Nel cuore di Milano, due mostre stanno attirando l’attenzione degli amanti dell’arte: la prima ha per protagonista il maestro rinascimentale El Greco in mostra a Palazzo Reale fino all’11 febbraio 2023. La seconda invece è la prima mostra personale nel capoluogo lombardo dell’artista Ron Mueck, ospite nelle stanze della Triennale fino al 10 marzo 2024. Sono artisti diversi ma in grado di creare un affascinante dialogo tra epoche e stili.
El Greco: la riscoperta di un genio
Domínikos Theotokópoulos, nato in Grecia nella prima metà del Cinquecento, si forma a Creta presso i cosiddetti “madonneri”: i maestri pittori di icone, di Madonne in particolare. Fin dai primi anni della sua attività è noto tra i contemporanei con lo pseudonimo di “El Greco”, proprio per via delle sue origini. Dopo i primi anni cretesi, si trasferisce in Italia: Venezia e Roma sono per lui centri fondamentali in cui apprendere la lezione del manierismo e, in particolare, l’uso del colore, nonché della luce.
Sebbene Michelangelo e Raffaello fossero già morti, il loro esempio continuava a essere di riferimento per tutti i giovani pittori. A questo periodo appartengono le opere raffiguranti i soggetti più tradizionali, come l’Ultima cena, la Crocifissione o la Madonna con Bambino. Dagli anni Settanta, però, lo troviamo impegnato in Spagna, a Toledo, dove avrà modo di perfezionare la sua arte, esibendo una grande indipendenza di stile e di maniera non rintracciabile in nessun altro artista coevo.
Gli esordi come madonnero
Palazzo Reale ha così raccolto quarantuno dipinti della sterminata produzione del Greco, provenienti da numerose istituzioni, e suddivisi in cinque sezioni tematiche tese a ricostruirne la parabola artistica: dagli esordi come pittore “madonnero”, fino alla stagione in Italia. La terza sezione è dedicata alla spiritualità e al periodo toledano che mostrano una predilezione per le scene religiose e i dipinti devozionali. È l’epoca della Controriforma e il Greco cerca di adeguare i temi ai modi, regalandoci così il bellissimo San Sebastiano trafitto dalle frecce – secondo la tradizione –, ma fissato in una posa ardita con la gamba poggiata sulla roccia a ricordo del michelangiolesco San Bartolomeo nel Giudizio universale.
Lo sfondo è quello della macchia dai colori spontanei, su esempio della scuola veneziana. Ancora più particolari le rappresentazioni dei Santi e la personalissima iconografia di Cristo che regge la croce. Le opere di questo genio rinascimentale appaiono straordinarie allo spettatore di oggi soprattutto per l’uso del colore: pennellate piene e pastose, che lasciano percepire la pesantezza materica delle grezze vesti del francescano, oppure la morbidezza del velluto del mantello di san Martino in contrasto con l’acciaio della sua armatura.
L’ultima sezione “El Greco nel labirinto” racchiude invece l’unica opera di argomento mitologico: il Laocoonte, probabilmente visto nel periodo romano dopo il restauro supervisionato da Michelangelo. Come in tutto il percorso, anche qui il Greco interpreta l’essenza della scena attraverso uno slancio verticale dei personaggi. Sono lunghe figure scomposte, che si contorcono nella tela, quelle del gran sacerdote e dei suoi figli, la cui sinuosità però si avviluppa a quella dei serpenti assalitori, smascherando una tragicità indicibile.
Ron Mueck: l’iperrealismo in scena
Apparentemente di tutt’altro genere è la mostra organizzata da Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain. Dopo l’esposizione di Parigi nell’estate 2023, è il turno del capoluogo lombardo ospitare sei sculture dell’artista iperrealista Ron Mueck. Nonostante le poche opere in mostra, il percorso abbraccia la gamma di soggetti che hanno portato l’artista australiano a esplorare nuovi processi creativi. Addentrandosi nello spazio espositivo, si viene accolti da In Bed: la gigantesca rappresentazione di una donna stesa a letto, con lo sguardo preoccupato, rivolto altrove, in uno stato interiore al quale lo spettatore non riesce ad accedere.
Come tipico di Mueck, ci troviamo di fronte a una figura straordinariamente realistica che convince non solo per l’accurata realizzazione di forme e dettagli, ma soprattutto per la capacità di evocare lo spirito di una persona reale, con pensieri ed emozioni, la cui presenza richiede e merita attenzione. Così anche Woman with Sticks, dove una donna compie lo sforzo di trasportare il peso di una fascina; o Baby: un neonato di minuscole dimensioni scolpito pochi attimi dopo il parto che, capovolto e fissato al muro, crea una forma a croce che invita alla contemplazione quasi come in presenza di un’icona religiosa.
Dal singolo al collettivo
Negli ultimi anni del suo lavoro, Mueck ha in parte abbandonato le sproporzionate figure solitarie, in favore di una rappresentazione collettiva. Risale, infatti, al 2017 l’idea del monumentale gruppo scultoreo Mass, originariamente pensato per allestire gli spazi della National Gallery of Victoria di Melbourne: si tratta di cento enormi teschi umani, affastellati uno sull’altro, per creare un vero e proprio paesaggio oggettuale. Un’installazione che offre allo spettatore un’esperienza soprattutto psicologica, portandolo a riflettere sugli aspetti fondamentali dell’esistenza umana.
Di fatti, “mass” non è solo “disordine”, ma anche “messa, esperienza religiosa” e il teschio stesso è di per sé icona potente, associata all’atto del pensare ma anche alla brevità della vita umana. Dualismo che l’autore ripropone anche nell’ultima opera da lui scolpita: En Garde, un minaccioso gruppo di cani di quasi tre metri di altezza che invitano a mettersi en garde (“in guardia”). Senza specificare se l’en garde sia da riferirsi allo spettatore che guarda i cani o ai cani che guardano lo spettatore, Mueck concentra la tensione e anticipa ciò che potrebbe accadere. Un vivido riflesso dell’incertezza del presente, come del futuro.
L’ultima opera in mostra è This Little Piggy, una scultura di piccole dimensioni ancora in fase di realizzazione, dove è possibile esperire la mano dell’artista che manipola l’argilla grezza.
La manipolazione della materia
Anche se in presenza di artisti così diversi, in entrambi siamo di fronte a tecniche artistiche che dimostrano un’insofferenza per la materia: il Greco sembra insofferente al supporto fisico all’interno del quale i suoi personaggi sono intrappolati, per questo cerca di farli evadere attraverso slanci verticali e l’allungamento delle silhouette. Va alla ricerca di una tridimensionalità che gli è ben congeniale soprattutto nel momento in cui aggiunge il colore, a suo modo, creando affascinanti immagini sinestetiche che portano lo spettatore a farsi custode dell’azione, spesso interiore e solitaria, come nel caso della Maddalena, di Cristo che porta la croce, di san Francesco o di san Domenico nell’atto di pregare. Ed è allora che la materia, sebbene sapientemente ordinata, esplode, fuoriesce, oltrepassando i limiti della contingenza.
La bontà di un’immagine vera sempre, che parla a tutti, è la stessa che si coglie nel contemporaneo Mueck: dove l’eccesso o il difetto di materia uccidono, lo spettatore è schiacciato dall’enormità dei cani e il bimbo appena nato dalla grandezza dell’uomo. Questo artista sviluppa in maniera straordinaria l’happening collettivo, l’arte relazionale, in cui, cioè, il corpo del soggetto rappresentato interagisce con quello di chi fa esperienza. Chi guarda e chi è guardato non sono però sullo stesso piano, ma uno sopraffà all’altro. Le dimensioni alterano la prospettiva ed estrapolano quel momento dal tempo, per permetterci di soffermarci abbastanza a lungo da scandagliare in profondità il modo in cui percepiamo noi stessi e il come appariamo agli altri.
Anche in Mueck, come per il maestro spagnolo, la rappresentazione è spesso solitaria e non potrebbe essere altrimenti per far sì che la materia esprima tutta la sua carica esplosiva.