Se l’intelligenza artificiale elaborerà pensieri e progetti, se la robotica li tradurrà in opere, costruzioni e produzioni, se potremo riprodurci in laboratorio, se alle domande sul senso della vita risponderà Google, che cosa rimarrà dell’umano nell’uomo? Che cosa ne sarà della sua coscienza, del suo ingegno, della sua creatività, del suo spirito? Saremo ancora a immagine e somiglianza di Dio o di un algoritmo?
È in atto una rivoluzione che sta toccando i gangli essenziali dell’esistenza umana. Stanno mutando le modalità di intendere il generare, il nascere e il morire. È messa in discussione la specificità dell’essere umano nell’insieme del creato, la sua unicità nei confronti degli altri animali, e persino la sua relazione con le macchine.
Abbiamo compreso che il nostro esasperato antropocentrismo ha messo a rischio la terra e gli equilibri naturali, ma sembriamo non aver compreso che noi siamo parte di essi e che quindi il “manipolarci” a piacimento può portare a tragiche conseguenze.
Ritorna la domanda esistenziale: che cos’è l’uomo, l’essere umano?
L’uomo nel terzo millennio
Nel messaggio rivolto al Pontificio Consiglio della Cultura (pubblicato da “Avvenire”, 23 novembre 2023) papa Francesco asserisce:
Nel mondo liquido di oggi c’è bisogno di un nuovo umanesimo. Di fronte alla rivoluzione che investe i nodi essenziali dell’esistenza umana, occorre compiere uno sforzo creativo e ripensare alla presenza dell’essere umano nel mondo.
Francesco indica la necessità di rispondere ai tanti interrogativi posti da questi cambiamenti, primi fra tutti quelli «fondamentali dell’esistenza: la domanda su Dio e sull’essere umano». In effetti, in questo frangente della storia, abbiamo disperatamemte bisogno soprattutto di una nuova prospettiva umanistica, fondata sulla Rivelazione biblica arricchita dall’eredità della tradizione classica, come pure dalle riflessioni sulla persona umana presenti nelle diverse culture. In questo momento, che Francesco definisce «della liquidità o del gassoso» e animato dalla «fluidità della visione culturale contemporanea», il riferimento resta la costituzione conciliare Gaudium et spes, che indica quanto ancora la Chiesa abbia da dare al mondo e che impone di riconoscere e valutare, con fiducia e coraggio, le conquiste intellettuali, spirituali e materiali emerse da allora in vari settori del conoscere umano.
La fusione «tra la sapienza antica e quella biblica rimane un paradigma ancora fecondo». Tuttavia, l’umanesimo biblico e classico, oggi, deve aprirsi a ciò che altre culture e altre tradizioni umanistiche possono dare. Senza cedere alla critica e alla negazione, indica ancora Francesco, è il momento di pensare alla presenza dell’essere umano nel mondo alla luce della tradizione umanistica: come servitore della vita e non suo padrone, come costruttore del bene comune con i valori di solidarietà e di compassione.
Ecco che accanto alla domanda su Dio, oggi ve ne è un’altra, che riguarda l’essere umano e la sua identità.
Il rapporto con tra Dio e l’uomo
Col passare dei secoli, questa relazione tra Dio e uomo è stata tuttavia sempre più messa in discussione e percepita soffocante e ingombrante. L’uomo deve potersi sentire libero di auto-determinarsi e di auto-trascendersi. Ai primi del Novecento, nella Gaia scienza, Friedrich Nietzsche afferma che «Dio è morto». Dio non pare interessare più al mondo. Ma se Dio è morto l’uomo non pare stare meglio: una domanda emerge in maniera angosciosa: chi sono io? Tutto appare liquido, privo di certezze.
Se Dio era infatti il centro della vita umana, tutto sembra ora frammentato. Le categorie del passato si fanno desuete e l’uomo appare smarrito, perduto, solo. Se, nel passato, l’Io si confrontava sempre con un altro che in ultima istanza era Dio stesso, ora è errante, senza riferimenti. Certo, l’uomo può finalmente divenire autosufficiente, ma i suoi tratti si fanno incerti, fragili, provvisori. Sarebbe questa l’espressione del nichilismo, del disincanto del mondo, dell’esaurimento del regno dell’invisibile.
In un articolo del 10 maggio 2022 su “Famiglia Cristiana”, il cardinale Gianfranco Ravasi rileva che è l’apateismo (l’indifferenza) la cifra dominante del nostro tempo, che ha sostituito l’ateismo e il cui antidoto è l’umanesimo integrale.
Nella crisi odierna che tutti avvertiamo, quali speranze possiamo avere per riconquistare una fiducia nel futuro che appare svanita nel nulla? Forse, non l’esaltazione di un homo deus, ma una rinnovata alleanza uomo-Dio, purificata da tante sovrastrutture e malintesi, potrà riservare la scoperta d’inedite possibilità di fecondità e pienezza di vita. Dinnanzi a situazioni così dense di incognite il poeta Mario Luzi, con sguardo profetico, in Terzo millennio1 ci invita ad «alleggerire il carico della presuntuosa fatuità» per portare in salvo l’essenziale:
Terzo millennio, la tua porta è ancora chiusa
c’è una parola per passare il segno?
un motto di malleveria sovrana?
C’è, non sai chi lo pronunzia
e nemmeno chi lo giudica, ma c’è.
La mente umana greve e insoddisfatta
lo desidera, dura, contro di sé:
sfrondare di frivolezza e vanità lo scibile,
portare in salvo l’essenziale opera
di bellezza e conoscenza, alleggerire il carico
della presuntuosa fatuità…
Da questo purgatoriale rogo
uscirà l’uomo, spero, spoglio proteso
al meglio: al lavoro costruttivo,
alla pace, alla fraternità.
Superare lo spaesamento individualista
Da tempo si parla quindi di “nuovo umanesimo”. Un concetto che corre il rischio di trasformarsi in un facile passe partout, utilizzabile in ogni circostanza. “Nuovo umanesimo” è un termine forte che negli snodi storici è stato adottato per segnalare una vera e propria rottura di continuità. E non si è mai trattato di passaggi semplici, lineari e indolori.
Ragionare oggi di un nuovo umanesimo vuol dire mettere in conto un passaggio epocale, un salto per il quale bisogna fronteggiare ostacoli di immensa portata. In questo senso il nuovo umanesimo diventa davvero il nuovo orizzonte politico-culturale.
La riflessione sul nuovo umanesimo ha cominciato a emergere parecchi anni fa, ben prima che montasse il clima di imbarbarimento, di odio e di disumanizzazione dilaganti negli ultimi tempi. Perché il cittadino dei Paesi democratici è diventato così fragile, così esposto a suggestioni autoritarie, così propenso a seguire pulsioni rabbiose, che possono tramutarsi in manifestazioni di odio?
Si intravvedono grandi squassanti processi interdipendenti che stanno imperversando in tutto il mondo. Stiamo facendo i conti sia con la disumanizzazione, con il post-umano e rottura dell’equilibrio uomo-natura.
I rischi della disumanizzazione
Uno dei processi di disumanizzazione più evidente è il ritorno prepotente della xenofobia: identità etniche tirate contro gli altri, nuovi muri per delimitare chi è dentro e chi è fuori.
Inoltre, si aggiunge un individualismo sempre più radicale, che porta una riduzione del legame e dei valori solidaristici. Qualcosa si è spezzato nel tessuto della società, vediamo dilagare la frantumazione e l’individualizzazione nei rapporti di lavoro e un allentamento dei legami delle comunità territoriali. Disintermediazione, ovvero la dissoluzione dei corpi e delle comunità intermedie, e solitudine segnano in modo sempre più evidente la vita delle persone.
Lo sviluppo impetuoso delle tecnologie sta alterando le modalità degli uomini di relazionarsi gli uni con gli altri. Uomini e donne di tutte le latitudini sono sempre più inquieti per le innovazioni tecnologiche a getto continuo che costringono a riorganizzare modalità del lavorare, di comunicare, di vivere.
I cambiamenti tecnologici investono ormai le modalità stesse di riproduzione della specie umana. Nei Paesi più sviluppati siamo ormai al rovesciamento della piramide demografica. Sempre meno nati e un prolungamento sbalorditivo delle aspettative di vita, favorito da progressi spettacolari della medicina. Le modalità stesse di riproduzione della vita sono rimesse in discussione: si sono diffuse tecniche di procreazione che prescindono dalla sessualità e, ovviamente, tutto ciò porta con sé conseguenze radicali sul modo stesso di pensare la famiglia. Ci siamo addentrati, con passi rapidissimi, nel post-umano con evidenti implicazioni sulla tenuta dei modelli conosciuti. Appare chiaro che disumano e post-umano, nel loro insieme, stanno determinando una trasformazione antropologica, ovvero un cambiamento profondissimo della condizione umana.
Globalizzazione e lo sviluppo della tecnica
Tutti questi processi sono sospinti da due potentissime forze acceleratrici del cambiamento mondiale: la globalizzazione dei flussi di capitale, merci e persone, insieme allo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnica, barriere sempre nuove che vengono infrante e nuovi campi di ricerca che si aprono: la biologia sintetica, le neuroscienze, l’intelligenza artificiale, la robotica.
Globalizzazione e sviluppo delle tecno-scienze agiscono insieme: la globalizzazione non potrebbe accelerare in tale modo senza l’apporto delle nuove tecnologie, mentre lo sviluppo stesso della scienza e della tecnologia non potrebbe avere questa dinamica travolgente senza l’immersione nel mondo globale. Queste dinamiche sottopongono la condizione umana a grandi tensioni.
Gli assiomi del pensiero neoliberale, la massimizzazione dell’interesse egoistico degli individui, il mercato come unico regolatore della vita pubblica, la centralità del consumatore, sono tutte idee che hanno contribuito potentemente a smontare il tessuto solidale e a innescare processi di disumanizzazione. Il disprezzo neoliberale per la politica, la riduzione dei compiti e delle funzioni dei poteri pubblici che ne consegue, hanno avuto un ruolo enorme nello smontare ogni tentativo di governare la globalizzazione e nel lasciare crescere indisturbati i nuovi giganteschi conglomerati globali che controllano il sistema della comunicazione e che utilizzano spregiudicatamente le innovazioni tecnico-scientifiche.
Un individualismo esasperato
Mauro Magatti dalle pagine di “Avvenire” (1 agosto 2023) scrive:
La vittoria dell’individualismo si è realizzata prima di tutto sul piano culturale: a destra, col neoliberismo che ha fatto della libertà di scelta la propria bandiera; e a sinistra, col progressismo, che ha ripensato l’idea di uguaglianza a partire dai diritti individuali. Grazie a questa convergenza di fondo, l’individualismo ha poi concretamente plasmato i modelli istituzionali delle democrazie avanzate. Si parla a questo proposito di “individualizzazione” per indicare una situazione in cui l’intera vita quotidiana – i suoi tempi, le sue attività – viene integralmente organizzata attorno agli impegni dell’Io, senza obbligazioni stabili nei confronti di altri. Come dice un noto slogan pubblicitario: “Tutto intorno a te”.
Questi processi sono inesorabili e incontrollabili? Vi sarebbero ragioni sensate per sostenere che questi processi hanno una tale potenza da essere ormai ingestibili. Non vi sarebbe altro da fare che interiorizzarne la dinamica: tutt’al più si potrebbe ritagliare qualche spazio di resistenza. Una parte rilevante del pensiero nichilista del Novecento spinge in questa direzione. Per chi non vuole imboccare questa strada, per chi non accetta un esito nichilista, si apre una strada di ricerca molto impegnativa. Occorre aprire un conflitto di idee. C’è un nesso evidente tra i processi di disumanizzazione e il pensiero dominante. Vi sono quindi serie ragioni per sostenere la necessità di una lotta per una riforma morale e culturale, occorre mettere in discussione il pensiero unico neoliberale. Il focus deve spostarsi dal mercato alle persone.
Un nuovo modello di sviluppo sostenibile
Se il nuovo umanesimo non vuole essere un esercizio teorico, dev’essere pensato e proposto come un nuovo modello di sviluppo sostenibile dal punto di vista sia sociale sia ambientale. Solo con un nuovo progetto realistico si possono realizzare le condizioni per la libertà e la dignità di ogni persona vista come un fine, per rendere effettiva una cittadinanza responsabile e globale. Nell’enciclica Laudato si’ c’è un passaggio cruciale, che ci ricorda che «tutto nel mondo è intimamente connesso», ovvero – scrive il Pontefice – vi è una connessione inestricabile tra dimensione sociale, economica, demografica e ambientale. È esattamente l’invito a ragionare su un nuovo modello disviluppo: la centralità della persona umana e l’obiettivo di ricostruire il rapporto uomo-natura trascina con sé il ripensamento profondo dell’insieme dello sviluppo.
Nella recente Laudate Deum, il Papa stigmatizza ancora una volta il “paradigma tecnocratico”, che in questi anni ha conosciuto «un nuovo avanzamento», grazie all’intelligenza artificiale.
Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo. In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità.
Il 20 febbraio 2023 all’Accademia Pontificia il Papa avverte che:
la forma tecnologica dell’esperienza umana sta diventando ogni giorno più pervasiva: nelle distinzioni tra “naturale” e “artificiale”, “biologico” e “tecnologico”, i criteri con cui discernere il proprio dell’umano e della tecnica diventano sempre più difficili.
La questione è culturale:
Occorre ribadire con decisione l’importanza del concetto di coscienza personale come esperienza relazionale, che non può prescindere né dalla corporeità né dalla cultura. In altre parole, nella rete delle relazioni, sia soggettive sia comunitarie, la tecnologia non può soppiantare il contatto umano, il virtuale non può sostituire il reale e nemmeno i social l’àmbito sociale. E noi siamo nella tentazione di far prevalere il virtuale sul reale: è una tentazione brutta, questa.
Quella dell’umano insidiato da una tecnologia lasciata spadroneggiare senza controllo è una delle tre “sfide” indicate dal Papa. Le altre due sono «il cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo nel mondo tecnologico» e «il concetto di “conoscenza”».
Quanto alla prima, Francesco osserva che «il rapido sviluppo dei mezzi tecnici rende più intensa ed evidente l’interdipendenza tra l’uomo e la “casa comune”», esplicita nel fatto che «c’è un’accelerazione geometrica, non matematica, sia nell’ambiente sia nelle condizioni di vita dell’uomo, con effetti e sviluppi non sempre chiari e prevedibili».
Gli effetti di questo moto impetuoso sono sotto i nostri occhi nella forma di «varie crisi, da quella pandemica a quella energetica, da quella climatica a quella migratoria, le cui conseguenze si ripercuotono le une sulle altre, amplificandosi a vicenda» (“Avvenire”, 20 febbraio 2023). Dobbiamo capire come sia potuto accadere che il frutto del nostro lavoro e della nostra intelligenza abbia incominciato a ergersi minaccioso contro di noi, come sia possibile che gli sviluppi della scienza e della tecnica possano sfuggire al nostro controllo, come sia stato possibile che il nostro modello di sviluppo abbia generato – con il riscaldamento climatico – minacce alla nostra sopravvivenza come specie umana. Si tratta quindi di un progetto cosmopolitico umanistico radicale.
Il cattolicesimo e la sfida della contemporaneità
Insomma, ragionare di nuovo umanesimo non è esercizio per sognatori. Può incrociare e mettere in movimento forze reali. Può essere l’humus per alimentare nuovi progetti sociali e politici.
Questo profetico progetto “neoumanista” deve accogliere la dimensione della trascendenza, orizzontale e verticale. Una sfida di natura antropologica ed etica rappresentata dalla tesi del superamento della dimensione umana. Il progresso scientifico e tecnologico non può sostituire l’orizzonte della trascendenza ed essere concepito in alternativa alle esigenze di una crescita culturale e intellettuale di stampo umanistico.
Il cattolicesimo culturale e politico deve assumere la sfida della contemporaneità in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà rinunciando a vecchie mediazioni, senza nostalgie del passato, senza rifugiarsi in uno spiritualismo astratto.
Inoltre, i cattolici per esercitare un ruolo profetico in politica dovrebbero recuperare il valore dell’impegno, dovrebbero riprendere la lezione di Mounier, cioè il valore della lotta per la libertà, la giustizia e la democrazia. Secondo il padre del personalismo comunitario:
Il cristiano deve mettersi bene in testa che è un cittadino della terra e che, se vuole imitare pienamente Cristo, deve pienamente con Lui assumersi i pesi e gli impegni di questa cittadinanza […]. Il cristiano sarà un uomo totalmente uomo fra gli uomini e non barerà con le esigenze della terra. Il mio Vangelo è il Vangelo dei poveri. Esso non si rallegrerà mai di ciò che può separare il mondo e la speranza dei poveri. Non è una politica, lo so, ma è una ragione sufficiente per rifiutare certe politiche.
Il neoumanesimo popolare e profetico è chiamato a “costruire la città dell’uomo” per usare la definizione di Giuseppe Lazzati, e che per Charles Péguy è “abbozzo e prefigurazione della città di Dio”. Un impegno a cui ognuno di noi non può sottrarsi, abbiamo bisogno come il pane di sentire profumo di umanità. Ogni epoca ha i suoi travagli, ogni tempo ha la sua risurrezione.
1 Si tratta di un inedito autografo contenuto in un’agenda di Luzi del 2003.