Il 22 novembre del 1963 il mondo intero venne sconvolto dalla notizia che il Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy era stato assassinato a Dallas. L’uomo che aveva rappresentato una speranza per un tempo di prosperità e di pace al di là del suo stesso Paese, era stato brutalmente ucciso.
Molto lontano da Dallas, a Oxford, in Inghilterra, era improvvisamente deceduto anche un grande intellettuale, un uomo che aveva dato di che pensare con i suoi scritti letterari e filosofici, ma che allo stesso tempo aveva divertito, commosso e fatto sognare milioni di giovani lettori con le sue narrazioni fantasy: Clive Staples Lewis. Le notizie relative alla tragedia oscurarono totalmente la scomparsa di questo grande studioso e scrittore, che certamente non se ne sarà offeso.
Un cuore irlandese e britannico
Lewis fu uno dei più singolari intellettuali dell’Inghilterra del suo tempo, un uomo affascinante e contraddittorio: non era un professionista dei racconti per bambini, né ebbe mai figli a cui narrare fiabe alla sera, ma realizzò con Narnia un autentico classico; visse gran parte della sua vita in Inghilterra, diventando uno dei massimi protagonisti della vita culturale del Paese, anche se era irlandese. La sua identità nazionale, tuttavia, era ancora più controversa: era nato a Belfast, nel nord dell’Irlanda, discendente di quei britannici che avevano fatto parte del piano di colonizzazione attuato dall’Inghilterra dopo la conquista militare dell’Irlanda. Sudditi fedeli di Londra, avamposto dell’Impero, fieri protestanti, visceralmente anti-cattolici. Lewis, tuttavia, aveva abbandonato in gioventù la religione dei padri, era transitato nei territori aspri dell’ateismo e infine era approdato al Cristianesimo, restando a lungo incerto su quale denominazione di esso (incluso il cattolicesimo) abbracciare, optando infine, ma non senza precisazioni e distinguo, per l’anglicanesimo. Scrisse opere storiche e libri in difesa del Cristianesimo in un mondo che vedeva scivolare inesorabilmente verso l’indifferentismo religioso, ma scrisse anche opere di fantascienza, e romanzi ricchi della presenza di riferimenti simbolici e mitici.
Fantasy e spiritualità
Potrebbe sembrare strano che un professore di Oxford, docente ed esperto di letteratura inglese medioevale e rinascimentale, sia conosciuto soprattutto per la sua produzione fantastica. In realtà la biografia di C. S. Lewis ci rivela un percorso in cui il fantastico occupa uno spazio importante, e soprattutto si manifesta saldamente connesso con tutto l’itinerario spirituale dello scrittore. Lewis non è solo il brillante autore de Le Cronache di Narnia, lo scrittore moralista di successo, esperto nell’uso del registro ironico con cui dava forza ai contenuti della sua rilettura di un pensiero cristiano radicato nell’esperienza dell’uomo contemporaneo (come nelle arcinote Lettere di Berlicche).
Lewis è stato anche un insigne studioso di filologia e letteratura inglese, professore nelle prestigiose università di Oxford e Cambridge, esponente di punta del gruppo degli Inklings, a fianco di Tolkien e Charles Williams. Nei suoi scritti più strettamente accademici, uno degli obiettivi fondamentali è la messa a fuoco dell’universo culturale che ha inquadrato la vita dell’uomo europeo fino alla nascita del mondo pienamente moderno. L’orizzonte intellettuale che lo ha abbracciato è quello che si è riflesso nella tradizione enciclopedica di un sapere ridotto a una unità facilmente accessibile dall’uomo antico e medievale. La scienza elementare di cui era intriso ricombinava in sé la filosofia degli antichi intrecciandola con i dati del patrimonio biblico e teologico.
Dall’insegnamento delle scuole alla predicazione disseminata dai pulpiti delle chiese, la mentalità collettiva di dotti e uomini semplici si lasciava imbrigliare in una cornice che riaffiorava come sostrato di base nel cuore dei monumenti della scrittura letteraria più alta, così come nelle visioni immaginifiche dei poeti e degli artisti di ogni tempo. Dal ciceroniano Sogno di Scipione al Paradiso di Dante, dai compilatori delle Summae della rinascita gotica al Milton del seicentesco Paradiso perduto, si disegna, agli occhi di Lewis, una continuità di fondo in cui egli si sente chiamato a calarsi, mosso da un desiderio di immedesimazione, spinto dalla logica della simpatia e dal credito più totale concesso alla diversità del passato con cui ci mettiamo a paragone ricostruendone la storia.
Uomo del nostro tempo
Con tutte le sue nostalgie per un medioevo perduto, e le sue tirate anti-moderniste, C.S. Lewis può essere dunque considerato a pieno titolo come un uomo moderno, e dunque molto più simile a noi di quanto si potrebbe pensare – figli e figlie di una società ancora intellettualmente tracotante ma in realtà confusa e ferita, se non disperata. Forse le grandi battaglie di Lewis contro gli errori della modernità, e anche le sue personali sconfitte sul piano morale, spirituale ed estetico, si comprendono bene nell’ottica di una guerra civile all’interno del proprio animo. Lewis fu un uomo non privo di contraddizioni, ma anche attraverso esse, se non addirittura grazie a esse, fu senza dubbio un “grande uomo”, come scrisse Tolkien dopo la sua morte – per lui dolorosissima. Un uomo di una «grande generosità e capacità di amicizia», «energetico e gioviale», «in guardia contro tutti i pregiudizi», con una «suprema maturità intellettuale e fantastica, accompagnata da energia morale», come disse un altro amico, Owen Barfield.
L’importanza dell’incontro
Tra tutte le grandi doti di Lewis, forse quella più importante fu però proprio la capacità di costruire e sviluppare rapporti con una fitta rete di persone, spesso diversissime da lui e tra loro – persone lontane, nello spazio o nel tempo ma anche persone vicine, per geografia e sensibilità, tra cui soprattutto i membri del circolo degli Inklings, che aveva in Lewis il suo baricentro e che furono profondamente influenzati dal suo entusiasmo, tra cui soprattutto Tolkien, che non sarebbe mai riuscito a completare il Signore degli Anelli senza l’incoraggiamento appassionato di Lewis. Nonostante la sua militanza apologetica, e una propensione alla narrazione dei pochi contro i molti, Lewis fu in realtà un uomo capace di travalicare qualunque recinto ideologico: aveva compreso che fra i cristiani, e in fondo ciò vale per tutti gli esseri umani, sono molte di più le cose in comune che quelle che ci dividono. Occorreva aumentare le relazioni, le occasioni di incontro, sentire l’incontro con chi è diverso come un arricchimento.
Da questa umanità appassionata e aperta, da questa fede generosa, e soprattutto da queste storie di amicizie, nasce una ricca opera letteraria, di tipo saggistico, come L’Abolizione dell’uomo (1943) o Il diario di un dolore (1961) ma soprattutto narrative, tra cui i The Pilgrim’s Regress (1933), La trilogia dello spazio (1938-1945), Le Lettere di Berlicche (1942), Il grande divorzio (1945), le Cronache di Narnia (1950-1955) e il vero grande capolavoro A viso scoperto (1956).
Molti di questi libri hanno un contenuto polemico o apologetico, esplicito o allegorico, ma la loro forza non consiste in questo. Il contributo di Lewis, e soprattutto della sua letteratura, non è stato infatti quello di «sfrondare le giungle» ma semmai di «irrigare i deserti», come disse lui stesso.