Il mondo degli appassionati di J.R.R. Tolkien si è infiammato e diviso di fronte alla nuova traduzione del Signore degli Anelli che è stata pubblicata da Bompiani nell’autunno 2019 e che ha sostituito quella storica con cui, dal 1967 in avanti, tutti siamo cresciuti. In questo articolo vorrei osservare la querelle da una prospettiva puramente legale, ricostruita in base alle dichiarazioni rilasciate dalle parti in causa.
Anzitutto, l’antefatto: fin dall’inizio, la titanica impresa di rendere nella dolce lingua del Belpaese le gesta di Frodo e compagni era stata commissionata dall’editore Astrolabio-Ubaldini alla principessa Vittoria Alliata di Villafranca e Valguarnera, all’epoca appena sedicenne. Due anni dopo la prima pubblicazione italiana de La Compagnia dell’Anello, Rusconi rilevò i diritti di traduzione dell’Opera, con l’intenzione di pubblicarla finalmente per intero. Nel 2000 i diritti vennero di nuovo trasferiti, questa volta a Bompiani. Anche la terza casa editrice scelse di mantenere la medesima traduttrice e, dal momento che la legge italiana sul diritto d’autore stabilisce che il contratto di edizione possa avere una durata massima di vent’anni, è ovvio dedurre che l’accordo originario – qualunque fosse la sua durata – sia stato, nel frattempo, periodicamente rinnovato. Ciò fino al 2018, anno in cui accadde ciò che la direttrice di Bompiani, Beatrice Masini, ha definito – in una lettera aperta pubblicata dal Giornale in data 16 gennaio 2019 – “una svista”: i diritti di traduzione erano scaduti e nessuno se n’era accorto.
Anzitutto, va osservato che non solo è inammissibile una tale “svista” da parte di un editore, ma ancor meno lo è quando si tratta di un editore importante come Bompiani. Senza contare poi che il Signore degli Anelli non è certo l’ultimo instant book dell’ennesimo blogger da un milione di follower, di cui ci si dimentica dopo qualche stagione. Stiamo infatti parlando di un classico internazionale e intergenerazionale, oltre che di una delle pietre miliari del genere high fantasy. Ancora, la “svista” non è oltremodo ammissibile perché, continuare a vendere una traduzione il cui contratto di licenza è scaduto, costituisce una violazione dei diritti di sfruttamento patrimoniali dell’autore. A meno che, nel contratto, si trovi una clausola che autorizzi l’editore a continuare a vendere gli esemplari per un certo periodo, quando non addirittura fino l’esaurimento delle scorte in magazzino. Tuttavia, se Alliata è partita lancia in resta, si deve dedurre che tale clausola non era stata prevista. Masini prosegue, nella sua lettera aperta, spiegando che, appena accortasi della scadenza, Bompiani è corsa ai ripari offrendo ad Alliata un rinnovo del contratto, richiedendole contestualmente anche una revisione del testo. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dalla direttrice, l’editore non avrebbe mai ottenuto alcuna risposta certa da parte dei legali della traduttrice.
La nuova traduzione di Fatica
Alla fine, non è rimasto dunque altro da fare che ritirare le traduzioni dell’Alliata dal commercio, mentre era già stato comunque incaricato di intervenire sul testo un nuovo traduttore, Ottavio Fatica. Divergente, però, la versione dei fatti fornita da Alliata attraverso un’altra lettera aperta, questa volta divulgata attraverso la pagina del gruppo Facebook “Tolkieniani Italiani”. Ne riporto un passo essenziale per illustrare le questioni oggetto della presente trattazione:
Accertato che la mia versione, quella vilipesa dai revisionisti benché (o proprio perché) approvata dallo stesso Tolkien, continuava ad essere stampata e commercializzata da Bompiani-Giunti in totale disprezzo della legge sul diritto d’autore e delle minime regole di correttezza, essendone ormai scaduti i diritti da parecchi anni, diffidai l’editore a ritirarla immediatamente dagli scaffali. La risposta di chi ha incassato ad oggi milioni dalla mia traduzione, senza aver speso nemmeno un euro, rivelava che era in corso una revisione del mio testo, di cui mi si sarebbe “dato conto nel dettaglio, se lo desideravo (sic!) una volta concluso il lavoro di revisione, a settembre”.
Se questi sono stati, effettivamente, i termini della questione presentati alla traduttrice, si tratterebbe di nuovo di una grave violazione da parte di Bompiani. Se infatti continuare a vendere la traduzione scaduta costituisce una violazione dei diritti patrimoniali di Alliata, intervenire con una revisione sul suo testo originario, senza il suo permesso e addirittura “notificandole” il risultato a posteriori, significherebbe violare uno dei diritti morali dell’autore, e precisamente il cosiddetto diritto di modifica. In questo caso Bompiani avrebbe commesso, dal punto di vista giuridico, un’ulteriore, inammissibile trasgressione. Interessante anche il dettaglio di due nuove clausole contrattuali proposte ad Alliata e da questa altresì evidenziate nella lettera aperta:
[…] (Bompiani, ndr) condizionava il pagamento di quanto dovuto per legge (sia per l’illecito uso della mia opera che per la sua manipolazione da parte di terzi già attuata nella versione Ebook) a due clausole vessatorie: l’obbligo di una revisione del mio testo “sotto tutela”, nonché l’obbligo di sottoscrivere un rinnovo del contratto per 10 anni, che includesse e sanasse il passato, a una cifra annua di 880 euro.
La cifra forfettaria offerta appare irricevibile. Anche ignorando la percentuale di royalty pattuita a inizio rapporto, proviamo a ipotizzare, per pura accademia, un conteggio con arrotondamenti per difetto. Partendo dalla soglia più bassa del 4% (nemmeno più praticata, poiché ormai, da almeno una decina d’anni, la media odierna è un 7% minimo) e anche volendo considerare solo l’edizione in brossura, che viene attualmente venduta a poco più di 23 euro, ciò significherebbe poco più di 90 centesimi di royalty a copia. Dividendo quindi per 880 euro, significherebbe sostenere che Il Signore degli Anelli ha venduto solo 977 copie in un anno (!). Fra l’altro, questa compensazione monetaria non pare tenere minimamente in conto un ristoro per la rinuncia alla richiesta di risarcimento del danno e l’anticipo per il rinnovo dei diritti scaduti (!).
Quanto alla revisione “sotto tutela”, come la chiama Alliata, di nuovo si tratterebbe di una clausola che viola il diritto morale dell’autore e dunque bene ha fatto la traduttrice, dinanzi a una tale conditio sine qua non e all’incongrua offerta economica di cui sopra, a non rinnovare a Bompiani la licenza dei propri diritti di traduzione.
I profili giuridici della vicenda hanno visto poi il culmine dopo che, il 29 aprile 2018, è stata pubblicata su Robinson (supplemento di Repubblica) un’intervista della giornalista e scrittrice Loredana Lipperini a Ottavio Fatica. In essa, fra le altre cose, veniva chiesto al traduttore se le critiche alla traduzione dell’Alliata (critiche che peraltro non sono spuntate ora, ma che sono sempre state fatte sin dall’epoca in cui Quirino Principe, traduttore ed editor di Rusconi, prese in mano e intervenne sull’edizione di Ubaldini) fossero fondate. Una domanda legittima e spontanea per un intervistatore, e anche doverosa per un appassionato dell’Opera quale Lipperini si dichiara. Peraltro, a sedici anni si può anche avere una straordinaria familiarità con una seconda lingua, ma è un fatto che si difetti di mestiere, esattamente come difetta di mestiere un autore alla prima pubblicazione rispetto a un best-sellerista, a prescindere dalle sue brillanti potenzialità. Tant’è che la versione uscita per Ubaldini venne rivista, appunto, da Rusconi. La domanda, dal punto di vista giornalistico, aveva dunque perfettamente senso.
Il risultato è che Alliata ha querelato non solo Fatica per le critiche che le ha mosso – pur in mezzo agli elogi per essersi cimentata così giovane, con un’Opera così complessa che farebbe tremare i polsi anche al traduttore più navigato – ma anche Lipperini per aver posto la domanda, nonché Mario Calabresi, in virtù del principio di responsabilità in solido del direttore di testata. La querela è stata poi archiviata il 30 giugno 2021, in quanto è stato appurato che le asserzioni fatte rientravano nel diritto di critica.
Da notare, sotto questo profilo, che gli appunti di Fatica si sono sempre indirizzati all’Opera e mai alla traduttrice; inoltre hanno rispettato il principio della continenza verbale, cioè non hanno mai usato parole e toni offensivi. Ed è verosimile che siano stati proprio questi due fattori a provocare l’archiviazione della querela.
In definitiva, quali insegnamenti in materia giuridica si possono trarre, al di là della spiacevole querelle che, a mio avviso, danneggia l’immagine sia di entrambi i traduttori sia dell’editore, e che ha, come unico risultato, quello di far soffrire l’Opera? Le riepilogo brevemente: 1) un editore non può, a meno di essere stato esplicitamente autorizzato nel contratto, continuare a vendere un’Opera – che si tratti di un originale o della relativa traduzione – dopo la scadenza del contratto, perché ciò costituisce violazione dei diritti patrimoniali dell’autore o del traduttore;
2) un editore non può intervenire su un testo, a meno di esserne stato espressamente autorizzato e successivamente siano state approvate le modifiche attraverso il consueto meccanismo del “visto si stampi” rilasciato dall’autore o traduttore stesso. Diversamente, ciò costituisce violazione di uno dei quattro diritti morali dell’autore o del traduttore.
Chi opera dunque nella filiera editoriale, da qualunque parte della barricata si trovi, è bene che tenga a mente questa vicenda. Chi è editore, per evitarsi una causa per danni; chi è autore o traduttore, per difendere i propri sacrosanti diritti.