Emanuela Marinelli, laureata in Scienze Naturali e Geologiche, già docente sia di Sindonologia presso il Centro Romano di Sindonologia, sia di Iconografia, Iconologia e Simbologia cristiana presso la Libera Università Maria SS.ma Assunta di Orvieto, presenta i risultati di nuovi studi sulla Sindone. Studiosi del Turin Shroud Center of Colorado hanno confrontato la forma dei rivoli di sangue presenti sulla Sindone con le reali configurazioni di crocifissione di un corpo umano servendosi di sospensioni a una croce di soggetti volontari viventi. Due studiosi italiani si sono avvalsi della Tac e di un volontario di 32 anni, dal fisico atletico come l’Uomo della Sindone, per la ricostruzione delle parti dell’immagine distrutte dall’incendio del lenzuolo nel 1532, avallando l’ipotesi che l’Uomo della Sindone sia stato realmente crocifisso. Un articolo apparso recentemente su Archaeometry e un convegno tenutosi il 23 maggio 2019 all’Università di Catania hanno provato che la datazione eseguita con il metodo del radiocarbonio da parte di tre laboratori (Tucson, Oxford e Zurigo) nel 1988, che collocò l’origine della Sindone nel Medioevo, non può essere ritenuta valida. Per poter incrementare e approfondire le conoscenze sarebbe auspicabile una nuova campagna di studi multidisciplinari in modo da costituire una mappa completa delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’intera Sindone, cosicché gli studiosi possano lavorare e confrontarsi su dati certi e attendibili.
Il dibattito sulla Sindone sembra non aver mai fine. Negli ultimi mesi sono state pubblicate indipendentemente due ricerche, una contraria1 e una favorevole2 all’autenticità della reliquia. Se ne è parlato immediatamente su Studi cattolici3.
Due recenti studi antitetici sulla realtà della Sindone
Gli autori del primo studio, l’antropologo forense Matteo Borrini e il chimico Luigi Garlaschelli, affermavano che i rivoli di sangue presenti sulla Sindone non sono realistici e concludevano che il lino conservato a Torino è una rappresentazione artistica o didattica del XIV secolo. Ma i loro esperimenti apparivano inadeguati e superficiali. Il loro articolo ha ricevuto due lettere di critica4, seguite dalla loro replica5. Un’altra lettera di critica è stata pubblicata successivamente6.
Uno dei motivi principali citati da Borrini e Garlaschelli a difesa del loro lavoro era quello di ricevere critiche da persone che non avevano condotto esperimenti; ma questo argomento successivamente è caduto, perché nel congresso annuale dell’American Academy of Forensic Sciences, che si è tenuto a Baltimora dal 18 al 23 febbraio 2019, è stato presentato un intervento che descriveva un esperimento di crocifissione condotto proprio per valutare i flussi di sangue del polso e dell’avambraccio osservati sulla Sindone7.
Gli autori, coordinati dal fisico John P. Jackson, fanno parte del Turin Shroud Center of Colorado. L’obiettivo di questa ricerca era quello di confrontare la forma dei rivoli di sangue presenti sulla Sindone con le reali configurazioni di crocifissione di un corpo umano. Sono stati utilizzati dati di medicina legale, fisica e storia per cercare e fornire informazioni sulla crocifissione, usando la Sindone come un possibile esempio di quella pratica antica e fornendo possibilmente aiuto ad altri problemi legali e applicazioni forensi all’archeologia. Questi esperimenti scientifici e le analisi degli stessi flussi di sangue hanno portato a conclusioni opposte rispetto a quelle pubblicate da Borrini e Garlaschelli.
Modelli umani “crocifissi” per studiare i flussi di sangue
L’analisi forense si è basata su sospensioni a una croce di soggetti volontari viventi, una metodologia che non è stata utilizzata dagli autori del precedente lavoro. Dopo aver esaminato e discusso importanti dati storici pertinenti e testimonianze archeologiche relative alla pratica della crocifissione nel mondo antico romano, questo nuovo studio ha progettato un protocollo sperimentale mediante il quale speciali meccanismi di attacco dei polsi e dei piedi sospendono in modo sicuro e realistico i soggetti su una croce a grandezza naturale. È stato invitato personale medico professionale non solo a contribuire al protocollo sperimentale e alle analisi, ma anche a garantire la sicurezza medica.
I volontari, tutti di sesso maschile, sono stati accuratamente scelti per corrispondere, quanto più strettamente possibile, alle impronte frontali e dorsali visibili sulla Sindone. È stata eseguita una valutazione completa della totalità dei flussi di sangue esistenti sulla reliquia per determinare quali di essi si siano verificati durante il presunto processo di crocifissione e quali siano invece di natura postmortale. Sono state inoltre determinate le specifiche caratteristiche di inchiodamento della crocifissione e le posizioni visibili nell’immagine della Sindone. I soggetti sono stati quindi sospesi sulla croce in base a tali determinazioni. La croce e il sistema di sospensione sono stati progettati per adattarsi a vari aggiustamenti di posizione del corpo, a seconda dei casi.
Una volta che il gruppo di studio e il gruppo di esperti di supporto sono stati soddisfatti della validità delle posizioni di crocifissione dei soggetti, il sangue è stato depositato esternamente sul corpo nei siti dei chiodi determinati in precedenza. Sono stati documentati e analizzati i modelli di flusso risultanti sopra i volontari della crocifissione simulata. Anche le posizioni di crocifissione dei soggetti venivano documentate. Le conclusioni raggiunte confermano l’autenticità della Sindone come vero lenzuolo funebre di un crocifisso.
Il mistero del braccio destro in apparenza più lungo
Nel campo medico-legale è stata anche presentata su La Stampa8 l’anteprima dei risultati di una nuova ricerca. Reca le autorevoli firme di Filippo Marchisio, primario di Radiologia all’ospedale di Rivoli (Torino), e di Pier Luigi Baima Bollone, celebre sindonologo, per molti anni professore ordinario di Medicina legale nell’Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Sindonologia. L’indagine è partita dalla costatazione che l’Uomo della Sindone sembra avere il braccio destro più lungo di sei centimetri rispetto al sinistro. I due studiosi attribuiscono questa apparente anomalia a una frattura al gomito o a una lussazione alla spalla, compatibili con una crocifissione, tenendo conto anche della forzata piegatura delle braccia, necessaria per vincere la rigidità cadaverica al momento della sepoltura.
Sulla Sindone la parte superiore delle braccia e le spalle non sono visibili a causa del danno provocato da un incendio nel 1532, quando la Sindone era conservata a Chambéry, nella cappella del castello dei duchi di Savoia. Marchisio ha usato la Tac e si è avvalso di un volontario di 32 anni, dal fisico atletico come l’Uomo della Sindone, per la ricostruzione delle parti mancanti mediante una sovrapposizione di immagini. «La Tac permette una riproduzione perfetta delle volumetrie del corpo, consentendoci di ricostruire le parti mancanti senza la soggettività insita nella creazione artistica», ha ricordato Marchisio. «La Tac sottolinea l’incoerenza della posizione di spalle e mani, un elemento ulteriore che avalla l’ipotesi che l’Uomo della Sindone sia stato realmente crocifisso».
Perché le analisi del 1988 sono contestabili
Nello stesso articolo apparso su La Stampa viene annunciata anche la pubblicazione di un altro studio, condotto da Baima Bollone con Grazia Mattutino, criminologa dell’Istituto di Medicina Legale di Torino, che ha lavorato su importanti casi di cronaca giudiziaria. Presso l’Istituto sono conservati alcuni fili della Sindone, prelevati durante le indagini del 1978. L’analisi di questi campioni ha permesso l’individuazione di particelle di oro, argento e piombo, dovuti al contatto del Sacro Lino con il prezioso reliquiario che lo custodiva. È stata identificata anche un’alga, che forse si trovava nell’acqua usata per spegnere l’incendio di Chambéry. Sono presenti pure acari, pollini e particelle dell’inquinamento dovuto alle automobili. Per secoli la Sindone è stata conservata in una cassetta che non era a tenuta stagna e anche le ostensioni hanno contribuito alla sua contaminazione.
Proprio per le vicissitudini subite dalla Sindone, non è ritenuta valida la datazione eseguita con il metodo del radiocarbonio da parte di tre laboratori (Tucson, Oxford e Zurigo) nel 19889. Questa datazione collocò l’origine della Sindone nel Medioevo. La scelta della zona da cui i campioni furono prelevati era errata: da un angolo molto inquinato10, che è stato anche rammendato11. D’altronde, un telo ha una superficie totale di interscambio con l’ambiente, non c’è la possibilità di un prelievo in una zona che non abbia avuto contatti con l’esterno. Le indagini sulla Sindone, perciò, devono essere sempre condotte in un àmbito multidisciplinare, proprio per la complessità di questo oggetto. La mancanza di multidisciplinarietà è stato uno dei motivi del fallimento della datazione radiocarbonica condotta sulla Sindone nel 1988.
Un importante articolo, scritto dal ricercatore Tristan Casabianca con il dott. Giuseppe Pernagallo, data analyst, la prof.ssa Emanuela Marinelli, sindonologa, e il prof. Benedetto Torrisi, statistico, apparso recentemente su Archaeometry12, esamina dal punto di vista statistico i dati grezzi dell’analisi radiocarbonica del 1988, ovvero i dati derivati dalle singole misurazioni. I laboratori non hanno accettato, per quasi trent’anni, di rendere noti questi dati grezzi. Solo nel 2017 li hanno concessi a Casabianca, che ha intrapreso un’azione legale per ottenerli. L’analisi statistica dimostra che i campioni non erano omogenei, dunque non potevano ritenersi rappresentativi dell’intero lenzuolo. L’esito di quel test, perciò, non permette di ritenere la Sindone medievale, come fu affermato nel 1988. È notevole che la pubblicazione di questo nuovo articolo sia avvenuta proprio su Archaeometry, rivista dell’Università di Oxford, dove – come già detto – si trova uno dei tre laboratori che datò la Sindone nel 1988.
È dunque ora di nuovi test sulla Sindone? Questo è l’interrogativo che si pone la giornalista Jane Stannus sul Catholic Herald13 del 2 maggio 2019 dopo aver letto l’articolo apparso su Archaeometry. La Stannus ha deciso allora di consultare vari esperti di analisi radiocarboniche per sentire il loro parere in merito. Dalla sua inchiesta emerge un dato certo: quasi tutti, negatori o sostenitori dell’autenticità della Sindone, sono d’accordo sulla necessità che si conducano nuovi esami, rigorosamente pianificati. Oggi per un test attendibile sono sufficienti piccoli campioni, da prelevare però in diversi punti del telo. Va ricordato che il frammento di tessuto utilizzato nel 1988 proveniva da un unico angolo, per giunta – come già detto – pesantemente inquinato e rammendato.
Interessante quanto sottolineato, nell’articolo della Stannus, dal dott. Liam Kieser, direttore del laboratorio per le datazioni radiocarboniche dell’Università di Ottawa, Canada: «Per una reliquia come la Sindone, la decontaminazione del campione è fondamentale. È stata maneggiata da molte persone nel corso dei secoli. Ci si dovrebbe preoccupare dell’effetto del sudore delle mani. Inoltre, è sopravvissuta a diversi incendi: mentre si può eliminare il danno dovuto al fumo, i vapori organici associati agli incendi possono anche essere assorbiti e incorporati in modo permanente».
Presso l’Università di Catania si è tenuto un importante convegno14 il 23 maggio 2019, dal titolo molto significativo: La datazione della Sacra Sindone: tutto da rifare. Vi hanno partecipato i quattro autori dell’articolo di Archaeometry e altri importanti studiosi della Sindone.
I laboratori che datarono la Sindone nel 1988 con il metodo del radiocarbonio hanno prodotto risultati differenti. Essi non menzionano la presenza di importante materiale eterogeneo, quale antico cotone o fili blu e rossi, di cui si è appresa l’esistenza sui campioni tramite altre fonti. La documentazione rilasciata dal British Museum nel 2017 a Casabianca dipinge un quadro molto più complesso di quanto presentato nell’articolo su Nature: per esempio, Tucson realizzò otto misurazioni e queste misurazioni grezze mostrano eterogeneità. Le procedure (selezionate dopo più di 10 anni di negoziazioni tra archeologi, esperti di tessuti e Santa Sede) sono state ben lontane dalla perfezione; sono queste le riflessioni introduttive tracciate da Torrisi durante l’incontro di Catania.
L’analisi statistica dei dati grezzi conferma in modo inequivocabile la disomogeneità dei conteggi del radiocarbonio usati per la datazione, probabilmente a causa di un contaminante non rimosso dalle operazioni di pulizia preliminari, un problema difficile da risolvere nella radiodatazione dei tessuti, oggi ben conosciuto e che non era considerato abbastanza importante nel 1988, come conferma anche il prof. Paolo Di Lazzaro, fisico dell’Enea di Frascati.
Tre distinti laboratori, tre datazioni diverse
Il campione analizzato, scelto da un unico punto, molto inquinato e rammendato, a causa delle sue peculiari caratteristiche non rappresentava l’intero lenzuolo.
Torrisi e Pernagallo hanno sottolineato che le forti disomogeneità tra i tre laboratori e all’interno dei laboratori sono campanelli d’allarme che confermano la non rappresentatività statistica dei frammenti di tessuto utilizzati nella campionatura. Il prof. Marco Riani, statistico dell’Università di Parma, ha affermato che i test statistici condotti nel 201215 rivelavano che le datazioni fornite dai tre diversi laboratori erano con variabilità omogenea, ma significativamente diverse. L’evidenza più forte deriva comunque dal notorio test di Ward and Wilson; questo e l’OxCal (un software statistico usato nelle analisi dai tecnici del radiocarbonio) confermano non solo che già sui dati ufficiali i dubbi sull’aggregabilità erano più che legittimi, ma rinforza tale tesi, apportando forte evidenza di disomogeneità per quanto riguarda i dati grezzi, nonché per le datazioni fornite dal solo laboratorio di Tucson.
Casabianca ha affermato: «La nuova documentazione rilasciata dal British Museum fornisce inoltre informazioni sull’elaborazione e l’accettazione dell’articolo del 1989, incluso il processo di revisione interno ed esterno. Per la prima volta spieghiamo il processo di revisione di Nature. La documentazione sostiene l’ipotesi di una crisi di riproducibilità – la difficoltà di replicare molti studi scientifici – in parte basata sulla pressione per pubblicare, confermando la confirmation bias (distorsione di conferma) e il data dredging (“scavare tra i dati”). Questa crisi potrebbe non solo influenzare la nostra attuale conoscenza della Sindone di Torino, ma anche validi protocolli futuri».
Anche Casabianca, dunque, rafforza i dubbi sulla correttezza dei risultati pubblicati su Nature, in quanto è venuto in possesso delle relazioni dei revisori, completi delle date, relativi all’articolo del 1989; queste relazioni evidenziando tempi di valutazione considerevolmente brevi, circa due mesi, per vagliare il valore scientifico di quel lavoro. Un fatto inusuale.
Il prof. Bruno Barberis, matematico dell’Università di Torino, ha ricordato come, a oggi, il processo che ha causato la formazione dell’immagine rimanga ancora non noto e necessiti di ulteriori studi, sia teorici sia sperimentali; quindi l’impronta sindonica deve ancora essere considerata un’immagine sostanzialmente irriproducibile.
Dal pubblico presente al convegno è sorta un’importante domanda: data la macroscopica evidenza di problemi già presenti nel 1988, come mai nessuno si accorse di ciò che stava accadendo? E comunque, oggi che cosa si dovrebbe o potrebbe fare?
Barberis ha risposto che sembra impossibile ricostruire che cosa sia successo nel 1988, sarebbe interessante poter fare un’indagine, però si dovrebbe andare oltre i dati grezzi che sono stati ottenuti da Casabianca.
«Mi stupisce», ha affermato Di Lazzaro, «come l’esperta in statistica del British Museum che ha lavorato sui dati non si sia accorta che c’era qualcosa che non andava». Ma forse c’è una spiegazione plausibile. «Bisogna considerare», ha proseguito Di Lazzaro, «che nel 1988 la tecnica dello spettrometro di massa con acceleratore era la tecnica più nuova, era nella sua infanzia. Ancora si stava imparando come usarla». A questo punto i laboratori avevano due possibilità: o richiedere un altro campione, ammettendo a quel punto che la tecnica non era riuscita nell’intento e affermare l’insuccesso della tecnica stessa, oppure scegliere la strada più semplice, cioè pubblicare i dati sperando che nessuno si accorgesse delle incongruenze. Si può immaginare che cosa sarebbe successo ad ammettere che quella tecnologia non era adatta.
Gli errori degli esami dell’88 potrebbero ripresentarsi
Ormai, però, occorre guardare avanti e Di Lazzaro ha proposto una nuova possibilità. Nonostante l’analisi radiocarbonica oggi, dopo trent’anni, si sia evoluta, pur di preservare l’integrità della Sindone si potrebbe tentare una strada alternativa. Sotto il profilo chimico il contaminante recente, presente nel telo, sarebbe assente in quei fili carbonizzati a causa dell’incendio di Chambéry del 1532, prelevati nel 2002 in diversi punti della reliquia e conservati presso la Curia di Torino. Quindi si potrebbe tentare una datazione di quei reperti per valutarne i risultati, pur non avendo alcuna certezza che forniscano la reale data di origine della Sindone. Sarebbe comunque un confronto interessante che potrebbe anche orientare gli scienziati verso la ricerca di datazioni alternative a quella radiocarbonica.
Le conclusioni del convegno sono state riassunte da Torrisi: «Non abbiamo più dubbi, la forte eterogeneità dei dati conduce ad affermare che la datazione espressa su Nature non sia quella corretta. Lo schema campionario non fornisce una rappresentatività statistica del telo. L’eterogeneità tra le misure fornite dai diversi laboratori dipende dal punto in cui i pezzetti di tessuto sono stati tagliati. I dati grezzi mostrano chiaramente le disomogeneità dei risultati tra i tre laboratori. Svariati test parametrici e non parametrici dimostrano che problemi di omogeneità dei dati permangono sia sui dati del 1988 sia sui dati grezzi. Per poter incrementare e approfondire le conoscenze, sarebbe auspicabile una nuova campagna di studi multidisciplinari, che dovrebbe avere lo scopo di raccogliere il maggior numero di dati, in modo da costituire una mappa completa delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’intera Sindone, da mettere a disposizione degli studiosi, in modo che possano lavorare e confrontarsi su dati certi e attendibili. Una nuova datazione pertanto è necessaria».
Bisogna comunque tenere presente che l’esame di una stoffa è estremamente problematico dal punto di vista della contaminazione, perché un tessuto è interamente esposto all’ambiente in cui si trova. Per un osso o un pezzo di legno si può campionare una parte interna, ma questo non è possibile nel caso di un telo. Dunque, non tutti i reperti sono adatti per la datazione radiocarbonica e la Sindone ha tutte le caratteristiche per essere proprio uno degli oggetti che non forniscono datazioni attendibili con questo metodo. Ma allora, perché rifare una datazione radiocarbonica della Sindone in altri punti della stoffa? Per comprovarlo una volta per sempre. È bastata l’analisi statistica di un campioncino di pochi centimetri a dimostrare che i suoi frammenti non erano omogenei. Che cosa emergerebbe dal confronto di campioni prelevati a più di quattro metri di distanza l’uno dall’altro? Per dedurlo, comunque, se nuovi esami non si faranno, basterà il buonsenso.
Rimane un fatto incontestabile: la Sindone è un reperto unico al mondo, che sfida la scienza per il mistero dell’immagine umana in essa impressa. Un’immagine che commuove per la sua drammatica veridicità16.
1 Matteo Borrini – Luigi Garlaschelli, A BPA Approach to the Shroud of Turin, in «Journal of Forensic Science», vol. 64, issue 1 (January 2019), pp. 137-143, https://onlinelibrary.wiley.com/doi
/full/10.1111/1556-4029.13867.
2 Antonio Di Lascio – Paolo Di Lazzaro – Paola Iacomussi – Mauro Missori – Daniele Murra, Investigating the color of the blood stains on archaeological cloths: the case of the Shroud of Turin, in «Applied Optics», vol. 57, No. 23 (10 August 2018), pp. 6626-6631, https://www.osapublishing.org/ao/abstract.cfm?uri=ao-57-23-6626.
3 Emanuela Marinelli, Tracce di sangue sulla Sindone, in «Studi cattolici», n. 695 (gennaio 2019), pp. 14-17.
4 Alfonso Sanchez Hermosilla – Giovanni Di Minno – Walter Memmolo – Luigi Rodella, Commentary on: Borrini M., Garlaschelli L., A BPA approach to the Shroud of Turin. J Forensic Sci, in «Journal of Forensic Science», vol. 64, issue 1 (January 2019), pp. 325-326, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/1556-4029.13939; Matteo Bevilacqua – Gianmaria Concheri – Stefano Concheri – Giulio Fanti, Commentary on: Borrini M., Garlaschelli L., A BPA approach to the Shroud of Turin. J Forensic Sci, in ivi, pp. 329-332, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/1556-4029.13943.
5 Matteo Borrini – Luigi Garlaschelli, Authors’ Response, in ivi, pp. 327-328, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/1556-4029.13940, pp. 333-335, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/
10.1111/1556-4029.13941.
6 Alfonso Sanchez Hermosilla – Robert A. Rucker, Commentary on: Borrini M., Garlaschelli L., A BPA approach to the Shroud of Turin. J Forensic Sci, in «Journal of Forensic Science», vol. 64, issue 2 (March 2019), pp. 654-655, https://onlinelibrary.wiley.com/
doi/10.1111/1556-4029.13997.
7 John P. Jackson – Keith E. Propp – Kim M. Look – Rebecca S. Jackson, A Crucifixion Experiment to Assess Wrist and Forearm Blood Flows as Observed on the Shroud of Turin, in «Proceedings – American Academy of Forensic Sciences», 2019 AAFS Annual Meeting, Baltimore, Maryland, 18-23 February 2019, vol. 25, p. 573, https://www.aafs.org/wp-content/uploads/CompleteProceedings19PM.pdf.
8 Fabrizio Assandri, «L’uomo della Sindone fu crocifisso». La scienza svela la frattura al braccio, in «La Stampa», 2 gennaio 2019, p. 38.
9 Paul E. Damon et al., Radiocarbon dating of the Shroud of Turin, in «Nature», vol. 337, No. 6208 (February 16, 1989), pp. 611-615, https://www.nature.com/articles/337611a0.
10 Alan D. Adler, Updating Recent Studies on the Shroud of Turin, in «American Chemical Society», Symposium Series No. 625, Chapter 17 (1996), pp. 223-228.
11 Raymond N. Rogers, Studies on the radiocarbon sample from the Shroud of Turin, in «Thermochimica Acta», vol. 425 (2005), pp. 189-194, https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/
S0040603104004745.
12 Tristan Casabianca – Emanuela Marinelli – Giuseppe Pernagallo – Benedetto Torrisi, Radiocarbon Dating of the Turin Shroud: New Evidence from Raw Data, in «Archaeometry», (22 March 2019), https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/arcm.12467.
13 Jane Stannus, Is it time for new tests on the Turin Shroud?, in «Catholic Herald», (2 May 2019), https://catholicherald.co.uk/magazine/new-research-reopens-the-turin-shroud-debate/.
14 https://youtu.be/HoENKH11ltY.
15 Marco Riani – Anthony C. Atkinson – Giulio Fanti – Fabio Crosilla, Regression analysis with partially labelled regressors: carbon dating of the Shroud of Turin, in «Statistics and Computing», vol. 23, issue 4 (July 2013), pp. 551-561, https://doi.org/10.1007/
s11222-012-9329-5.
16 Per approfondire: Emanuela Marinelli – Marco Fasol, Luce dal Sepolcro, Fede&Cultura, Verona 2015; Emanuela Marinelli – Livio Zerbini, La Sindone, storia e misteri, Odoya, Bologna 2017.