttavia attesta l’apparizione a testimoni oculari, che è proprio l’essenza dell’annuncio pasquale (kerygma).
Un’analisi completa delle fonti storiche non cristiane su Gesù dovrebbe includere anche lo studio delle fonti latine, sostanzialmente riconducibili a Cornelio Tacito (Annali XV, 44), Gaio Svetonio (Claudius XXV), Plinio il Giovane (Epistola X, 96), ma il discorso oltrepasserebbe i limiti di questo articolo. Comunque, queste fonti latine sono molto più sintetiche del Testimonium.
A conclusione di questa breve ricerca, possiamo iniziare dunque un dialogo laico con persone scettiche o agnostiche. Il primo passo consiste nel trovare un terreno immune dai pregiudizi sugli autori cristiani. Abbiamo notizie attendibili sulla storicità di Gesù, entro il primo secolo, anche da parte laica. Si può affermare, anche indipendentemente dai Vangeli, la storicità della condanna alla croce da parte di Ponzio Pilato, l’apparizione di Cristo ai discepoli, nuovamente vivo, dopo tre giorni, la permanenza della comunità dei suoi discepoli nei decenni successivi. Anche cancellando le due ipotesi di interpolazione, non verrebbe tolto niente alla conferma del kerygma da parte di un autore non cristiano. Il Testimonium è dunque un buon inizio di dialogo perché ripropone laicamente la grande domanda iniziale. Come è stato possibile che un ebreo marginale, che ha dato inizio a un movimento marginale, in una regione marginale dell’immenso Impero Romano, abbia cambiato il mondo?
1 Aggettivo scelto da John Paul Meier, autore di cinque volumi sul Gesù storico, per un totale di oltre 3.700 pagine.
2 Alcuni storici segnalano la testimonianza del filosofo stoico Mara bar Serapion che nel 73 d.C. scrisse in lingua siriaca, dal carcere di Seleucia, presso Bagdad, una lettera al figlio in cui parlava dell’esecuzione ingiusta “del loro re saggio” da parte dei Giudei. Ma non viene esplicitato né il nome né il contesto storico dell’evento.
3 John Paul Meier, Un ebreo marginale, ripensare il Gesù storico, vol. 1, Queriniana, Brescia 2002, p.57.
4 Luciano Canfora, La conversione, come Giuseppe Flavio fu cristianizzato, Salerno ed. Roma 2021, p. 45.
5 Eusebio di Cesarea lo cita nella Storia ecclesiastica (1,11) e nella Demonstratio Evangelica (III, 5). In quest’ultima citazione il Testimonium viene addirittura affiancato, per autorevolezza, ai Vangeli e agli Apostoli.
6 Shlomo Pines, An Arabic Version of the Testimonium Flavianum and its Implications, Jerusalem, Israel Academy of Sciences 1971, pp. 8-10.
7 J. P. Meier, Un ebreo marginale, vol. 1, p. 70. L’autorevole storico statunitense aggiunge a supporto di questa sua tesi anche le argomentazioni a suo favore di L. Feldman, E. Nodet, E. Bammel, Zvi Baras, riportate a p. 70-71.
8 L. Canfora, op. cit. pp. 90-94.
9 Prendo come riferimento per questa analisi il pregevole testo di L. Canfora, op. cit. pp. 77-80.
10 Una costruzione simile si trova in Gv 11, 17, ma si riferisce a Lazaro che «aveva quattro giorni nel sepolcro».
11 J. P. Meier, Un ebreo marginale, op. cit. p. 74.