Il fumo nel Tempio (Ares 2022, pp. 296, euro 20) è il saggio in cui Eugenio Corti raccolse i suoi puntuali interventi su episodi emblematici accaduti tra il 1970 e il 2000 nella Chiesa. Il testo è stato ripubblicato a vent’anni di distanza nella versione cui l’autore brianteo stava lavorando prima della morte. Pubblichiamo di seguito la prefazione di Cesare Cavalleri alla nuova edizione.

Al tramonto di giovedì 29 giugno 1972, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, alla presenza di una considerevole moltitudine di fedeli provenienti da ogni parte del mondo, il Santo Padre celebra la Messa e l’inizio del suo decimo anno di Pontificato, quale successore di San Pietro. Con il Decano del Sacro Collegio, Signor Cardinale Amleto Giovanni Cicognani, e il Sottodecano Signor Cardinale Luigi Traglia sono trenta Porporati, della Curia, e alcuni Pastori di diocesi, oggi presenti a Roma. Due Signori Cardinali per ciascun Ordine accompagnano processionalmente il Santo Padre all’altare. Al completo il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, con il Sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Giovanni Benelli, e il Segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, arcivescovo Agostino Casaroli.

Con questa solennità la Sala Stampa vaticana ha dato notizia dell’evento offrendo una sintesi dell’omelia tutt’altro che di circostanza pronunciata dal Sommo Pontefice. Paolo VI, infatti, riferendosi alla situazione della Chiesa di oggi,

afferma di avere la sensazione che “da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri.

È venuto il dubbio

È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio. Gli scienziati sono coloro che più pensosamente e più dolorosamente curvano la fronte. E finiscono per insegnare: “Non so, non sappiamo, non possiamo sapere”. La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno.

Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza. Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli.

Ho riportato diffusamente l’ampia e accorata perorazione di Paolo VI per collocare storicamente la motivazione di questo libro di Eugenio Corti (1921-2014) che ha per titolo e reca in esergo «Il fumo nel tempio».

Sono passati esattamente cinquant’anni da quell’evento: cardinali, vescovi e diplomatici citati sono tutti defunti, e Paolo VI è diventato san Paolo VI. Ma la temperie ecclesiale del 1972 non è soltanto consegnata alla storia, bensì proprio in essa troviamo l’origine delle odierne difficoltà ecclesiali e sociali, come spiega questo libro che è la risposta di un uomo di fede non rassegnato a prendere semplicemente atto di tali difficoltà, deciso invece a impegnarsi fino in fondo nella buona battaglia per dare a Dio il posto che gli compete in seno all’umanità.

Da cattolico sincero e serio, Corti decise di sostenere il Pontefice e la Chiesa come meglio poteva, quindi con le armi della cultura. In quegli anni si dedicava a scrivere Il cavallo rosso, il grande romanzo che avrebbe visto la luce nel 1983.

Contemporaneamente si prodigò in un’azione pubblicistica, informativa e culturale espressa in numerosi articoli e saggi.

Anni dopo decise di raccoglierli in volume, riprendendo nel titolo l’espressione eloquente di Paolo VI, “il fumo nel tempio”. L’opera non era, e tantomeno è divenuta nel corso degli anni e delle edizioni, una mera raccolta di scritti sparsi; costituiva piuttosto la rimeditazione in chiave unitaria di quegli articoli e saggi che lo scrittore aveva pubblicato in un ampio arco di tempo e tra i quali scorgeva intima connessione e progressione.

Nelle edizioni successive, fino alla presente, ha sapientemente limato e rafforzato il testo, aggiungendo riflessioni nate nel trascorrere degli anni e dal susseguirsi degli eventi.

La prima apparizione del volume, per le edizioni Ares, è del 1996 (in precedenza, nel 1978, alcuni testi poi qui rifusi erano stati editi dall’editore Solfanelli sotto il titolo L’epoca di Paolo VI). La seconda è del 1997. La terza, che ha preceduto la presente, è del 2001.

La revisione condotta successivamente da Corti, che ha portato al volume qui allestito, è avvenuta in più riprese tra il 2005 e il 2012, minuziosamente determinata nelle note di suo pugno su cui si basa questa edizione, che ha comunque intenti documentali e non filologici. Alcuni capitoli non erano stati mai pubblicati come testi autonomi, né erano comparsi in precedenti edizioni. Appaiono ora per esplicita volontà dell’autore, che ne aveva determinato la redazione e la collocazione nell’indice. È stata una decisione autoriale anche quella di escludere la sezione narrativa (Racconti – anni 1968-1998), presente fino all’edizione del 2001 e poi confluita nel volume Il Medioevo e altri racconti (2008).

Il testo che il lettore ha in mano riproduce lo stato del lavoro al momento in cui Corti, nel 2014, è mancato, consegnato all’editore sotto forma di file digitale con le notazioni di tagli e inserimenti, e di una copia della terza edizione che lo scrittore aveva usato e annotato a mano come raffronto nel corso del lavoro, recante nel frontespizio la scritta «Eugenio Corti – maggio 2005».

Il nucleo del pensiero

Ma qual è il progetto che anima la scrittura di Eugenio Corti? E, soprattutto, come si traduce in un àmbito, come è questo, di militanza culturale?

La persuasione dello scrittore risulta evidente fin dalle prime righe: all’origine dei gravi problemi che si trova ad affrontare la Chiesa c’è l’intrecciarsi di due fenomeni: l’offuscamento della linea verticale che lega l’uomo a Dio e l’abbandono di quella linea orizzontale che definisce la vita cristiana nei suoi esiti sociali, vale a dire la cultura.

Scrive:

In risposta all’“apertura della Chiesa al mondo” ci fu un davvero imprevisto tentativo di cattura della Chiesa da parte del “mondo”. Mi pare che tale insistito tentativo contraddistingua l’intero periodo di Paolo VI, come già il precedente tempo di papa Giovanni, a cominciare dai giorni del Concilio Vaticano Secondo. A rendere possibile quel tentativo è stata la detenzione pressoché egemone da parte del “mondo” dei grandi mezzi della comunicazione sociale, o mass media.

Quando parla del “mondo”, Corti non resta sul generico. Ha in mente il preciso concorso di fattori che secondo lui ha ostacolato e spesso impedito l’attesa fioritura postconciliare. Da una parte, la causa sta nella prescrizione gramsciana, ben premeditata e ancor meglio eseguita dagli intellettuali della sinistra organica al Partito comunista italiano, d’impossessarsi di tutti i centri della creazione e della trasmissione culturale (scuola, magistratura…), per egemonizzarli. Dall’altra c’è il contributo, involontario forse ma di certo influente, di un nugolo di intellettuali cattolici che, credendo di andare incontro al mondo da “illuminati”, se ne sono fatti catturare e hanno svuotato di senso il pensiero cristiano.

Ricorre il nome di Jacques Maritain, dapprima maestro amato e poi cieco che ha guidato altri ciechi. Verso l’ideologia laicista e l’establishment che la incarnava si era instaurata una sudditanza, se non un vero e proprio complesso d’inferiorità, che spingeva gli intellettuali cattolici a fare propri concetti e metodi che di cristiano non avevano nulla.

La responsabilità della politica

Come risultato di queste due azioni concomitanti, la realtà culturale, civile e politica si era trovata priva di riferimenti, abbandonata a sé stessa e alla volontà di chi non aveva alcuna sensibilità cristiana.

Su questo tema specifico Corti si sentirà confortato ancora una volta da Paolo VI, che nel 1977, in una conversazione con l’amico Jean Guitton, torna sul tema del “fumo nel tempio” dando voce a precisi e fondati timori:

All’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia.

Molta responsabilità va alla politica esercitata da cattolici: non per nulla due capitoli sono dedicati alla Democrazia cristiana, il partito che avrebbe dovuto guidarne l’impegno civile.

Dapprima, nel 1975, Corti suggerisce elementi per una rigenerazione di quel partito, e poi, nel 1995/2000/2010, a Dc defunta, fa la conta degli errori che ha commesso (è uno dei saggi più rimaneggiati fino alla presente edizione). Allo stesso tempo saluta l’avvento del Movimento popolare, salvo ricredersi parzialmente e avanzare dubbi circostanziati sul suo modo di procedere.

Corti, come è logico, riserva uno spazio tutto particolare al mondo letterario, giornalistico e culturale, soprattutto per fare notare come l’egemonia laicista sia universale e tetragona.

Non c’è posto per uno scrittore d’ispirazione cattolica nella stampa mainstream, tantomeno nelle tv, statali o private che siano. Le voci dissonanti vengono ignorate, se non soffocate. E dunque chi voglia sostenere la vitalità della cultura cattolica dovrà darsi da fare in quel samizdat di pubblicazioni e di eventi che paiono periferici, ma che raggiungeranno comunque menti e cuori.

Al proposito, ammira e cita più volte Aleksandr Solgenitsin, non soltanto come grande scrittore, ma anche come esempio di un pensiero libero che la dittatura non è riuscita a tacitare.

Corti & la fede

Quanto alla dimensione verticale, si resta impressionati e commossi nel cogliere la sincerità cristiana della sua fede e della sua speranza. Il suo animo e la sua mente non cessano mai di aggrapparsi alla Provvidenza: per quanto disordine regni nel mondo, il credente sa che Dio è amorosamente in azione. Corti è certo che il Papa, pure in questo momento di angoscia, è assistito dallo Spirito e quindi certamente dirà e farà ciò che è giusto:

Io credo che la Provvidenza si sia servita di lui [Paolo VI] per mettere in moto uno svecchiamento radicale della Chiesa, cosa di cui già Pio XII aveva individuata e indicata la necessità. Dopo un innegabile, e diciamolo pure colossale sbandamento, e i gravi pericoli corsi, alla lunga la Chiesa non potrà che trarre giovamento dai suoi impulsi.

A suo tempo aggiungerà, nell’ottica ben diversa dischiusa dal pontificato di Giovanni Paolo II e dalla caduta del Muro di Berlino:

Visti gli accadimenti successivi, ho finito col convincermi che a impedire una solenne condanna del comunismo da parte del Concilio Vaticano II (da cui sarebbero derivate grandi resistenze e un gigantesco sprigionamento di anticorpi all’interno di tutto il mondo comunista e procomunista) sia stato, nientemeno, Dio stesso. Il quale, preso atto che l’umanità non era ormai più in grado di risolvere da sola il mortale problema del comunismo, ne ha avocata a sé la soluzione.

Insomma, chi legge queste pagine trova Eugenio Corti e tutta la sua fede, la sua dirittura cristiana, la sua sagacia, la sua convinzione che il mondo si può cambiare.

Il lettore giovane non si spaventi per la sfilza di nomi e di fatti di cui non può avere memoria (e meno male, in molti casi), perché l’intelaiatura del pensiero cortiano è solida e regge nel tempo, e per giunta egli stesso aveva provveduto a chiarire dove lo riteneva indispensabile.