Conoscere Pippo Corigliano è stato un dono, così come penso lo sia stato per molti: un vero amico, uno di quelli che risponde sempre al telefono e che, se non può farlo al momento, poi ti richiama con una voce che esprime la gioia di sentirti.

Pippo Corigliano nel 2021 presso la Residenza IPE - Monterone

Pippo Corigliano nel 2021 presso la Residenza Monterone di Napoli

Ci siamo conosciuti diciotto anni fa, lui già importante giornalista, uno che conosceva mezza Italia, di quella che conta, e che aveva sempre un aneddoto o un incontro importante da raccontare, perché lui le persone le incontrava davvero e nessuno era per lui una semplice conoscenza ma aveva il dono di diventare un amico particolare, uno che ti apre speranze, nuove prospettive e che tra gli amici diventava “un amico speciale”. Grazie alla sua presenza una serata poteva diventare qualcosa da ricordare nel tempo.

Il nostro primo incontro

L’ho conosciuto nel 2006, era stato invitato a tenere una conferenza a Palermo al caffè letterario “Tomasi di Lampedusa” e lui non perdeva mai nessuna occasione per venire nella mia città, perché la amava, amava il suo mare e, da napoletano verace, tutto ciò che di meridionale e di siciliano esisteva al mondo; in quell’occasione anche io ero stata invitata da mia nipote Elena, una delle organizzatrici dell’incontro, che mi aveva detto en passant: «Zia, tu porta il tuo libro, vediamo se lo legge e se poi ci fa sapere qualcosa» e così ho fatto.

Era un piccolo libro un po’ strano dal titolo ancora più strano: Il vestito di Arlecchino e raccontava cose di famiglia, storie e storielle dei miei sei figli e dei nipoti con qualche riflessione personale che ritenevo quasi ovvia e di poca rilevanza; ma obbedii a Elena e alla fine dell’incontro, durante la cena che seguì, lei gli rifilò il mio libro dicendogli qualcosa che non ricordo e lui sembrò contento, mentre io mi sentivo profondamente a disagio. Mi disse che l’avrebbe letto senz’altro e io pensavo a quel “le faremo sapere” che cela tanto spesso un educato: “mai”

Invece due giorni dopo mi telefonò entusiasta del libro e mi disse che dovevo arricchirlo di particolari di vita vissuta che “fanno tanto bene al cuore di chi legge”.

Io felice, non gli dissi che mentre lui parlava stavo facendo la spesa e non mi percepivo tanto “scrittrice”, ma in quel momento mi sentii incoraggiata e dopo avere pagato i carciofi e le melenzane, mi sentii spinta a continuare la mia piccola avventura e così il libro andò avanti e fu pubblicato.

Un’amicizia siciliana

Non solo lui prese l’aereo per venire a Palermo a presentarlo a Palazzo dei Normanni, poi nel corso della cena che seguì a casa mia, fece amicizia con i miei figli e cercò di identificarli con una simpatia da persona di famiglia, attraverso i particolari che aveva letto nel libro.

Da lì è nata “un’amicizia siciliana” che si aggiungeva alle molte che Pippo Corigliano già coltivava; la mia amica Maria Antonietta Aula era una di queste e ogni volta che lui veniva a Palermo, eravamo invitati a pranzo da lei o da mio fratello, suo caro amico, e ci piaceva ascoltare i suoi racconti: la cena di Indro Montanelli con il Papa, organizzata sapientemente da lui, e poi dopo anni, l’incontro con Natuzza Evolo, la sua amicizia con Mondadori e la successiva conversione.

Raccontava grandi cose, con un’aria semplice e naturale, senza un’ombra di ritorno su sé stesso, nemmeno una piccola sottolineatura, come se si trattasse di fatti assolutamente ordinari e spesso diceva: “E poi… la Provvidenza provvede”; concetto elementare, lapalissiano, ma per come lo pronunciava lui, c’era assolutamente da crederci.

Il segreto della felicità

Aveva un cuore libero che sapeva vedere innanzitutto il bene nelle persone che incontrava, e dava fiducia e tutto questo era avvalorato da un atteggiamento di contentezza del vivere che non era allegria, non era gioia solo spirituale, era mettere insieme corpo e spirito per vivere le vicende della vita e fare contento Dio.

Su questo scrisse anche un libro bellissimo: Quando Dio è contento. Il segreto della felicità, che andrò subito a rileggere e che solo dall’indice ti fa comprendere il cammino che a ognuno di noi è dato di potere percorrere per essere felici.

Aveva un’eleganza naturale e un modo amabile di approcciarsi che eliminava le distanze e ti metteva a tuo agio come se le cose che dicevi fossero davvero degne di tutto il suo interesse e in un mondo che va veloce ed è per lo più distratto, questo faceva una grande differenza.

Potrei dire che il suo modo di ascoltare era sintetizzato in una frase che pronunciò una sera, a proposito di come dovrebbe essere un cristiano del nostro tempo: «La griffe del cristiano è il volere bene» disse, e tutti noi certamente abbiamo pensato che lui impersonava alla perfezione il concetto.

Il tempo della vecchiaia

Le nostre conversazioni erano sempre intorno a una tavola apparecchiata, con passaggio di piatti vari e brevi commenti sul cibo, ma del resto questo è anche nel Vangelo, è lo stile di Gesù che si fa trovare sulla riva del lago con del pesce arrostito sulla brace per accogliere i discepoli stanchi e rifocillarli… alla siciliana insomma;

durante una di queste cene con amici gli abbiamo chiesto come era nata la sua vocazione e lui dopo aver parlato di San Josemaría e, sempre con una immutabile commozione, del suo incontro con lui, ci disse che il passo del Vangelo decisivo per dire di sì alla chiamata del Signore era stato quello del buon samaritano che pur non essendo un personaggio rappresentativo del tempo, né un religioso né altro, anzi uno proprio fuori da tutte queste strutture, si era impietosito a tal punto da aiutare, unico tra quelli che passavano da lì, quel poveraccio ferito e abbandonato sul ciglio della strada.

«Se lo aveva fatto lui», disse «potevo farlo anch’io ed è questo che desideravo portare avanti nella mia vita».

Noi restammo tutti in silenzio per qualche minuto.

Ritorno in Sicilia

L’anno scorso, come sempre era venuto in Sicilia per il corso di studi a Calarossa, un posto che amava e che gli era entrato nel cuore e che ogni anno lo aspettava con il suo mare incontaminato e il suo parco ombroso di abeti che crescono in un terreno quasi sabbioso.

Durante un incontro con amici mi raccontò che davanti a uno di quei tramonti indimenticabili per cui non puoi fare a meno di pensare a Dio e ringraziarlo per tanta bellezza, mentre stava rientrando nella grande casa di convegni e ritiri, «improvvisamente mi sono guardato e mi sono visto con il mio passo da vecchio, una cosa che non mi era mai successa prima e che mi ha fatto sentire un po’ fuori da tutti i giri, da tutti i progetti… e pensare che fino all’anno scorso facevo ancora canottaggio e adesso per una salita dal mare a casa, mi si mozza il respiro e arranco».

Gli ho detto che anche io ero un po’ così, solo di due anni più giovane di lui, ma già anche io fuori dai giri; gli ho detto che stavo scrivendo qualcosa sulla vecchiaia per l’appunto, e che la consideravo come un’isola felice, in cui il tempo finalmente assume una dimensione distesa e pacificata ma io non avevo subito i suoi numerosi interventi al cuore e le mie erano solo frasi di incoraggiamento, lui però fece finta di prenderle in considerazione e ci rise sopra.

Le ultime volte e l’abbraccio con la Madonna

L’ultimo incontro a casa mia, l’anno scorso, una sera di settembre a cena con mio fratello, un’amica e qualche figlio. Mio marito era già volato in cielo da cinque anni: una serata felice in cui non so come, ci sentivamo tutti giovani, anzi ci vedevamo giovani e ridevamo degli acciacchi, ce li raccontavamo con un’ironia che avevamo fatta nascere da una grande tenerezza verso noi stessi: mio fratello e Pippo già ottantenni, mentre io ancora un anno per diventarlo e ci siamo descritti a vicenda sulle tante cose che ormai diventavano difficili , come scendere e salire dalle auto alte da fare paura, e sulle nostre acrobazie per rialzarci con dignità e decoro dalla stuoia sulla sabbia in riva al mare.

Abbiamo riso tanto e lo ricordo così: sorridente, positivo, meravigliosamente napoletano, mentre prende una seconda porzione della mia caponata e dice: «Ma questo è un elisir».

Se n’è andato di sabato, il giorno della festa del cuore immacolato di Maria, e immagino la sua preghiera in quel giorno, lui che era tanto devoto della Vergine; le avrà detto che le dava il suo cuore così malandato, che era poca cosa ma era tutto quello che poteva darle e la Madonna, ne sono certa, l’ha preso in parola, ha accettato la sua offerta sorridendo… e se l’è portato via.

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