L'immagine mostra la copertina del libro "Fede, Politica e Profezia: L'attualità di Giorgio La Pira in un mondo in cerca di pace", a cura di Alberto Mattioli. La copertina presenta una fotografia in bianco e nero di Giorgio La Pira mentre parla a un microfono, con le braccia aperte in un gesto appassionato.
Pubblichiamo l’Introduzione di Alberto Mattioli, giornalista e consulente aziendale, che ha ricoperto incarichi politici e istituzionali, collaboratore di “Avvenire” e curatore di diverse pubblicazioni per Itl Libri, al saggio da lui curato: Fede, politica e profezia. L’attualità di Giorgio La Pira in un mondo in cerca di pace (Indialogo, Milano 2023, pp. 216, euro 18), per ricordare Giorgio La Pira politico, uomo di grande fede e profeta di pace, nel centoventunesimo anniversario della sua nascita. Il libro sarà presentato il 18 giugno a Roma, in Senato.

«Ho un solo alleato. La giustizia fraterna quale il Vangelo presenta. Ciò significa: Il lavoro per chi ne manca. Casa per chi ne è privo. Assistenza per chi ne necessita. Libertà spirituale e politica per tutti» (Giorgio La Pira)1.

Giorgio La Pira, uomo di ardente fede, profeta di pace, politico soggetto solo a Dio, come lui stesso si definiva, è stato un mistico prestato alla politica e di cui il 9 gennaio 2024 ricorrono i centovent’anni dalla nascita a Pozzallo, nel sud della Sicilia. Nel luglio 1918 papa Francesco ha concesso l’autorizzazione alla Congregazione delle cause dei santi per promulgare il decreto sulle sue virtù eroiche di servo di Dio, un traguardo che ci auguriamo sia punto di partenza per il riconoscimento della sua santità. Per il popolo è già il “Sindaco santo”.

Un cristiano dalla fede dirompente

Con questo contributo desideriamo riproporre la freschezza e la forza di una testimonianza a tutti noi che abbiamo bisogno di orientamento per la nostra vita personale e di cittadini. Il testo pone all’attenzione un laico, professore e politico, sindaco e parlamentare, che costruiva incessantemente un pensiero ordinatore sul mondo e che lo sperimentava nell’àmbito della vita civile, attendendo il riscontro della storia.

Padre Gianni Festa, domenicano e tra i suoi postulatori, che nel libro delinea il suo profilo spirituale, rileva:

Personalmente, l’immagine che mi sembra quasi imporsi da sé a considerazioni di giudizio, dopo un’attenta lettura di tutta la documentazione in mio possesso, raccolta appunto in occasione del processo di beatificazione, è quella di un cristiano dalla fede dirompente, posseduto da una straordinaria speranza in Dio e nella bontà del prossimo e pervaso da una sconfinata carità cristomimetica nei confronti di tutti coloro che ha incontrato lungo il tragitto della sua vita. Mi sono fatto, interiormente, l’immagine del Servo di Dio come quella di un cristiano delle prime generazioni, alla Diogneto2.

«La nostra cittadinanza è nei cieli»

Don Giuseppe Dossetti, suo grande amico e sodale, prendendo spunto da due versetti della Lettera ai Filippesi («La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo anche come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che Egli ha di sottomettere a sé tutte le cose», Fil 3, 20-21) diceva che La Pira era «un cristiano dalle molte cittadinanze»: da quella dell’Italia della sua gioventù a quella universale della sua maturità. In ciascuna di esse seppe muoversi come un autentico discepolo di Cristo che dimostra la sua identità nel servire e non nell’essere servito (cfr Mt 20, 28); reiterando, dunque, i gesti di Cristo a tutti i livelli, come cittadino di Firenze, d’Italia, d’Europa, dell’area mediterranea e infine del mondo intero.

Di tutte queste “cittadinanze” assunse solo gli oneri, le fatiche, le pene, e il grande dolore universale: e non esercitò nessun diritto, se non quello di annunziare a tutti i livelli che Cristo è risorto, e il suo corpo e il suo spirito – lo si sappia o non lo si sappia, lo si ammetta o lo si neghi – vivifica e attira a sé e perciò costringe, pur nel rispetto della libertà umana, ogni uomo, ogni comunità, ogni nazione, tutti gli Stati, il cosmo intero, a comporsi nell’unità […]: la Pira fu un autentico mistico imprestato alla politica3.

L’apporto alla stesura della Costituzione e l’attenzione all’occupazione

Nella biografia svolta nel volume da Giovanni Spinoso e Claudio Turrini si ripercorrono i molteplici capitoli della sua intensa vita, mentre alcuni fatti specifici del periodo in cui fu sindaco di Firenze vengono ripresi e attualizzati da Mario Primicerio con Piero Meucci.

Quando torna a Firenze dopo la Liberazione, nel 1945, La Pira è uno degli esponenti più preparati del movimento cattolico italiano. Il 2 giugno del 1946 entra a far parte dell’Assemblea Costituente.

All’interno della Costituente, La Pira è membro della prima sottocommissione, quella che scrisse i “Princìpi fondamentali”. È tra gli artefici del dialogo tra gli esponenti cattolici (fra gli altri, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Aldo Moro) e i rappresentanti di altre correnti ideologiche (i socialisti Lelio Basso e Piero Calamandrei, il comunista Palmiro Togliatti).

Tanti articoli della Costituzione italiana portano la sua firma: quelli sulla dignità della persona (articoli 2 e 3), sul rapporto tra Stato e Chiesa (articolo 7), quello in base al quale l’Italia ripudia la guerra (articolo 11), princìpi che poi caratterizzeranno il suo operato di Sindaco e profeta di pace. In Parlamento, insieme a Fanfani, Dossetti, Lazzati, compone il gruppo dei “professorini”, intransigenti nel porre come priorità assolute le questioni sociali e la lotta alla disoccupazione, spesso in contrasto con i vertici del governo e della Dc.

Al lavoro come deputato

Nel 1948 viene eletto alla Camera dei Deputati. Alcide De Gasperi lo chiama come sottosegretario al lavoro nel suo quinto governo. In tale funzione La Pira si trovava spesso a svolgere un difficile ruolo di mediatore in aspre battaglie, tra sindacati agguerriti, industriali non disposti a cedere e i ministri del bilancio e delle finanze poco inclini alla trattativa.

Studiando a fondo gli economisti inglesi John Maynard Keynes e William Beveridge, La Pira indica, come obiettivo fondamentale dell’azione politica, la piena occupazione. La politica deve rispondere, secondo La Pira, alle attese della povera gente e proprio questo è il titolo di un suo famoso articolo, qui riproposto, che suscitò un profondo dibattito. La disoccupazione è per lui un’autentica bestemmia verso Dio.

Addolorato per il rischio di chiusura dell’azienda Pignone di Firenze, che assicurava migliaia di posti di lavoro, in una sua tormentata lettera ad Amintore Fanfani nel 1953 scrive:

È mezzanotte e non prendo sonno […], la mia vocazione è una sola: io sono per grazia del Signore testimone del Vangelo. Sotto questa luce va considerata la mia “strana” attività politica. […]. Non siamo un Paese povero, siamo un Paese povero per i poveri. Quando l’umiliazione e l’offesa dei deboli perviene sino al grado che è qui pervenuta, non resta che lo sdegno, ardito, generoso, fiero, per tutelare la dignità della persona umana, così debole, così offesa, così sprezzata! Prefetti, ministri ecc. non contano nulla se la loro posizione contrasta con gli ideali per i quali soltanto posso spendere la mia energia e la mia interiorità. Perdonami per questo sfogo, così vivo, così sincero, ma non avrei ripreso sonno se non ti avessi scritto, se non ti avessi detto che la mia vocazione non è quella di Sindaco o di deputato. È una vocazione di testimonianza4.

La Federazione mondiale della Città gemellate

Il professore viene eletto a Parigi presidente della Federazione mondiale delle Città gemellate nell’autunno del 1967, due anni e mezzo dopo aver lasciato Palazzo Vecchio, e la guida fino al 1974. In quei sette anni di presidenza della federazione, caratterizzati da grandi processi internazionali e dalla ridefinizione delle regole del gioco dell’economia globale e delle politiche di cooperazione, La Pira cerca di delineare una proposta originale del rapporto tra città, popoli, Stati e organismi internazionali. La Pira intende la diplomazia delle città in senso alto, per favorire il negoziato globale e una cultura dell’incontro. Nel luglio 1970 a Leningrado scriveva:

Le città sono consapevoli di essere il patrimonio del mondo, perché in esse si incorporano la storia e la civiltà dei popoli, i “regni” passano, le città restano; un patrimonio che le generazioni passate hanno costruito e trasmesso a quelle presenti – di secolo in secolo, di generazione in generazione – affinché fosse accresciuto e ritrasmesso alle generazioni future. Gli Stati non hanno il diritto, con la guerra nucleare, di annientare questo patrimonio che costituisce la continuità del genere umano e che appartiene al futuro5.

Patrizia Giunti, presidente della Fondazione Giorgio La Pira e autrice della prefazione di questo libro, ben delinea anche questa sua attenzione al progetto ispirato dal motto “unire le città per unire le nazioni”.

La stima sovrazionazionale

Se un uomo pubblico come La Pira si è meritato una vasta stima, oltre i confini nazionali e culturali di un’appartenenza religiosa e confessionale, è utile contemplare quel dinamismo profondo che coniugava l’ispirazione cristiana alla visione prospettica sulla storia che qui viene ben trattata nel contributo di Andrea Riccardi.

Forse è utile ricordare alcune parole di La Pira, quando si rivolse alla Comunità degli scrittori europei nel 1962:

Siamo ormai sul crinale apocalittico della storia: in un versante c’è la distruzione della Terra e dell’intera famiglia dei popoli che la abitano, nell’altro versante c’è la fioritura messianica dei mille anni intravista da Isaia, da san Paolo, da san Giovanni: i popoli di tutta la terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamati a fare questa estrema scelta. Per non compiere il suicidio globale e per andare, invece, nel versante della pace millenaria bisogna accettare il metodo indicato dal profeta Isaia: bisogna, cioè, trasformare i cannoni in aratri e i missili in astronavi, e non devono più i popoli esercitarsi con le armi6.

L’attualità del “realismo cristiano” di La Pira

Che cosa farebbe La Pira oggi, nel pieno del conflitto in Ucraina? «Andrebbe a piedi a Mosca, ma passerebbe prima da Pechino e Washington per vedere come stanno le cose», così ha risposto Romano Prodi nel suo intervento presso il Senato il 12 dicembre 2022, in occasione della presentazione dell’opera in tre volumi Giorgio La Pira: i capitoli di una vita, curata dalla fondazione che porta il suo nome (edizioni Firenze University Press, Firenze 2019).

Nel prosieguo del suo intervento, Prodi ha attualizzato il “realismo cristiano” dello statista fiorentino. «Principio celeste e lavoro terreno»: sono queste, secondo Prodi, le «belle contraddizioni» di Giorgio La Pira, che «ha condotto una battaglia politica pesante, non solo contro gli avversari politici, ma all’interno della Democrazia cristiana. Il suo problema più grande era il fuoco amico». Per Romano Prodi, quella di La Pira «è una presunta ingenuità politica: usava l’astuzia, voleva rompere gli schemi, e la sua era una religiosità totale, che non attaccava mai la religiosità altrui, anzi pensava che le religiosità potessero convergere». «Creare regole di convivenza tra diversi», uno degli obiettivi lapiriani: «È ciò di cui abbiamo bisogno oggi», ha detto Prodi, «in un momento in cui la conversione si fa attraverso le armi. Oggi si tende a usare la religione con le armi, invece La Pira usava il disarmo attraverso la religione».

Una necessaria ricostruizione della politica

Nell’epoca del tempo fatto breve, dello spazio virtuale che si confonde con quello reale, una riflessione laica, ampia sulla politica, innestata in un pensiero lungimirante sul mondo, è quanto mai utile. Papa Francesco sostiene che, nel mondo liquido di oggi, attraversato da rivoluzioni che stanno toccando i nodi essenziali dell’esistenza umana, c’è bisogno di un nuovo umanesimo. Riproporre la figura di Giorgio La Pira serve per una ripresa dell’idealità, razionalità e progettualità politica oggi inficiate da un cortocircuito fra emozioni collettive e corte viste meramente elettorali.

Certo, quando si ripensa a una così grande personalità può affiorare un’intensa nostalgia. Ma è bene accantonarla, altrimenti non saremmo sintonizzati con lui, perché tutta la sua vita era proiettata verso il futuro.

Coltivare la dimensione spirituale interiore conduce a vocazioni, ispira visioni e genera azioni. Così visse e agì Giorgio La Pira, già santo nei sentimenti popolari. Così a noi spetta il compito di stabilire con lui un legame vivo onde consegnare alle nuove generazioni intuizioni profetiche, passione e coraggio per affrontare le sfide impellenti di questo terzo millennio.