Nell’Isola di Capri ci sono oltre settanta di grotte, fra terrestri e marine. Tra quelle marine c’è la Grotta Azzurra, che tutto il mondo conosce e ammira, simbolo riconoscibile dell’isola insieme ai Faraglioni.
C’è però anche una grotta che viaggiatori del Cinquecento, del Seicento, del Settecento hanno visitato, ammirato, talvolta descritto, e che poi agli inizi dell’Ottocento, alquanto misteriosamente, è scomparsa: è la Grotta Oscura.
Molti hanno scritto delle grotte
Sulle grotte marine capresi, tranne che per la Grotta Oscura, la Grotta Azzurra e qualche altra, nulla era stato scritto fino a quando, quasi contemporaneamente, non suscitarono l’interesse del geologo e vulcanologo svizzero Immanuel Friedlaender e dell’austriaco Georg Kyrle, ritenuto uno dei massimi studiosi di speleologia.
Il primo, dopo personali ricognizioni, dedicò alle grotte e alle caverne capresi un lungo capitolo della sua Capri. Conclusa del 1936, l’opera fu pubblicata a Roma nello stesso anno nella traduzione dell’ingegnere caprese Angelo de Angelis.
Scritta dopo minuziose esplorazioni, ricerche e studi compiuti nel 1931, l’opera di Georg Kyrle, contenente descrizioni, piantine e fotografie in bianco e nero dell’autore, restò inedita anche dopo la sua morte, avvenuta a Vienna nel 1937, e fino a quando non fu pubblicata, tra il 1947 e il 1948, in tre numeri successivi della rivista “Universo” dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, in un limitato numero di copie.
L’opera, intitolata Le grotte dell’Isola di Capri, in un unico volume, è stata ripubblicata nel 1998, come supplemento a “Universo”, a cura di Ernesto Mazzetti, con indici e nuove fotografie a colori scattate dalle stesse angolazioni di quelle precedenti.
Le caratteristiche
Le grotte marine sono situate, qui e là, lungo l’intero perimetro della costa caprese. Attraggono le loro denominazioni che sembrano dovute agli abitanti. Alcune rivelano il loro vivere, almeno dal Cinquecento, in una visione di vita cattolicamente ispirata: Grotta di Santa Maria, Grotta di San Michele, Grotta dell’Arco di Betlemme, Grotta dei Santi, Grotta dei Preti, Grotta della Certosa, Grotta di Fra Felice.
Altre, anche se attentamente esplorate, continuano a conservare un certo mistero come la Grotta dell’Arsenale, situata a quattro metri sul mare, larga diciannove metri e lunga fino a trentasette. Scavi effettuati all’inizio del Novecento hanno ipotizzato che possa essere stata in tempo romano un luogo di culto o un ninfeo. Il suo nome induce a pensare che, almeno in un tempo successivo, possa essere stata luogo di costruzione di barche, o almeno di deposito di piccole imbarcazioni.
Particolare è la grande grotta che si trova nella costa orientale e che negli ultimi decenni è stata sempre più visitata ed ammirata. È formata da due piani. Il primo è la Grotta Bianca, il secondo la Grotta Meravigliosa. Questa inizia a ventitré metri dal mare ed è caratterizzata da grandi stalattiti e stalagmiti.
La scoperta della Grotta Azzurra
La Grotta Azzurra è situata invece lungo la costa nord occidentale. E se le immagini sono conosciute in tutto il mondo, meno conosciuta e talvolta imprecisa è la storia della sua scoperta (o, se si vuole, della sua riscoperta).
Nell’agosto del 1826, due giovani artisti tedeschi, August Kopisch, poeta, ed Ernst Fries, pittore, presero alloggio presso la locanda che aveva aperto il notaio Giuseppe Pagano.
Conversando con i due giovani ospiti, il notaio rivelò loro che era stato sempre suo desiderio esplorare la grotta sottostante la Torre Damecuta, costruita dove l’imperatore Tiberio aveva la sua villa estiva. Ma non aveva potuto mai soddisfare questo desiderio, non avendo trovato compagni, giacché era convinzione, da quasi tutti condivisa, che la grotta fosse covo di diavoli o di pescecani. È quello che riteneva anche il fratello del notaio Giovanni, che era canonico.
I due giovani artisti, nonostante gli avvertimenti del canonico, si dichiararono disponibili ad aiutare il notaio a realizzare il suo progetto.
Una tinozza ripiena di pece
Nella mattinata del 17 agosto, sulla barca di Angelo Ferraro, che ne trainava una più piccola con due tinozze, una delle quali contenente pece, partirono da Marina Grande per la Grotta, il notaio, Kopisch e Fries, il dodicenne Michele, figlio del notaio, e l’asinaio Michele Federico, che li aveva condotti da Capri a Marina Grande.
Giunti davanti all’ingresso della grotta, il marinaio Angelo Ferraro mise in mare le due tinozze, entrò in una di esse dopo aver acceso la pece dell’altra, e si avviò verso l’ingresso, che oltrepassò seguito a nuoto da August Kopisch. Restarono sbalorditi per il colore dell’acqua. August Kopisch richiamò gli altri due che, dopo essere entrati, erano ritornati fuori.
Poi entrarono il giovanissimo Michele e l’asinaio. E poi, richiamato dalle voci e dalle grida entusiaste, e dopo aver appreso dal notaio quel che era avvenuto, il proprietario del terreno soprastante la grotta, il quale disse che tutto era suo.
A sera, nel “Libro dei forestieri” della Locanda, August Kopisch, su invito del notaio, scrisse una breve relazione di quello che era avvenuto al mattino e, respingendo la proposta del notaio, che voleva chiamare col suo nome la grotta, la denominò Grotta Azzurra. Ne parlò più a lungo in una lettera alla madre. E, nel 1838, quando molti ormai già visitavano la grotta, scrisse la lunga relazione denominata La scoperta della Grotta Azzurra, pubblicata in “Annuario Italia” di Berlino in quello stesso anno, e poi ripetutamente ristampata e tradotta.
La Grotta Oscura
Tutto quello che è stato tramandato sulla Grotta Oscura, situata nella zona meridionale, è riportato da Augusto Vitale nel capitolo Bibliografia e Iconografia, che conclude il volumetto, pubblicato nel 2008, intitolato Il mistero della Grotta Oscura, che contiene l’omonimo racconto immaginario. Il primo a scrivere della Grotta Oscura fu, nel 1570, Fabio Giordano.
Giordano nota quanto sia difficile l’accesso poichè a stento vi passa una barca di pescatore. Ma poi a chi vi entra si spalanca «un antro stupendo a pianta pressocché circolare, con una circonferenza di duecento metri, e impenetrabile alla luce».
Nel 1607 Giulio Cesare Capaccio scrisse che la grotta era oscura all’ingresso, ma poi «si slarga in un terso bacino dove il mare è reso oltremodo gradevole dallo stillicidio della volta».
Lo stesso ripeté George Sandys nella sua relazione del 1615, mentre Jean Jacques Bouchard nella sua del 1632 specificò che «entrandovi, si sta un po’ di tempo senza veder nulla, poi a poco a poco si comincia a vedere il mare, che si precipita lì dentro, e diverse infiltrazioni d’acqua che gocciolano dall’alto». Entrambi rivelano che non hanno potuto vedere la Grotta.
La relazione di Giannettario
Una dettagliata relazione è invece quella che, nel 1698, Nicola Partenio Giannettario scrisse dopo essere partito da Sorrento e aver visitato la Grotta insieme con un cardinale, del quale non riporta il nome.
Nella Grotta si entra attraverso «un varco stretto e basso che si dilata poi circolarmente». Se non ci fossero «qui speroni di roccia sporgenti, là piccole cale rientranti, la Grotta darebbe l’immagine di un perfetto cerchio». La volta è frastagliata e velata da massi aguzzi «accatastati gli uni agli altri». E ancora: «La roccia trasuda continuamente stille, le quali progressivamente solidificandosi adornano e colorano la volta come un vario tessuto, che per la sua trama sontuosa, fin dall’ingresso, si impone con più evidenza all’attenzione». La luce riflessa dal mare vi compone molteplici arcobaleni.
È una grotta che lascia stupefatti per la «mirifica sagacia impiegata dalla natura nel produrla di così eccezionale bellezza».
Minuziosa è anche la descrizione di Joseph Addison inclusa in Remarx of Several Parts of Italy in the Years 1701, 1702, 1703. In questa, tra l’altro, «il soffitto è arrotondato, distilla da ogni parte acqua fresca (…) fitta come le prime gocce di un temporale».
Dopo queste descrizioni, inquietante sorpresa e dubbi suscita il leggere nella Lettera XX di Ragguagli dell’austriaco Norberto Hadrawa, pubblicata a Napoli nel 1793, che la Grotta Oscura, nella quale si entra «con un piccolo battello per li gran massi che caduti dall’alto ha perduto la sua vera essenza. Vi si vedono avanzi di fabbriche al di dentro, e pare che fosse stato un edificio riguardevole».
La nota di Hadrawa induce a ritenere che forse, nel corso del Settecento, all’interno della Grotta, ci sia stata una grossa frana.
La scomparsa
Dopo che nel 1553 la Certosa di San Giacomo, costruita tra il 1364 e il 1374 in un solitario pianoro di campi e boschetti, fu assaltata dal corsaro Dragut che, tra l’altro, bruciò l’intero archivio, i certosini decisero di costruire una “robustissima” torre di guardia, come altre che esistevano nell’Isola, ma che fosse anche di difesa, perché dotata di armi da fuoco.
Alta una ventina di metri, era situata a poca distanza dal complesso della Certosa, in solida muratura, sull’altura del roccione alla cui base c’era l’ingresso della Grotta Oscura.
Il 15 maggio 1808, mentre alcuni militari inglesi, che avevano sottratto l’Isola ai francesi due anni prima, erano al lavoro alla fortificazione, nei pressi della Torre della Certosa, una gigantesca frana si staccò dal costone, trascinando l’intera torre e gli adiacenti corpi di fabbrica, nascondendo per sempre l’ingresso alla Grotta Oscura.
Quel che resta
Ora della Grotta Oscura sono rimaste le descrizioni citate, ma nessun rilievo e nessuna immagine, a meno che non si voglia attribuire alla Grotta quella riportata in una acquatinta, datata 1792, che potrebbe essere attribuita a Karl Philippe Hackert. Come scrive Augusto Vitale:
[l’immagine] mostra l’interno di un’ampia grotta, illuminata da numerose torce, e da un fuoco acceso in un angolo da alcuni marinai, in occasione della visita di un folto gruppo di personaggi maschili e femminili, tutti abbigliati secondo le eleganti mode settecentesche.
È, forse, l’unica immagine di un capolavoro della natura, che la stessa natura (forse anche per la sconsideratezza umana) ha fatto scomparire per sempre.