La recente pubblicazione dell’edizione italiana del saggio di Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies, Dio. La scienza, le prove. L’alba di una rivoluzione (Sonda, Milano 2024, pp. 612, € 24,90), anche per il suo successo editoriale1, ha suscitato vivaci reazioni da parte di uomini di cultura sia credenti sia non credenti, trasversalmente divisi tra scienziati, anche non credenti, e uomini di fede che hanno accolto favorevolmente le tesi sostenute nel libro, e scienziati e uomini di fede che invece vedono in queste un’indebita confusione tra fede e scienza.
La struttura del saggio
Occorre evidenziare subito che il volume si rivela ben strutturato: parte sottolineando come alcune scoperte scientifiche del Novecento abbiano “cambiato il volto” della fisica, che dalla rivoluzione scientifica in poi sembrava porsi in inevitabile conflitto con la fede. Le scoperte più rilevanti sono cinque: 1) la morte termica dell’universo; 2) la teoria della relatività di Einstein, che ha messo in rilievo lo stretto legame intercorrente tra spazio, tempo e materia; 3) il Big Bang, teoria sperimentalmente confermata nel 1964; 4) la “regolazione fine” dell’universo; 5) il darsi della “regolazione fine” anche in biologia, perché è in virtù di essa che è possibile il passaggio dalla materia inerte a quella vivente.
- Dalla prima scoperta emerge che l’universo, dato che avrà una fine, deve aver avuto un inizio e quindi è l’effetto di una causa;
- dalla seconda deriva che quest’ultima, precedendo la materia, lo spazio e il tempo interconnessi tra loro e al cosmo, dev’essere immateriale, aspaziale e atemporale;
- la terza permette di indicare nel Big Bang l’inizio dell’universo, della materia, dello spazio e del tempo, sicché il Big Bang corrisponde perfettamente all’idea della creazione dell’universo, poiché, come già asseriva Parmenide, dal nulla non viene nulla, perciò senza un Creatore il cosmo non sarebbe mai esistito.
Le configurazioni del pianeta Terra
La teoria dell’esistenza di un Dio creatore implica non solo che l’universo abbia un inizio, ma anche una finalità, sia ordinato e intelligibile, e ciò consegue dalle due restanti scoperte.
- Infatti, la quarta significa che non solo le configurazioni del pianeta Terra necessarie al darsi in essa della vita risultano essere numerose e precisamente regolate, ma anche quelle necessarie all’esistenza dell’universo dato: consistono in una ventina di costanti, ossia numeri invariabili nel tempo e nello spazio, definiti sin dal primo istante della comparsa dell’universo e che ne determinano l’esistenza, il funzionamento e l’evoluzione.
Mentre le configurazioni della Terra si possono spiegare come una casualità, poiché esistono milioni di miliardi di miliardi di pianeti, a cui è applicabile la legge dei grandi numeri, essa non lo è alle configurazioni dell’universo, poiché questo è uno solo. Siccome, però, tali costanti hanno reso possibile, con l’evoluzione dell’universo, la comparsa della vita sulla Terra, allora il caso non può spiegare neanche la “regolazione fine” nell’àmbito biologico terrestre.
Il principio antropico
È il cosiddetto principio antropico: un universo ordinato presuppone un Ordinatore. Inoltre, se tali costanti fossero il frutto del caso, la possibilità di ottenere un universo come il nostro sarebbe una possibilità su 1060, ossia per verificarsi dell’esistenza di un universo così improbabile ci vorrebbero almeno 1060 universi indipendenti con leggi fisiche diverse tra loro, ma anche in tal caso ci vorrebbe un meccanismo che generi tutti questi universi, il quale sarebbe a sua volta ben regolato, riproponendo la domanda da quale principio esso sarebbe regolato.
Un ragionamento analogo termina all’impossibilità che solo il caso spieghi il passaggio dall’inerte al vivente in àmbito biologico, poiché sul piano della casualità la probabilità di detta transizione è solo una su 10340.000, mentre è più probabile l’esistenza di un Ordinatore di un universo con leggi che hanno determinato in modo naturale tale passaggio. Anche l’intelligibilità dell’universo, che è l’applicabilità delle leggi matematiche alla realtà fisica, se fosse una mera coincidenza casuale, sarebbe molto improbabile e allora è più probabile che esista un Intelletto quale causa di essa.
Ne deriva il seguente ragionamento, che espongo in forma sillogistica:
- Premessa 1: in un universo privo di Creatore, materiale, le leggi deterministiche nascono solo dal caso e allora è estremamente improbabile che siano favorevoli alla vita.
- Premessa 2: le leggi del nostro universo sono evidentemente favorevoli alla vita.
Conclusione: allora la tesi dell’universo non creato e materiale è invalidata. Il materialismo, soggiungono i due autori, si rivela essere non una teoria scientifica, ma una mera credenza, per di più irrazionale.
Prova assoluta ed empirica
La trattazione prosegue esponendo la definizione di prova scientifica, distinguendo la “prova assoluta” – propria dei sistemi formali che partono da assiomi o princìpi o ipotesi di numero finito, senza elementi imprevedibili, sicché in questi sistemi un ragionamento formalmente corretto conduce a una conclusione sempre corretta, indiscutibile e definitiva – dalle prove delle teorie scientifiche in àmbito empirico, connesse a tre fattori: la loro confrontabilità con la realtà, la possibilità di essere matematicamente modellizzabili, nonché sperimentabili; la validità decresce progressivamente a mano a mano che diminuisce il numero dei fattori, da tre a zero, a essa attribuibili.
I due autori fanno notare che le cinque scoperte scientifiche suddette rientrano tra le teorie che hanno un alto grado di validità (due o tre fattori), mentre altre teorie elaborate come alternative a esse, per es. il multiverso e l’inflatone relative a ciò che c’era prima del Big Bang, così da negare a questo il carattere di inizio dell’universo, non hanno nessuno dei tre fattori, sono mere speculazioni non confrontabili con la realtà né modellizzabili né sperimentabili.
Infine, gli autori del libro sottolineano che le scoperte prima e seconda, che conducono all’idea dell’inizio dell’universo, e la quarta e la quinta, che comportano leggi favorevoli alla vita contro ogni probabilità casuale, sono indipendenti tra loro, eppure convergono, e la terza scoperta ne supporta la validità.
Le prove razionali extrascientifiche
La teoria dell’esistenza di un Dio creatore implica, poi, che nell’universo siano possibili miracoli, profezie, rivelazioni. Per questo Bolloré e Bonnassies esaminano anche le prove razionali extra-scientifiche dell’esistenza di Dio e infine rispondono alle obiezioni alle loro argomentazioni. Nel loro riesame di alcune prove filosofiche espongono alcune osservazioni interessanti, che richiamo brevemente: la validità della prova dell’esistenza di Dio a partire dalla contingenza degli enti del mondo non viene confutata dalla tesi per cui la materia non sarebbe contingente e quindi non avrebbe una causa altra da sé, perché le caratteristiche della materia sono contingenti (potrebbero essere diverse da come sono) e perciò lo è la materia stessa.
L’ipotesi di un universo da sempre esistito è confutabile anche riflettendo sul fatto che il passato non può essere infinito: infatti, come è impossibile raggiungere l’infinito attraverso addizioni successive allo zero, è altrettanto impossibile raggiungere lo zero partendo da -∞, poiché -∞ + 1 = -∞. Allora il passato è finito, ha avuto un inizio assoluto.
Un criterio per la valutazione del libro
Dopo aver considerato la struttura del volume, occorre chiedersi se sia individuabile un criterio oggettivo per saggiarne i risultati che non si lasci condizionare dalle inevitabili precomprensioni che ognuno di noi ha sui rapporti tra fede e scienza, ossia che non si fermi a un giudizio previo, perciò infondato, su di esso.
A mio parere, il criterio consiste nel partire dallo statuto epistemologico delle tre scienze in questione (intese in senso lato come una conoscenza soggettivamente certa e oggettivamente evidente di un enunciato sulla base della sua ragione propria): la teologia, le scienze naturali e la filosofia, una cui branca è la teologia razionale, che tematizza la dimostrazione dell’esistenza di Dio (la teologia rivelata, presupponendo la fede nella Rivelazione di Dio, presuppone e non dimostra l’esistenza di Colui che si è rivelato).
L’Aquinate e l’Esistenza di Dio
Non a caso l’Aquinate considera l’esistenza di Dio creatore uno dei praeambula fidei. Nondimeno, la teologia rivelata si conforma al Magistero della Chiesa e nella costituzione dogmatica Dei Filius, canone II 1, si afferma:
Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema.
Ogni scienza si definisce mediante due parametri: 1) il subiectum, ciò che “sta sotto” un’indagine, ossia la materia di studio (in inglese le materie scolastiche si dicono proprio school subjects); 2) l’obiectum formale, che è la prospettiva secondo cui si definisce e si studia il subiectum.
Scienze Fisico-Naturali
Le scienze fisico-naturali hanno come subiectum le realtà oggetto di esperienza, ma quest’ultima è considerata sotto l’angolazione particolare e selettiva dell’obiectum formale delle singole scienze (la meccanica considera delle realtà esperibili solo estensione, movimento locale e forza), accomunate dal loro metodo che è sperimentale; l’obiectum formale di tutte le scienze fisico-naturali consiste nel considerare solo gli aspetti quantitativi e matematicamente quantificabili dell’esperienza esterna delle realtà corporee2.
Il subiectum della teologia è Dio in sé, nella sua deità impartecipata, che è sovrannaturale in quanto supera le capacità della ragione naturale umana e che è nota solo per rivelazione, accolta con fede e poi indagata con la ragione filosofica per verificare la non-contraddittorietà (non-assurdità/non-irrazionalità) del contenuto di fede, affinché possa veramente essere creduto.
Il subiectum della filosofia è l’ente (ciò che in qualsiasi modo è, al di là del quale non c’è nulla), ossia la filosofia considera l’esperienza in tutta la sua ampiezza, ricercando quelle verità in grado di dare ragione dell’intera realtà dell’esperienza umana universale; il suo obiectum formale è espresso dalla formula “in quanto ente”, ossia in quanto è ed è qualcosa. Perciò, la filosofia considera anche i corpi sensibili, ma in quanto enti.
La Dimostrazione dell’Esistenza di Dio
Perciò, la dimostrazione dell’esistenza di Dio non appartiene all’àmbito delle scienze fisico-naturali, perché Dio trascende i corpi sensibili, subiectum di tali scienze, né è osservabile, quantificabile e misurabile, ossia non rientra nella loro prospettiva di studio. Nondimeno, la filosofia presenta due caratteri che la rendono un possibile trait d’union tra tali scienze e la teologia, poiché nel suo subiectum, l’ente, rientrano tanto i corpi sensibili quanto Dio.
Inoltre, è dalla ragione filosofica che storicamente è sorta e si è resa autonoma la ragione scientifica, e la teologia, in quanto opus fidei et rationis, senza la filosofia non potrebbe darsi come scienza della fede. In altri termini, le tre scienze sono differenti, relativamente autonome, ma non incomunicabili. Occorre quindi verificare se nel volume in oggetto permanga la distinzione tra le tre prospettive scientifiche senza confonderle né separarle nettamente.
Pregi e punti critici del volume
All’inizio del libro si afferma che le scoperte della fisica del Novecento hanno avuto una tale portata da “invadere” il campo della metafisica, giustificando in tal modo che dalle prove scientifiche si possa dimostrare l’esistenza di un Dio creatore. A mio avviso, per evitare il rischio di attribuire alla fisica uno statuto epistemologico ibrido, commisto di quello metafisico, è più corretto impostare il loro rapporto così: siccome la teologia razionale dimostra l’esistenza di Dio partendo dall’esperienza sensibile (cosmologia), la stessa che è subiectum delle scienze fisico-naturali, queste ultime possono legittimamente desumere dai loro risultati di ricerca l’ipotesi probabile di una causa ultima divina trascendente.
Ruolo della Filosofia e della Teologia Razionale
Tuttavia, siccome questa è oggetto di un’inferenza metempirica, ossia che travalica l’esperienza, la dimostrazione spetta alla scienza che ha come subiectum l’esperienza nella sua totalità e come obiectum formale una prospettiva interale: la filosofia. Pertanto, servirsi dei risultati scientifici per dimostrare l’esistenza di Dio è un complementum philosophicum, esige di trascendere la prospettiva delle scienze fisico-naturali per adottare esplicitamente quella della teologia razionale.
Teologia Rivelata come Complemento della Filosofia
Dal momento, poi, che la teologia rivelata si serve del criterio analitico della teologia razionale per riflettere sul suo subiectum3, essa può costituire il complementum theologicum della filosofia, ottenuto trascendendo l’àmbito della mera ragione naturale per farla interagire con la fede nel dato rivelato.
Questo complementum philosophicum rivela tutta la sua necessità proprio in rapporto alla prova dell’esistenza di Dio creatore, poiché il concetto di “Creatore” non è identico a quello di “Intelletto ordinatore”: anche Platone ammette un Intelletto divino demiurgico, il cui operare, però, presuppone l’esistenza di altre due realtà a Lui cooriginarie, non prodotte da Lui: le Idee-archetipi degli enti sensibili da Lui plasmati e la “materia” in cui plasmarle e collocarle.
Le Cinque Vie dell’Aquinate
Il risultato delle cinque vie dell’Aquinate, che partono dal mondo sensibile, è l’esistenza di un Dio Motore (immobile) del divenire, Ordinatore, Causa necessaria del contingente e Causa finale della teleologia presente nell’universo, ma per definire questo Dio come Creatore, Tommaso perviene dal dato (immediatamente evidente) dell’esistenza di enti divenienti alla loro Causa motrice immobile, Dio; dalla sua immutabilità ricava che è atto puro, privo di potenzialità, dalle cui implicazioni conclude che Dio è l’Essere per sé sussistente, tutto l’essere nella sua perfezione; perciò l’universo non può aggiungere nulla alla pienezza d’essere di Dio, ma la sua esistenza quale effetto altro dalla causa divina è un dato innegabile, e allora deve avere l’essere per partecipazione da Dio e in questo consiste il creare.
Il Complementum Philosophicum e la Creazione
In altre parole, per definire Creatore quel Dio a cui si perviene quale Causa prima dell’universo di nuovo occorre il complementum philosophicum, perché è il filosofo a tematizzare il teorema della creazione, che, mi permetto di sottolineare, non verrebbe smentito neanche se in futuro la fisica dovesse provare con validità scientifica l’ipotesi del multiverso o dell’inflatone prima del Big Bang, togliendo a questo il carattere di evento dell’inizio assoluto.
Infatti, qualsiasi ente che non sia incondizionato sotto tutti gli aspetti e perciò infinito – e queste realtà alternative o precedenti al Big Bang non lo sono in quanto l’infinito non ha parti, di per sé limitate, e poi Bolloré e Bonnassies richiamano il fatto che nell’infinitamente grande (astrofisica) e nell’infinitamente piccolo (fisica atomica) non si danno grandezze fisiche infinite – esige una Causa incondizionata della propria esistenza.
L’Atto Creatore
L’atto creatore è un atto divino, come tale eterno e identico all’essenza di Dio, nella cui semplicità l’operare non segue l’essere, e tutte le creature sono poste in esso (altrimenti sarebbero presupposte all’atto creatore), al di fuori del quale sono nulla, sicché tale atto atemporale è simultaneo a tutti gli istanti dell’esistenza di ogni creatura e a tutti gli istanti del tempo, in quanto creato anch’esso. Per questo anche il multiverso o l’inflatone o ogni altro ente preesistente al Big Bang che in futuro fosse provato esistere dovrebbe essere nell’atto creatore per sussistere.
Un’altra incongruenza del volume è che, da un lato, riesamina con atteggiamento favorevole le prove filosofiche dell’esistenza di Dio come complementari e coerenti con le prove scientifiche di essa qui addotte, ma, dall’altro, inserisce la metafisica tra quelle discipline, come la matematica e la geometria, le cui prove sono assolute perché frutto di ragionamenti in sistemi meramente formali, ossia la cui correttezza è dovuta all’assenza di elementi imprevedibili nel sistema, presenti invece nell’àmbito empirico.
Dato che parte dagli enti di cui si ha esperienza, la teologia razionale non si muove su un piano meramente formale, ma quale sapere dimostrativo che tende all’incontrovertibilità, fonda le proprie argomentazioni su evidenze immediate: la “prima via” dell’Aquinate parte dal mutamento o divenire in quanto tale, in generale, poiché è incontestabilmente attestato da ogni ente, della cui mutabilità ognuno ha sempre esperienza, e allora la sua prova resta valida qualunque sia la teoria fisica che spieghi i tipi di mutamento.
Confronto con Aristotele
Invece, Aristotele, nel dimostrare l’esistenza di Dio nella Fisica, parte considerando il mutamento in tutte le sue forme, ma poi lo sostituisce con il movimento circolare delle sfere celesti, l’unico ininterrotto e incessante. In tal modo la sua dimostrazione viene inficiata dal fondarsi su una concezione fisica dell’universo che è stata smantellata dalla rivoluzione scientifica del Seicento.
Comunque, questi punti critici non annullano minimamente i numerosi pregi del volume, soprattutto quello inestimabile di avere mostrato come sia un pregiudizio infondato l’opposizione quasi a priori, indiscutibile perché oggettiva, tra contenuti della fede e dati della scienza. Questi ultimi, se considerati adeguatamente sul piano scientifico, al contrario appaiono convergere con alcuni contenuti della filosofia e della teologia. E siccome la scienza è ancora da molti ritenuta l’unica disciplina incontrovertibile, l’unica forma valida di razionalità che bandisce dalla sensatezza e cancella il carattere di scienza della ragione filosofica e teologica, il libro può scuotere dall’interno il “fideismo scientistico” antimetafisico, antireligioso e anticristiano di tanti scienziati e di tanti uomini comuni condizionati dall’autorevolezza di questi ultimi.
Pregi del Volume
Quanto all’obiezione rivolta ai due autori, secondo cui la “regolazione fine” dell’universo che permette la vita sulla Terra (attestando un Intelletto ordinatore quale sua causa) sarebbe frutto di un’illusione antropomorfica di prospettiva, dovuto al fatto di vederla finalizzata alla vita perché noi uomini, espressione di questa vita terrestre, siamo importanti solo per noi stessi, non è valida. Come osserva Ludovico Galleni, già docente di Zoologia generale all’Università di Pisa, l’evoluzione è il risultato finale di precise leggi di natura che lo scienziato può indagare e da cui emerge che essa è un «muovere verso la complessità e, là dove la complessità raggiunge la soglia della vita, verso ulteriori livelli di complessità, verso la cerebralizzazione e quindi la coscienza»4.
Tra tutti gli enti solo l’uomo, la cui coscienza è intellettiva, si pone le domande sulle cause e sul senso delle realtà e questo lo rende rilevante quoad se, rappresentando un salto qualitativo della complessità raggiunta dall’evoluzione.
Insomma, gli argomenti esposti in questo saggio possono essere accolti nel rispetto della distinzione degli statuti epistemologici delle scienze, della filosofia e della teologia e confermano che occorre evitare un duplice errore nel rapporto tra fede e ragione: sia quello di confondere semplicisticamente i rispettivi àmbiti sia quello di separarle facendo della fede, se non un atto irrazionale, comunque una mera opzione di volontà, facilmente ribaltabile nell’opzione opposta e motivata solo da una preferenza di valore accordatole meramente da noi, valida solo nella nostra interiorità senza nessi con la realtà.