La Metropolitan Ervin Szabó Library a Budapest

Ho da poco letto un libro. “Letto” non è proprio il verbo giusto. L’ho sfogliato, mi sono soffermata su alcune pagine in particolare, sono stata catturata da alcune parole, alcuni significati. È un dizionario. Non uno qualsiasi, ma un piccolo tascabile ricoperto da astri dorati. Uno di quei libri necessari ma non quotidiani, da “caffè” (1) ma comunque imprescindibili. Uno di quelli che sfogli e consulti quando sei assillata dai dubbi e dalle domande, o non riesci a comunicare un certo tipo di emozione.

È il Dizionario delle tristezze senza nome di John Koenig (Mondadori 2023), un progetto linguistico che consiste nel creare apposite parole per descrivere specifiche sensazioni di cui non si riesce a dare spiegazione perché manca proprio la parola in questione. Come la saudade portoghese o la hygge danese, che le si capisce solo così, dicendole. Potrei stare qui a spiegare nel dettaglio il processo di costruzione che ha adottato l’autore. In questa sede, voglio esporvi un lemma che mi ha portato alla memoria un ambiente preciso.

La macchina del tempo

Vellichor: s. La strana malinconia delle librerie che vendono libri usati e che sono in qualche modo pervase dal trascorrere del tempo: piene di migliaia di vecchi libri che non avrai mai il tempo di leggere, ognuno dei quali è confinato nella propria epoca, rilegato, antiquato e foderato come una vecchia stanza che l’autore ha abbandonato anni prima, un annesso nascosto e disseminato di pensieri lasciati così com’erano il giorno in cui sono stati catturati.
Da vellum, pergamena, + ichor, icore, il fluido che, secondo la mitologia dell’antica Grecia, scorre nelle vene degli dèi. (2)

Spero che l’autore mi perdoni per l’uso di vellichor che ne farò io: non solo librerie, ma anche e – forse – soprattutto, biblioteche, perché la descrizione che porta con sé questo neologismo “latinense” mi ricorda due luoghi in particolare: la Österreichische Nationalbibliothek (Biblioteca Nazionale di Vienna) e la Metropolitan Ervin Szabó Library a Budapest.

La tappa del mese di “Case lontano da casa” è proprio quest’ultima. Saloni aristocratici dalle pareti bianche e finimenti oro, soffitti altissimi e arcate maestose, scintillanti lampadari a goccia, scale a chiocciola, orologi antiquati dalle eleganti lancette, scaffali in legnomassiccio con tomi di un’altra epoca, poltrone imbottite. Appena entrati nella Metropolitan Ervin Szabó Library si è catapultati nella biblioteca della Bella e la Bestia o ancora nelle sale da ballo ottocentesche delle regge europee, come Versailles a Parigi o Schönbrunn a Vienna. E non a caso. La Biblioteca è la più grande della capitale ungherese con i suoi 13 mila metri quadrati e più di un milione di volumi ospitati in varie sedi.

Una storia molto antica

Tra tutte, la sede centrale è una vera perla nascosta, sconosciuta alla maggior parte dei turisti che preferiscono passare la loro giornata alle terme St. Gellért o in una pasticceria del centro per gustare un dolcissimo kurtoskalacs (3). Con un’altezza di otto piani di cui si ha solo una vaga percezione nell’atrio vertiginoso, il nucleo della Metropolitan Ervin Szabó Library è situato in un palazzo neobarocco del XIX secolo, che un tempo fu la residenza della famiglia Wenckheim. Costruito nel 1889 per il conte Frigyes Wenckheim, un ricco proprietario terriero e membro del Parlamento, e sua moglie Krisztina Wenckheim, il palazzo aveva innumerevoli stanze elaborate, tra cui un’enorme sala da ballo di cui rimangono gli specchi a parete.

La famiglia Wenckheim era famosa per le sue sontuose feste e le sue iniziative di beneficenza, e anche l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe (mi piacerebbe sapere se c’è un’ispirazione comune per gli arredi della Metropolitan Library e della Nationalbibliothek viennese!) partecipò a una di esse. Dopo la morte del conte Wenckheim, che non aveva eredi, il palazzo fu venduto alla città nel 1927 e trasformato nella sede principale della biblioteca; essa era già operativa dal 1904 e diretta dal 1910 da Ervin Szabó, un noto sociologo e bibliotecario ungherese a cui venne in seguito intestata. Oggi la Biblioteca si ramifica in ben 48 sedi sparse in tutta la capitale. Due curiosità: tra queste filiali ve ne è una intitolata al celebre autore ungherese Sándor Márai, e un’altra è destinata interamente ai libri per bambini e ragazzi (Children’s Library of Terézváros), nonostante sia già presente un intero piano dedicato loro al palazzo Wenckheim.

Per i lettori di tutti i tipi

A contribuire all’atmosfera fiabesca della sala da ballo riconvertita, c’è un’altra location che cattura gli esploratori e i visitatori che non si accontentano dei consigli delle guide turistiche. In un gioco di “apri e chiudi” di porte antipanico sugli otto piani della sede principale, si può “rischiare” di essere teletrasportati in una dimensione magica. Il primo piano della Metropolitan Library potrebbe essere d’ispirazione a narratori e ideatori di videogiochi.

In un’area che si estende su 600 metri quadrati, sono riposti 22 mila titoli fra racconti d’avventura, narrativa per ragazzi, libri illustrati e materiale didattico, principalmente in ungherese ma anche in lingua inglese, tedesca e francese. L’arredo è la trasposizione scenografica delle più affascinanti fantasie fanciullesche: un arcobaleno si apre al di sopra di globi bianchi da cui sbucano fiori e farfalle (forse un rimando al Piccolo principe?); sul parquet a listelli, pouf blu e verdi invitano tutti – nessuna età esclusa – a sentirsi come a casa; partecipano all’incanto le installazioni che ricordano pagode cinesi e il Játékkuckó, l’“angolo dei giocattoli”, con una grande varietà di giochi in scatola. Rende l’atmosfera ancora più suggestiva un enorme drago nascosto nella corte interna del palazzo (denominata sárkányos udvar, “corte del drago”) che si può osservare al meglio da una comoda poltrona verde a fiorellini rossi su cui mi immagino seduto un nonno dalla barba bianca che racconta storie di magici animali e regni sperduti a uno stuolo di bambini disposti a semicerchio intorno a lui, con occhi pieni di meraviglia.

Non solo una biblioteca

I piani rimanenti sono più funzionali e per questo destinati allo studio e alla lettura in solitaria (impresa praticamente impossibile al quarto piano, preso d’assalto dai lettori-turisti). Vi sono aree dedicate alle scienze sociali, di cui fu grande promotore Szabó, alla filosofia e alla musica (un’intera collezione si trova all’ottavo e ultimo piano). La Metropolitan Library di Budapest è un vero paradiso per i bibliofili, disposti anche a pagare un ticket per poterla visitare. È una vera sfida trovare il piano più àmbito per la sua magnificenza, in questo labirinto neobarocco: potreste dover salire e scendere diverse scale, entrare e uscire dai grandi ascensori più volte: ma non arrendetevi. Ne vale la pena.

Tutto ciò che resta da fare è scegliere un bel libro antico, affondare in una soffice poltrona circondata dalla luce soffusa dei lampadari, e rilassarsi come un aristocratico ungherese del XIX secolo, sentendosi a casa.

Alessia Soldati

 

1 – In riferimento ai cosiddetti coffee table books, “libri d’arredo”.
2 – John Koenig, Dizionario delle tristezze senza nome, Mondadori, Milano 2023, p. 239.
3 – Conosciuti come chimney cakes, “camini dolci” (forma che si associa alle ciminiere ungheresi), i kurtoskalacs sono dolci a forma di cannolo cosparsi di zucchero e cannella, da accompagnare con una cioccolata calda.

 

Per approfondire, un libro e due luoghi da visitare:

Le braci, Sándor Márai
Bastione dei pescatori
Castello Vajdahunyad