Nella parte vecchia di Manhattan, la cosiddetta downtown, dove si trova Wall Street e dove le vie sono ancora intricate come nelle città europee, stanno costruendo un ennesimo grattacielo. Avrà settanta piani e sarà interamente occupato da monolocali, che costeranno tra i 2 e i 7 milioni l’uno.
L’idea è che i monolocali, che includono ogni comfort ma in formato minimo, siano comprati da singoli o al massimo da coppie di persone molto ricche del mondo intero che vogliono un pied-à-terre a New York City. Del resto, i quartieri alti della città sono sempre più simili anche per i residenti, nella Manhattan ricca: persone solitarie o coppie senza figli, con un numero incredibile di cani e animali da compagnia. L’odore della città, anche in questi quartieri, è ormai quello della marijuana, che sta per essere legalizzata e, dunque, secondo lo sfortunato scivolo concettuale delle nostre società, è già legale. Si vende nei chioschi per strada e accompagna ogni entrata della subway che non si ferma mai e ogni porta girevole dei lussuosi building sulla riva destra del fiume Hudson.
Tornando a distanza di qualche anno, si ha l’impressione che gli homeless siano aumentati, anche se per covid ne sono morti tante migliaia, mi dice Salvatore Snaiderbaur, fondatore di OneCityMission, una charity cattolica di assistenza e amicizia per questa sub-popolazione enorme di Nyc. Del resto, vivere qui costa tantissimo ed essere tagliati fuori dalla società non è così difficile.
All’esterno della New York Public Library, nel bellissimo Bryant Park, hanno costruito un villaggio invernale, per pattinare tra i grattacieli e passeggiare tra i chioschetti di un mercatino di Natale all’europea. I prezzi sono però all’americana, cioè in costante crescita per l’inflazione inusitata di quest’epoca. Così è la città capitale del mondo, sempre più bella e ricca, sempre più violenta e povera, nello stesso modo, nello stesso momento.
Mi invitano per una lezione sulle fake news al Brooklyn College, in fondo al celebre quartiere che una volta era degli ebrei e degli italiani. I colleghi sono famosi filosofi della matematica, ma si sono dati a scritti su ecologia, femminismo e inclusione degli immigrati. L’accademia, qui, è diventata questo un po’: vige la cosiddetta Dei (Diversity, Equality, Inclusion) policy. Qualunque cosa si faccia, dall’assumere un prof. al commentare un post su un social network, non si può partire che da Diversità, Eguaglianza, Inclusione, il vangelo del politicamente corretto. Si creano paradossi assurdi, ovviamente, per cui alle volte si viene assunti perché si è di una certa etnia e non perché si è bravi, a conferma e non a smentita del razzismo, che purtroppo è piaga antica degli Usa.
Le ricerche, mi dice una dottoranda italiana di un’università prestigiosa, sono indirizzate dai finanziamenti che vengono versati solo per temi politicamente sensibili più che corretti. I bagni sono ormai rigorosamente misti: ognuno faccia come si sente, secondo la gender theory e la paura di essere ingiusti con qualcuno, escludendolo dal bagno a cui agognava.
I ragazzi a lezione, però, sono sempre simpatici, la giovane età aiuta. Io parlo della verità e della falsità nell’informazione ma le domande, inevitabilmente, sono tutte di carattere morale: che atteggiamento dovremmo avere verso la verità? Che punizione ci dovrebbe essere per la falsità? Un giovane prof. mi chiede che cosa ne avrebbe detto Gesù delle fake news. Che cosa siano le fake news e che cosa sia la verità li interessa di meno. Peccato, ma è la profonda radice calvinista di questa terra. Nessuno capirà mai gli Stati Uniti senza ricordarsi che, nel bene e nel male, sono stati fondati da calvinisti così convinti e accesi che i calvinisti inglesi e olandesi, già estremi, non li avevano potuti tollerare. E con il calvinismo cammina sempre il moralismo, in negativo, e il coraggio, in positivo. E così anche la policy Dei viene sostenuta con la stessa accesa riprovazione morale e con lo stesso coraggio di rischiare le idee nella pratica, senza dubbi, senza critiche, senza mediazioni. Qui l’illuminismo francese non è mai passato, for better and for worse.
Vista così la realtà americana, c’è da preoccuparsi un po’ per il declino del paese guida (o dell’impero, per chi non lo può soffrire) che, con tutti i suoi enormi difetti, è stato motore di una civiltà occidentale libera e capace di correzioni autocritiche. È l’inizio della fine, dominato dal capitalismo dei CEO tecnologici, soffocato dalla religione dell’ecologia e dal suo sommo sacerdote, il politicamente corretto delle policy?
Non ne sarei così sicuro. Ci sono anche altre storie, nello stesso Paese. Indianapolis, capitale dell’Indiana, si trova nel Midwest, l’America dei campi e della Bibbia, e negli ultimi cinque anni è passata da ottocentomila a un milione e duecentomila abitanti, le industrie crescono ovunque, la città è stata riedificata tanto da essere irriconoscibile. Sarà stata la vicepresidenza di Mike Pence, ex-governatore di Indiana, ma intanto è una crescita impressionante.
A Williamstown, nel Berkshire, laddove il Massachussetts confina con il nord dello stato di New York, in un college tra i più costosi e liberal, partecipo all’incontro del circolo tomista degli studenti. Sono cinque, ma simpatici, ilari, pieni di domande e di argomenti interessanti. La mia guida, il prof. Stango, mi spiega che i circoli tomisti sono ormai presenti in tanti college e università per opera di attivi domenicani, e in aggiunta ai Newmann center, che da sempre organizzano le attività degli studenti cattolici.
Ad Albany, capitale dello Stato di New York, il prof. Stango dirige il programma master della St. Bernard’s School of Theology and Ministry, dove studiano sia seminaristi cattolici sia laici che vogliono prendere un master in teologia. Ha organizzato una serata su don Giussani, citando nel titolo l’espressione usata dal Papa il 15 ottobre in piazza san Pietro: «the Church recognized his theological and pedagogical genius». Ci sono sessanta persone, tra i presenti e i collegati registrati.
Un’amica protestante che ha studiato a PennState, uno dei centri del politicamente corretto e che ora insegna in un college importante, mi dice che tra i suoi colleghi la metà sa e pensa che tutta l’enfasi sui temi Dei sia una farsa. Tra gli studenti, secondo lei, le percentuali sono ancora maggiori. Un sondaggio dell’estate dice che il 76% degli studenti mente su questi temi per non incorrere nelle ire dei professori ideologici. Se le cose stanno così, e la maggioranza è sensata anche se tace, la moda passerà.
Insomma, ci sono tanti germi di tendenze diverse. Non c’è l’uniforme cammino segnato in una direzione o in un’altra. Non bisogna mai dare per scontato il destino di persone, di culture e di Paesi. Le linee culturali e socio-economiche sono importanti ma non sono mai superiori alla libertà degli esseri umani. L’America, come erroneamente la chiamano anche qui, è certo in un momento difficile e non sappiamo come andrà a finire la sua storia e, per riflesso, la nostra, ma certo è l’unico posto che pare avere l’energia vitale e le risorse per generare gli anticorpi di quelle malattie culturali a cui ha dato vita.