Torino, domenica 23 aprile 2023, ore 22.30, minuto 93. Giacomo Raspadori colpisce di sinistro, al volo, un pallone proveniente dalla parte opposta, calciato da Elmas. Dopo essere passato sotto le gambe di Szczęsny, il pallone si insacca nella porta bianconera.
Lo Stadium esplode, Raspadori corre verso la bandierina, inseguito dai compagni. Solo uno non si unisce ai festeggiamenti: Piotr Zielinski, anche lui in area di rigore al momento del tiro di “Jack”, si ferma e come al rallentatore si sdraia per terra, braccia e gambe larghe, stravolto. Zielinski è l’unico superstite della drammatica stagione 2017-2018, chiusa al secondo posto dietro la Juventus, a 91 punti. Quando la zuccata in terzo tempo di Koulibaly sembrava aver chiuso il dominio dei bianconeri in Italia. Poi il Napoli perse male a Firenze, con lo stesso Koulibaly espulso. Lo scudetto prese l’ennesima volta la strada di Torino.
Mai come quella volta il Napoli si era trovato a un passo dallo scudetto e nessuno degli altri secondi posti è stato tanto amaro. Ecco, Piotr Zielinski quella sera di aprile sembrava portare sulle spalle tutto il peso di quella stagione maledetta, il peso di una intera città e di un popolo. Ogni tifoso del Napoli si è sentito più uno Zielinski che un Raspadori, pazzo di felicità sul lato opposto. È fatta, lo scudetto è azzurro, la ferita è ricucita.
Quest’anno non c’è stato un momento in cui lo scudetto sia stato davvero in discussione, forse solo fino a ottobre. Il Napoli ha sbranato il campionato, come nemmeno la Juve dei 9 scudetti di fila o l’Inter del Triplete erano riuscite a fare. E ancora più sorprendente perché è stata una stagione che nessuno è riuscito a pronosticare, nemmeno il più ottimista tra i tifosi azzurri. Soprattutto dopo la partenza dei giocatori simbolo di questi ultimi anni: Insigne, Mertens, Koulibaly e Fabian Ruiz. Sostituiti da Kim e Kvaratskhelia, provenienti dal Fenerbache e dalla Dinamo Batumi.
Eppure, fin dalla prima giornata, è stato chiaro che il Napoli era in corsa per il titolo e che quel ragazzo con il numero settantasette sulle spalle e la barba rossiccia non era a Napoli a scaldare la panchina. L’impatto di Kvaratskhelia è stato devastante sul Napoli, sul nostro campionato e in Europa. La strada d’oro degli Azzurri verso il tricolore ha alcuni punti fermi, alcune partite che rimarranno nella memoria e nella storia. Incontri esemplari per capire che cosa è stato il Napoli 2022-2023.
Verona-Napoli. Prima giornata di campionato, il 15 agosto: esordio del nuovo Napoli. Curiosità aleggia sulla squadra e sul nuovo esterno sinistro azzurro, arrivato per sostituire un “piezz ’e core”, il capitano, Lorenzo Insigne, che ha scelto il Canada come nuova meta. Kvaratskhelia ci mette 37 minuti a segnare la prima rete in Italia e del Napoli in questa stagione: corsa ad accentrarsi verso l’area di rigore gialloblu a impattare di testa il cross di Lozano, non proprio una specialità. Il Napoli era addirittura andato in svantaggio dopo pochi minuti per il goal di Kevin Lasagna. Poi ci pensano Kvaratskhelia e Osimhen a raddrizzare subito il risulato, prima del pareggio di Henry. Sembrava poter essere una partita tesa, invece nel secondo tempo il Napoli dilaga con una facilità disarmante grazie a Zielinski, Lobotka e Politano. Sarà anche calcio d’agosto, ma gli Azzurri ci sono, in Italia volano. E all’estero? Il 7 settembre il Napoli è ai nastri di partenza dei gironi di Champions League, dopo due pesanti anni di assenza.
La partita è proibitiva, al Maradona c’è il Liverpool, fresco finalista dell’edizione precedente. Il Napoli sta andando bene in campionato, ma viene da due pareggi opachi contro Lecce e Fiorentina. I Reds sembrano un ostacolo troppo alto da saltare, e invece succede l’imponderabile. Dopo 35 secondi, Osimhen parte alle spalle di Joe Gomez a difesa schierata, raggiunge il pallone sul limite destro dell’area di rigore, salta Allisson e calcia verso la porta da posizione defilatissima, centrando il palo esterno. Passano 3 minuti e il Liverpool sbanda di nuovo: è impossibile arginare Kvaratskhelia che entra dal lato corto dell’area, appoggia all’indietro a Zielinski che calcia in porta, il pallone è deviato dal capitano Miller con un braccio sinistro: rigore. Al dischetto si presenta sempre Zelinski che spiazza Alisson. Uno a zero.
Minuto 14, Anguissa lancia in profondità sulla corsa Osimhen che ingaggia un corpo a corpo titanico con Van Dick fin dentro l’area di rigore. L’olandese ne esce con la palla ma con Osimhen a terra. Arbitro richiamato al Var: rigore, il secondo della serata. Osimhen incrocia il destro, forse un po’ pigro, Allisson para. Passano altri 15 minuti, ed è ancora Kvaratskhelia a puntare Gomez, dal lato corto dell’area. Passaggio indietro ad Anguissa che chiama il triangolo con Zielinski: il rasoterra del polacco taglia in due la difesa dei Reds e raggiunge ancora Anguissa che non deve far altro che appoggiare in rete di sinistro. Finita? Macchè. Al tramonto del primo tempo è ancora Kvaratskhelia ad abbattersi su Alexander Arnold e poi ancora sul povero Joe Gomez, saltati come i paletti dello slalom speciale. Il georgiano è fortunato e caparbio nel controllo del pallone e serve un comodo passaggio a Giovanni Simeone nell’area piccola che deve solo spingere in porta il pallone del 3 a 0. Fine primo tempo. Nessuno, a Napoli, in Italia o a Liverpool poteva pensare un primo tempo così. Il Liverpool è come una nave nel mezzo della tempesta attaccata da una piovra, un Napoli tentacolare che si infila in ogni pertugio della difesa inglese.
Nel secondo tempo la partitura non cambia, gli Azzurri partono forte con la difesa del Liverpool persa dentro un horror. Simeone con un rasoterra filtrante mette davanti a Alisson un solitario Zielinski, che prima calcia addosso al portiere brasiliano, che non trattiene e sulla ribattuta si avventa ancora il polacco per la doppietta di serata. Se fino a quella sera il Napoli pareva una bella storia italiana, la devastazione, che porta nella squadra britannica offre una nuova prospettiva sulle dimensioni europee degli Azzurri.
Le ambizioni del Napoli si consolidano il 18 settembre, quando gli Azzurri volano a Milano per affrontare i campioni d’Italia in carica del Milan che sta viaggiando a un buon ritmo, forte delle sue certezze. La partita è tirata, gli Azzurri soffrono molto e rinunciano a giocare in avanti come hanno fatto vedere fino a quel momento. La sblocca Politano su rigore dopo un fallo ingenuo di Dest. Il pareggio di Giroud è quasi immediato, prima della splendida girata di testa, movimento da attaccante purissimo, di Giovanni Simeone che anticipa Tomori e insacca in torsione il cross di Mario Rui. Al fischio finale, l’urlo dei tanti tifosi azzurri e il giubilo dei giocatori in campo sono un altro mattoncino della consapevolezza e della forza di questa squadra. Da lì il Napoli inanella una serie di otto vittorie consecutive che, complice lo scarso rendimento delle altre, porta il vantaggio in classifica a otto punti.
Poi la pausa per i Mondiali in Qatar. Si parla molto della possibile rimonta delle avversarie, del Milan, dell’Inter e della Juve; si parla delle squadre di Spalletti che a gennaio scoppiano. Il 4 gennaio riprende il campionato e il Napoli perde a san Siro contro l’inter, 1 a 0. Qualcuno crede di avvertire i primi scricchiolii. Ma il 13 gennaio al Maradona arriva la Juventus. Lo scontro più sentito dagli Azzurri, che sarà un assolo. Il Napoli passeggia sulla Juventus segnando cinque goal, con Kvaratskhelia, Rrahmani, Elmas e la doppietta di uno straripante Osimhen, che ne sbaglia altrettanti. Una serata memorabile, la serata della consacrazione. Alla fine di quel mese, dopo altre sei vittorie, in città si comincia timidamente a parlare di scudetto, nei vicoli, sui balconi fa capolino qualche decorazione, nastri azzurri, qualche tricolore, il numero tre. In barba alla scaramanzia.
I mesi successivi sono solo un lungo, esaltante countdown verso lo scudetto, incrinato solo da un desolante mese di aprile in cui anche il sogno di un viaggio clamoroso in Champions League si sgretola a Milano nel doppio confronto con il Milan ai quarti di finale, preceduto da una stranissima sconfitta per 4 a 0 in casa in campionato sempre contro i rossoneri. Alla fine, è il pareggio di Udine a cucire, con l’ausilio della matematica, il tricolore sul petto degli Azzurri, anche se qualche giorno prima, in un’atmosfera surreale di gioia e festa repressa, il Napoli aveva giocato in casa contro i vicini della Salernitana: bastava una vittoria, grazie alla sconfitta di qualche ora prima della Lazio contro l’Inter, per dare lo scudetto. Il Napoli pareggia, l’urlo rimane strozzato in gola, ma è una delusione di pochi minuti. A volte si dice che la vera festa non è la festa, ma la sua attesa, trentatrè anni.
Napoli si regala ancora qualche giorno di trepidante sospensione, prima dell’esplosione al goal di Osimhen che pareggia a Udine e riscrive la storia di una squadra, di una città e di un popolo. L’attesa è finita.