Tra i vari centenari della nostra letteratura che ricorrono quest’anno, vi è anche quello della nascita di Luciano Erba. Per l’occasione, il giorno 21 settembre si è tenuta presso l’Università Cattolica di Milano una giornata di studi in suo onore (La biblioteca di Luciano Erba. Letture e commenti per celebrare la donazione dei volumi francesi alla Biblioteca d’Ateneo), dedicata alla sua biblioteca e organizzata, nella fattispecie, per festeggiare la recente donazione da parte degli Eredi dei volumi di letteratura francese appartenuti dell’autore, traccia preziosa del suo impegno di traduttore, agli Archivi culturali della Biblioteca universitaria.
Nato nel 1922 a Milano, dove trascorse la maggior parte della vita (con poche parentesi di soggiorno all’estero, per lo più in Svizzera, Francia e Stati Uniti), Luciano Erba «legò il suo nome alla misura militante e polemica della antologia Quarta generazione (Varese, Magenta, 1954), curata con Piero Chiara e destinata ad affermarsi come una delle fonti critiche per l’individuazione dei valori emergenti nella poesia italiana dell’immediato dopoguerra».
Non solo poeta, ma anche traduttore, dal 1950 al 1997 fu docente di Letteratura francese e di Letteratura comparata presso l’Università Cattolica di Milano, offrendo importanti contributi sul Seicento, su Cyrano e su Huysmans.
La produzione poetica di Erba occupa un arco temporale di oltre settant’anni. Seppure temporalmente estesa, essa, come scrive Pierantonio Frare, fa di lui «uno dei poeti meno prolifici del secondo Novecento»; vanno in effetti tenuti in considerazione sia il quasi ventennale silenzio poetico che intercorre tra il 1960 de Il male minore e il 1977 de Il prato più verde, sia la parsimonia compositiva che contraddistingue l’autore, confermata dal numero di soli 92 testi all’altezza dell’uscita de Il nastro di Moebius, antologia del 1980 che raccoglie tutti i componimenti del poeta fino a quel momento.
La giornata di studi si è articolata in due parti, rispettivamente di commento critico e letture (da de Sponde, Ponge, Michaux, Cendrars e Villon); queste ultime, tratte da I miei poeti tradotti, a cura di Franco Buffoni e per l’editore Interlinea che è in procinto di pubblicare L’ippopotamo erbiano, in edizione commentata a cura di Samuele Fioravanti (nella collana “Biblioteca di Autografo” fondata da Maria Corti, amica del poeta e francesista).
Dopo i saluti iniziali e i ringraziamenti agli Eredi per la prestigiosa donazione della collezione familiare (per lo più dal Fondo Girardi) si sono susseguiti, nell’ordine, gli interventi di Roberto Cicala, Franco Buffoni, Monica Lucioni e Giulia Grata.
L’intervento di Roberto Cicala, dal titolo Il tranviere metafisico e L’Ippopotamo, sentita testimonianza in qualità di amico e di editore, si è soffermato su alcuni aneddoti del reciproco incontro e si è focalizzato sulla sottolineatura di una grande virtù dell’uomo e del poeta Luciano Erba, ovvero quel suo essere parco nell’espressione e nell’esibizione di cui una cartina di tornasole è data, come già accennato, dall’essenzialità dell’opera data alle stampe e, nondimeno, da alcuni frammenti epistolari (tra questi è citato il luogo di una missiva datata 15/9/65 inviatagli dall’editore Scheiwiller).
Franco Buffoni, condividendo una relazione dal titolo Le traduzioni-testo di Luciano Erba, ovverosia focalizzata sulle cosiddette traductions-textes (quelle traduzioni che de iure diventano veri e propri testi del canone), si è impegnato a tratteggiare il profilo di un Luciano Erba che deve la sua originalità alla compresenza, nella sua figura, di peculiari “idiosincrasie”. Tra queste, quell’atteggiamento apparentemente contraddittorio per cui, nonostante la riverenza sempre manifestata per il maestro Anceschi, era portato a discostarsi da molte idee del critico e filosofo, impuntandosi repulsivamente su alcune nozioni che riteneva troppo categoriche, come quella di progetto e intertestualità (perni della riflessione traduttologica, erede del formalismo ma con un’apertura verso l’estetica, che in quegli anni era in corso).
Monica Lucioni, offrendo un contributo intitolato Luciano Erba traduttore di Blaise Cendrars, ha fatto proprio l’obiettivo primario di suggerire una via inedita di esplorazione del lavoro erbiano: non tanto quella, più largamente abbracciata, che incentiva una ricerca di tracce della letteratura francese tradotta da Erba nella sua opera poetica ma, viceversa, quel percorso che potrebbe condurre a interessanti scoperte relative alla permanenza di tratti poetici dell’autore nella sua opera traduttiva. La tecnica adoperata da Erba per Cendrars (detta “Mot-à-mot”, ovvero “parola per parola”) si rivela inoltre illuminante, secondo la studiosa, proprio in prossimità dei punti in cui è trasgredita: vale a dire, in corrispondenza di variationes solo apparenti se rapportate all’originale, in quanto Erba in esse dà prova del massimo rispetto verso Cendrars, in senso sia logico sia ritmico sia fonetico. Dunque, in primis, la libertà traduttiva erbiana avrebbe il dono di preservare il senso più autentico del testo tradotto, qualificandosi come una “inaderenza” da considerare con attenzione. In secundis, le prove di tale libertà (per lo più l’uso ricorrente di superlativi, iperboli e altri espedienti tramite cui si discosta dal principio del mot-à-mot) potrebbero essere una spia del suo particolare “segno poetico”, e non di quello di traduttore, dunque di nuovo, offrirsi come un input a percorrere la suddetta via ermeneutica, dalla sua poesia alla sua traduzione.
Giulia Grata, infine, si è dedicata a un’analisi dei rapporti di Erba con la poesia di de Sponde (Erba traduttore di de Sponde. Riciclare la tradizione) focalizzandosi sulla metafora che associa al lavoro di traduzione il processo del “riciclaggio” (metafora presa in prestito da Franco Buffoni).Soffermandosi su tre sonetti dell’autore francese comparsi su «Il Verri» nella traduzione di Erba (che li introdusse insistendo sul loro carattere metafisico), la studiosa ha sintetizzato quelli che sono a suo avviso i quattro livelli in cui avviene l’opera di “riciclaggio” nel caso del passaggio traduttivo de Sponde-Erba (ovvero, nell’ordine, i poetismi, i prosaismi, gli erbismi e gli intarsi), dedicando un più generoso spazio a considerare l’ultimo caso, quello degli intarsi (che -ha dimostrato- serbano, nel caso dei sonetti considerati, almeno la traccia di D’Annunzio, Manzoni, Petrarca e Tasso, nella forma di riprese inconsce, o al massimo sollecitate da riprese ritmiche, di genere o di stile).