Il 29 maggio del 1874 nasceva a Londra Gilbert Keith Chesterton, geniale autore di saggi, biografie, romanzi e poemi. Fu uno dei grandi interpreti del genere Mystery, con il personaggio ineguagliabile del prete detective, ma fu anche giornalista di razza, protagonista assoluto della scena culturale inglese della prima metà del Novecento.
Sono passati centocinquant’anni dalla sua nascita, ma Chesterton è più attuale che mai, con la sua difesa della ragionevolezza, con quell’uso magistrale del paradosso che sempre lo caratterizzò. Un paradosso mai fine sè stesso, non un gioco intellettuale, ma un metodo per risvegliare la mente e la coscienza.
Chesterton difese la bellezza della Fede, dell’annuncio della Salvezza che è una persona: Gesù Cristo. E lo fece con passione, con decisione, con simpatia, perfino. Morto a soli sessantadue anni nel 1936, fu veramente un “Uomo Vivo” – come dice il titolo di un suo celebre romanzo. Un cristiano controcorrente. E per questo dopo tanti anni è ancora attuale: perché il conflitto tra la Chiesa e il Mondo sta assumendo – negli ultimi tempi – dimensioni drammatiche.
I primi anni
Quando Chesterton nacque, Londra era la più grande, popolosa e importante città del mondo: il cuore e la mente della civiltà Occidentale e dell’ordine da lei stabilito.
L’adolescenza di Chesterton corrisponde agli anni disperati e crepuscolari del simbolismo e del decadentismo. L’opera di Chesterton è una sorta di medicina per l’anima, anzi, più precisamente può essere definita un antidoto. Lo stesso scrittore aveva in realtà usato la metafora dell’antidoto per indicare l’effetto sul mondo della santità: il santo ha lo scopo di essere segno di contraddizione e di restituire sanità mentale a un mondo impazzito.
Ancora ogni generazione cerca per istinto il suo santo – aveva detto –, ed egli è non ciò che la gente vuole, ma piuttosto colui del quale la gente ha bisogno… Da ciò il paradosso della storia che ciascuna generazione è convertita dal santo che la contraddice maggiormente.
Serenità e speranza
Il modo con cui Chesterton riuscì a contraddire la generazione del suo tempo è stato quello dell’essere felice. Una felicità autentica, che per essere tale non prescinde affatto dal dolore, dalla fatica e dalle lacrime.
La lettura di Chesterton, in sigla GKC, sia che si tratti dei romanzi che dei saggi, lascia sempre nel lettore una grande serenità e un sentimento di speranza che scaturisce non certo da una visione della vita irenistica e mondanamente ottimistica, che è in realtà quanto di più lontano dal pensiero di Chesterton, che denuncia dettagliatamente tutte le aberrazioni della modernità, ma dalla cristiana, virile fortezza dell’esperienza religiosa.
La proposta di Chesterton è quella di prendere sul serio la realtà nella sua integrità, a cominciare dalla realtà interiore dell’uomo e di adoperare fiduciosamente l’intelletto – ovvero il buon senso-nella sua originale sanità, purificato da ogni incrostazione ideologica.
Una fede viva
Raramente capita di leggere delle pagine in cui si parla di fede, di conversione, di dottrina, tanto chiare e incisive quanto prive di ogni eccesso sentimentalistico e moralistico. Ciò deriva dall’attenta lettura della realtà di Chesterton, il quale sa che la conseguenza più deleteria della scristianizzazione non è stato il pur gravissimo smarrimento etico, ma lo smarrimento della ragione, sintetizzabile in questo suo giudizio: «Il mondo moderno ha subìto un tracollo mentale, molto più consistente del tracollo morale».
Di fronte a questo scenario Chesterton sceglie il cattolicesimo e afferma che esistono almeno diecimila ragioni per giustificare questa scelta, tutte valide e fondatissime ma riconducibili a un’unica ragione: che il cattolicesimo è vero, la responsabilità e il compito della Chiesa consistono dunque in questo: nel coraggio di credere, in primo luogo, e quindi di segnalare le strade che conducono al nulla o alla distruzione, a un muro cieco o a un pregiudizio. «La Chiesa – dice Chesterton – difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori».
Il successo di padre Brown
L’opera critica di Chesterton – i libri su Dickens, Browing, Stevenson, Blake e il pittore Watts – non è meno incantevole che penetrante; i suoi romanzi, scritti all’inizio del secolo, uniscono il mistico al fantastico, ma la sua fama attuale si deve soprattutto a quelle che si potrebbero chiamare le “Gesta di Padre Brown”.
Chesterton non era un filosofo, o un teologo, ma portava i lettori alla riflessione attraverso le sue storie. E tra le storie che più ci tenne a raccontare c’erano i gialli, i polizieschi. Dei racconti polizieschi difese le ragioni in un suo saggio, The Defendant (Il difensore):
Non è vero che il volgo preferisce la letteratura mediocre alle opere di gran pregio, né che ama i racconti polizieschi perché sono letteratura di infimo grado. (..) Bisogna riconoscere che numerosi racconti polizieschi traboccano di crimini eccezionali, proprio come un dramma di Shakespeare. (..) Non solo il racconto poliziesco è una forma d’arte perfettamente legittima, ma presenta certi vantaggi ben definiti e reali come strumento del benessere pubblico.
E ancora: «Il primo pregio fondamentale del racconto poliziesco consiste nel fatto che rappresenta il più antico, nonché l’unico genere di letteratura popolare in cui sia espressa una qualche consapevolezza della poesia della vita moderna».
E del genere poliziesco
Chi è l’investigatore? L’investigatore è il moderno eroe che vive la sua Iliade nei meandri delle strade della città. Era inevitabile che sorgesse una letteratura popolare che tenesse conto delle possibilità romantiche offerte dalla città moderna. I racconti polizieschi possono essere sobri e confortanti come le ballate di Robin Hood.
Il romanzo poliziesco sottrae all’oblio il fatto che la civiltà stessa è la più sensazionale delle trasgressioni e la più romantica delle sommosse. «Trattando delle vigili sentinelle che difendono gli avamposti della società, esso tende a rammentarci che viviamo in un accampamento militare, in conflitto con un mondo caotico, e che i malfattori, figli del caos, non sono altro che traditori entro le mura della città».
Per Chesterton il romanzo poliziesco ci offre uno spaccato realistico della vita umana, e si basa sul fatto che «la moralità è il più oscuro e ardito dei complotti».
Scrivere per convertirsi
Gran parte della sua fama mondiale venne a Gilbert Keith Chesterton proprio da uno di questi personaggi, inizialmente solo una delle diverse figure di investigatore a cui pensava. Si trattava di un piccolo prete dalla faccia tonda, umile, dimesso, ma dalla mente pronta, straordinariamente acuta, in grado di gareggiare con i più abili poliziotti e delinquenti non in astuzia, ma in intelligenza.
Un prete cattolico, personaggio che appare per la prima volta in un racconto del 1910, diversi anni prima quindi della sua conversione. Chesterton per primo fu stupito del successo di questo personaggio, e si trovò quasi obbligato a dargli continuità.
Imparò ad amare e ad apprezzare il Cattolicesimo prima che nei suoi contenuti dottrinari, per quelle qualità di umiltà, semplicità e intelligenza che pose nel personaggio del prete investigatore.
In Padre Brown non c’è mai compiacimento dei propri successi: c’è il dolore per tutto il male che c’è nel mondo, un dolore sereno mitigato dalle tre virtù cardinali che egli incarna con semplicità: la fede, che non viene mai meno e che egli comunica e trasmette con naturalezza; la speranza, che anima la sua attività di prete e investigatore, con l’intenzione di salvare il peccatore, se non di impedire il peccato; la carità, ovvero l’amore, la capacità di offrire il perdono di Dio, il desiderio di vedere non la morte (o la punizione) del colpevole, ma la sua conversione.
La Distribust League
Tra le varie attività cui GKC si dedicò – diceva che diffidava di chiunque si occupasse di una cosa sola – ci fu anche l’economia e la politica.
Nel 1925 decise di rialzare dalla polvere la vecchia bandiera del giornalismo coraggioso che era stata levata in alto da suo fratello Cecil, e insieme a Belloc, Padre McNabb e altri amici fondò un nuovo settimanale da battaglia. Dopo diverse discussioni, si scelse un nome piuttosto singolare per la nuova testata: “G.K’s Weekly”, ovvero “il settimanale di GK”, le iniziali di Gilbert Keith; la decisione impegnava direttamente e personalmente l’autorevolezza e la responsabilità del suo direttore, Chesterton, ma rappresentava le idee di un gruppo destinato a raccogliere moltissimi consensi. Tale gruppo, un anno dopo, fondò un movimento politico, la Distributist League, la Lega Distributista.
Il Distributismo – si proponeva un ritorno alle forme di civiltà e ai principi basilari della società popolare medievale che trovavano la loro estrinsecazione nelle gilde e nei terreni comuni, oltre che in un rigoglioso localismo, e cioè un ritorno del popolo a una vita autonoma, alla diretta amministrazione dei propri interessi, affidati negli Stati moderni al controllo degli apparati statali o delle oligarchie economiche. Il motto coniato da Chesterton per il movimento fu: «La libertà attraverso la distribuzione della proprietà».
Un progetto utopico
Circoli distributisti vennero aperti in numerose città di Inghilterra e anche in Scozia, presso l’Università di Glasgow, trovando subito un notevole riscontro tra gli studenti. Il Distributismo possedeva tutte le caratteristiche per suscitare l’interesse di chi viveva in una fase di depressione economica, di delusione seguita a una guerra che ci si era illusi sarebbe stata l’ultima e aveva invece lasciato tante ferite aperte.
Era un movimento fuori degli schemi partitici, dei quali Belloc aveva direttamente sperimentato tutta l’incoerenza e la corruzione, che si proponeva di combattere i mali della modernità affidandosi non a modelli non più proponibili, ma riscoprendo le strutture sociali ed economiche di un concretissimo Medioevo, rilette alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa. Propugnando la teoria economica del «piccolo è bello», il Distributismo era non solo anti-imperialista e localista, ma riprendeva anche i temi della difesa della terra e del ritorno ad essa.
«La Chiesa ringiovanisce mentre il mondo invecchia», Così aveva scritto Chesterton in un suo saggio, constatando che il Cristianesimo è una pazzia che sana mentre tutto il mondo impazzisce. Ciò che rende sempre giovane e attraente la Fede è il fatto che Cristo ci ha dato un modo più ragionevole di vivere, più lucido ed equilibrato nei suoi giudizi, più sano nei suoi istinti, più lieto e sereno di fronte al destino e alla morte.
La morte
Nel giugno del 1936 Chesterton si ammalò gravemente, e morì.
Appresa la notizia della scomparsa del grande scrittore, papa Pio XI mandò, per mezzo del Segretario di Stato Cardinale Eugenio Pacelli, un telegramma di cordoglio, in cui si piangeva la perdita di «un devoto figlio della Santa Chiesa, difensore ricco di doni della Fede cattolica. Era la seconda volta nella storia che un pontefice attribuiva a un inglese la qualifica di “difensore della fede”.
Forse la Segreteria di Stato non si era accorta dell’ironico accostamento, che avrebbe fatto esplodere Gilbert in una delle sue proverbiali risate: l’altro inglese era stato Enrico VIII, l’uomo che aveva inferto alla Chiesa in Inghilterra la più grave e profonda ferita. Fu l’ultimo paradosso di GKC.