«Ecco che cosa siete tutti quanti. […] Siete una generazione perduta»1.
È a Gertrude Stein che Hemingway fa pronunciare la celebre definizione evocata dal titolo della pièce che proprio da Festa mobile, testamento spirituale, seppur incompiuto, del portavoce di quella generazione, trae ispirazione.
La genesi di Festa mobile potrebbe essere l’incipit di un romanzo: era il 1956 quando Hemingway fu chiamato dalla direzione del Ritz di Parigi a ritirare due bauli da marinaio che aveva depositato presso l’hotel quasi vent’anni prima. Al loro interno, tra i frammenti di una vita ormai lontana, riesumò anche qualche pagina ingiallita a cui aveva consegnato il sé stesso di quei primi anni parigini. Voci dal passato che sembravano rispondere al bisogno di rievocare il periodo trascorso dall’autore, allora giovane scrittore esordiente, tra i sogni e i miraggi dell’effervescente vita culturale della Parigi degli anni Venti. E proprio quando iniziarono a manifestarsi, sempre più opprimenti e obnubilanti, le crisi depressive e ossessive, le quali, insieme ai trattamenti di elettroshock che avrebbero dovuto arginarle, minarono proprio quella memoria che stava cercando di affidare alla carta.
«[…] questo libro contiene materiale dalle remises della mia memoria e del mio cuore. Anche se la prima è stata manomessa e il secondo non esiste»2.
Il libro in questione è appunto Festa mobile, così intitolato solo nel 1964, quando venne pubblicato postumo, ma a cui l’autore si era sempre riferito come The Paris Sketches: non istantanee dunque ma bozzetti, rielaborazioni di scene e personaggi filtrati dalle lenti del narratore.
I fantasmi di Parigi
Ed è così, come quadri viventi incastonati nella cornice del palcoscenico, che i protagonisti di Sogni perduti fanno la loro apparizione di fronte agli occhi degli spettatori e dell’Hemingway del futuro – o del presente, a seconda del punto di vista. Seduto davanti a una macchina da scrivere al limitare del palco, quasi a incresparne la quarta parete, dà loro nuova vita. O piuttosto lascia che siano loro stessi a dare vita alla sua scrittura.
Come spiriti della Parigi passata, vengono a visitare un Hem ormai segnato dal tempo e dalla malattia i suoi ricordi di scrittore e di uomo: la primavera del matrimonio con Hadley, che riusciva a colorare una vita ingrigita dalla povertà; la passione travolgente per Pauline, che diventerà la seconda moglie, con i suoi strascichi di felicità e rimorsi; l’amicizia con il mentore Ezra Pound, il quale lascia già intravvedere in trasparenza l’ombra di un futuro, per il vecchio Hem ormai passato, tra le sbarre della “gabbia del gorilla”; il difficile confronto con James Joyce e il suo ciclopico Ulisse fresco di stampa; la rivalità con l’amico Francis Scott Fitzgerald, riflesso di quel pericoloso intreccio di genialità e fragilità che serpeggia nella loro generazione artistica; e soprattutto il suo sé di allora, traboccante di hybris, non ancora disilluso nella sua lotta infinita oltre ogni limite, contro il limite, la Morte.
I due assi attorno a cui ruota questo microcosmo sono il laboratorio letterario della Shakespeare & Co. di Sylvia Beach e il salotto culturale di Gertrude Stein e Alice Toklas. Grandi figure femminili che con lungimiranza hanno saputo intuire il talento di artisti oggi universalmente celebrati e diventarne le mecenati. Sono affiancate in questo vivido affresco da altre donne controcorrente, come Kiki de Montparnasse, e donne che, seppur all’ombra della leggenda dei mariti, hanno svolto un ruolo fondamentale nelle loro vite, come Zelda Fitzgerald e Nora Joyce. Non solo muse, ma anche menti creative e generative, di amore e cura quando non hanno potuto esserlo di opere d’arte nel senso più letterale del termine, rendendo la loro stessa vita una storia altrettanto degna di essere raccontata.
Tante storie, una storia
Ognuna di queste storie è tratta non solo da Festa mobile, ma da una pluralità di fonti, da quelle redatte dagli stessi protagonisti della pièce a opere biografiche contemporanee, tra cui le conversazioni con la figlia di Pound Mary De Rachewiltz di Alessandro Rivali, Ho cercato di scrivere Paradiso (Mondadori 2018).
Un crocevia di storie, cantieri letterari ed esperienze umane rivisitato e sublimato dal teatro, che dietro al sipario dell’interpretazione artistica rivela uno specchio dell’umanità: ed ecco che queste menti geniali, proprio sotto le luci dei riflettori, scendono dal piedistallo della gloria letteraria per riscoprirsi, in fondo, donne e uomini.
Il nucleo drammaturgico sono infatti i conflitti esistenziali che fin dall’alba dei tempi animano l’uomo: amore e morte, giovinezza e vecchiaia, guerra e creazione, arte e vita, verità e finzione. Temi universali che donano profondità alle vicende narrate, le quali non sono un mero susseguirsi di fotografie, ma una galleria di specchi che trascende la parete stessa del tempo per arrivare fino a noi, una vera festa mobile.
«Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dovunque tu possa poi andare per il resto della tua vita, Parigi te la porterai sempre con te, perché è davvero una festa mobile»3. Parigi non è solo un nido, ma una musa, una fonte inesauribile di ispirazione che accompagnerà sempre e ovunque chi l’ha vissuta, come le feste mobili, che non cadono mai lo stesso giorno, ma ci aspettano rassicuranti ogni anno. Personificata e tramutata in personaggio, la vediamo camminare tra il palco e la platea e cantare il suo canto di sirena, scandendo il ritmo di questa giostra itinerante.
Un’altra festa mobile, in cui episodi e personaggi si avvicendano in scena in un carosello scintillante e malinconico, che travolge lo spettatore e lo stesso Hem, il quale non si limita a veder sfilare ricordi e fantasmi, ma ne viene interpellato e provocato, e, a sua volta, prova a sfidarli.
Drammaturgo o marionetta, creatore o creatura, l’Hem del futuro sembra in balìa di personaggi che vorrebbe riplasmare a immagine e somiglianza del passato, ma che osano rivendicare un proprio libero arbitrio: lo vediamo urlare il suo disincanto contro un sé di trent’anni più giovane, nel disperato tentativo di cambiare ciò che è stato, e ciò che sarà, una domenica mattina di luglio squarciata da un colpo di fucile. Ma potrà mai ascoltarlo, lui che forse è solo uno spettro del passato, o peggio un riflesso del presente?
Nella costellazione di citazioni, sia letterarie sia visive – come Le Violon d’Ingres, l’iconica fotografia di Man Ray che ritrae Kiki de Montparnasse –, che prendono vita durante lo spettacolo, abbaglia particolarmente lo spettatore l’explicit de Il Grande Gatsby: «Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato»4. Ma forse è proprio nella scrittura, nel teatro, nell’arte, che possiamo ritrovare la nostra festa mobile, e continuare a sognare che, ridando vita al passato, cambieremo il futuro.
1 E. Hemingway, Festa mobile. Edizione restaurata, cur. di Seán Hemingway, trad. it. Luigi Lunari, Mondadori, Milano 2011 e 2018 (I ed. Oscar Moderni), p. 41.
2 E. Hemingway, Nada y pues Nada in E. Hemingway, op. cit., p. 181.
3 P. Hemingway, Premessa a E. Hemingway, op. cit., p. VI.
4 F.S. Fitzgerald, Il Grande Gatsby, trad. it. di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino 2011, p. 162.