La poesia incendiaria di Daniele Mencarelli
L’affresco di una generazione “perduta” degli anni Novanta tra alcol e droghe, una liberante storia d’amore, un adolescente assetato di assoluto: ecco l’anima delle nuove poesie di Daniele Mencarelli da oggi in libreria per lo Specchio Mondadori (Degli amanti non degli eroi, pp. 200, euro 18). Il volume si dispiega in due lunghe sequenze: la prima “Storia d’amore” è una rielaborazione dell’omonima silloge uscita nel 2015 per Pordenonelegge, la seconda “Lux Hotel”, è il racconto di una livida partita a poker che ricorda le atmosfere del Settimo sigillo, una vicenda, spiega l’autore, che «prova a smascherare, ridicolizzare, il tema dell’eroismo nella sua accezione tipicamente maschile, guerresca».
Per Mencarelli, una delle voci più forti della nostra narrativa, è un felice ritorno alla prima vocazione, la poesia appunto, di cui si può avere un’ampia panoramica in Tempo circolare (Pequod) che raccoglie le sue liriche dal 1997 al 2019.
La sezione “Storia d’amore”
Nel sedicenne Gabriele, protagonista della prima sezione, ritroviamo le schegge autobiografiche che hanno originato i romanzi di Mencarelli con i suoi eroi “irregolari” aperti al mistero. Rivediamo il giovane in lotta con le sue dipendenze, come nella Casa degli sguardi (2018), quello nell’abisso di un reparto psichiatrico (la vicenda di Tutto chiede salvezza, divenuta nel 2022 un’ottima serie Netflix, ne parlammo sul numero 742 di Sc del dicembre 2022), il giovane, infine, capace di trasformare un’avventura in autostop in una serrata esplorazione interiore (Sempre tornare, 2021).
Il Gabriele di “Storia d’amore” conosce ogni tic della vita di provincia. Le logiche del branco in sella agli scooter. Gli spettri alzati dalle pasticche. Le risse scoppiate per un niente. I dolori delle madri che piangono i figli persi nelle allucinazioni del sabato sera. I ragazzi invecchiati troppo presto con gli «occhi sgranati e denti di coltello», con i «nomi selvaggi oppure americani». Gabriele è uno di loro, ma è anche uno che «ha qualcosa dentro di feroce», con un «desiderio cane di carne e vita» e che è soprattutto un «rabbioso testimone della grandezza dell’esistenza».
Quando arriva l’amore
La sua vita si incendia e vira quando incontra Anna, 14 anni e un «viso stellato di lentiggini». È un’epifania. Anna sembra uscita dallo Stilnovo: la sua visione purifica il cuore e apre la vita alla riconoscenza: «Quando si annuncia la tua figura / piccola con la busta della spesa / non so dire l’amorosa meraviglia…», «tutto grazie a te si fa bellezza», e ancora: «cammino consumato dalla gioia». È lei che trasforma la vita in poesia. Con lei a fianco anche la giostra di un Luna Park o la cabina per le fototessere diventano un Eden. E così la storia di un ragazzo come tanti si trasforma nell’ebbrezza del Cantico dei cantici, in un continuo inseguimento, dalle prime confidenze al primo bacio.
Gli illustri maestri
Ed è forse questa l’alchimia più preziosa di Mencarelli: trovare, o almeno disperatamente cercare, un orizzonte di senso nel quotidiano, anche in quello più disadorno. Come peraltro facevano Hopper in pittura o Carver in poesia. A proposito di maestri, leggendo Mencarelli («di lavoro vorrei fare il maledetto») ritornano in mente alcuni poeti “non addomesticati”, come Villon, Rimbaud o Campana. Tra le consonanze con la poesia italiana più recente, penso invece al Davide Rondoni del Bar del tempo, a Giovanna Sicari («maestra che continua a parlare», come spiega l’esergo) o a Simone Cattaneo (1974-2009), “stella nera” dei ragazzi che ruotavano intorno alla rivista Atelier e di cui va ricordato il folgorante esordio con Nome e soprannome (2001).
Ecco un esempio della scrittura di Mencarelli, un dettato in cui la semplicità è il punto d’arrivo dopo una lunga traversata, come insegnava Giampiero Neri:
«Ma ora eccomi a te / in un astuccio rosso di raso / ti dono questa piccola fede / dentro inciso nell’oro / il mio nome porterai sulla pelle, / sarà il tuo scudo sarò io / quando lontana sarà la mia voce, / ora infila al mio dito / l’anello gemello il tuo nome d’oro. / Anna sei dono sei sposa, / portami senza mai stancarti, / auguri per i tuoi quindic’anni».
Ma in Gabriele la storia d’amore è anche un trampolino per una domanda sull’esistenza di Dio. Una “caccia” che ricorda le ultime raccolte di Giorgio Caproni:
«Hai dato nomi al magma / incendiato il nulla con la luce / nell’acqua sorgiva dei Tuoi mari / Ti sei specchiato e quel che hai visto / vive sul suo viso di ragazza, / il sangue assaporato dal suo dito / è del Tuo colore la Tua razza, / lei è la tua figlia prediletta / lei è la Tua terra migliore, / come ogni umano a ben vedere. / Questo noi siamo, questo noi valiamo».
Mencarelli ingaggia una vera e propria lotta con l’angelo, come nella Genesi Giacobbe al guado dello Iabbok cercando il “perché” ultimo sul dolore. È una lotta tremenda, che può lasciare slogati per tutta la vita, ma che può dare senso e colore anche agli episodi misteriosi della nostra esistenza. E a essere più vicini agli amici nella prova.