Tra i vertici della poesia di Saint-John Perse (1887-1975), premio Nobel 1960 e di cui quest’anno cade il cinquantesimo della morte, c’è il grande poema Amers, appena ripubblicato dalla casa editrice Medhelan con una splendida traduzione di Nicola Muschitiello e una nuova coraggiosa titolazione dell’opera: Segni d’amaro approdo (pp. 404, 30 €). Pubblichiamo ampli stralci della postfazione firmata da Alessandro Rivali.
Vorrei riassumere così la poesia di Saint-John Perse (al secolo Alexis Léger, Point-à-Pitre, 31 maggio 1887 – Hyères, 20 settembre 1975): autore originalissimo e fuori scala, Premio Nobel 1960 per la letteratura «per il volo vertiginoso, e le immagini evocative della sua poesia che riflette in modo visionario la condizione del nostro tempo».
Saint-John Perse è stato amato e tradotto dai grandi del suo tempo, con le sue pagine si sono cimentati autori come Eliot, Rilke o Ungaretti, eppure in Italia la sua stella stenta ancora a brillare. Perdura la fama di autore difficile, di poeta per poeti, di nome esiliato dal canone. È una disdetta, perché in pochi nel Novecento hanno toccato le vette della sua poesia, che è una «duratura folgorazione». Del resto, era l’avvertimento che apriva l’introduzione di Romeo Lucchese, fedele traduttore di Perse, al primo volume delle Opere del poeta, pubblicato da Lerici nel 1960: «Uno dei più grandi poeti contemporanei, forse il più grande, certo il più dotato di toni, di aperture sul mondo dello spirito e sugli aspetti della natura: Saint John Perse, è un poeta quasi sconosciuto…»1.
Così Lucchese affascinava il lettore portandolo per mano nell’“universo Perse”:
Nessuno sa ricreare quanto Perse il senso della civiltà arcaica e raffinata a un tempo, di una civiltà lontana da ogni accademismo e da ogni standardizzazione. Nessuno sa ammirare ed elogiare quanto lui il regno sublime dell’infanzia, le caratteristiche stupende e avvincenti della nobiltà atavica. Nessuno sa cantare come lui la dignità dell’uomo, dell’individuo sensibile e ricettivo in mezzo a una società anchilosata, avariata nello spirito, annichilita da abitudini meschine. E gli spettacoli della natura nelle sue sfumature più delicate e nelle furie più occulte e spaventose. E il segreto delle cose di lungo uso, nate da profonde necessità, con scopi precisi; degli oggetti tecnici più rari (oggetti di equitazione, di navigazione; quegli oggetti che sono entrati via via nella sua vita di studioso, di botanico, di viaggiatore, di navigatore). Ogni poesia di Perse è un dono prezioso, elaborato, carico di sapori, odori, colori, significati, analogie, richiami, presenze, assenze della vita2.
Una delle cifre distintive della poesia di Perse è la gioia: Perse è il poeta della felicità della scrittura, dell’immaginazione incontenibile, degli accostamenti audaci, delle elencazioni prodigiose e sempre nuove, dei bagliori incessanti. È un poeta di sogni scoperti «dal respiro cosmico e possente»3, un «incantatore di serpenti»4, «un inventore di immagini, tanto che la sua opera si può… considerare una Bibbia d’ombra e di freschezza»5. Ma è anche un cercatore della bellezza, in ogni sua manifestazione, con una spiccata inclinazione alla Natura (nel suo cuore la nostalgia per l’infanzia sull’isola di Guadalupa): basta scorrere alcuni titoli della sua opera: i deserti di Anabasi, le “Piogge” e le “Nevi” di Esilio, fino a Vents e Amers, i due straordinari poemi, forse l’apice della sua poesia, ora riproposti nella magnifica traduzione di Nicola Muschitiello.
Nella poesia di Perse c’è qualcosa di originario. Per la sua forza evocatrice, è come se fosse stata scritta all’inizio dei tempi o alla fine dei secoli. Vengono in mente le visioni di Terrence Malick in Tree of Life o quelle di Odissea nello spazio di Kubrick.
Negli ultimi anni in Italia è cresciuta l’attenzione per Perse. Come ha segnalato Giorgio Cittadini, introducendo la più recente traduzione di Anabasi6 (luglio 2022), sono usciti i Poemi provenzali7, le lettere alla madre dalla Cina8, una raccolta di altre lettere e interventi sparsi9.
E in effetti, la poesia di Perse ha molto da dire al lettore di oggi perché affronta i grandi interrogativi della vita: è un lungo viaggio, lirico ed epico allo stesso tempo, in cerca della felicità.
È diventata proverbiale la sua risposta sulle motivazioni della scrittura: «Alla domanda che viene sempre posta: “Perché scrivi?” la risposta del poeta sarà sempre la più breve: “Per vivere meglio”».
Per una sintesi del suo pensiero, si potrebbe leggere il suo Discorso di accettazione del Nobel, testo che andrebbe studiato nelle scuole per la sua incisiva profezia. Ricorda infatti che la poesia, con la sua sete di assoluto, non rinuncia mai alla ricerca della verità.
Non è facile affrontare Saint John Perse. È una montagna impervia, senza sentieri tracciati. La poesia di oggi ha scelto altre vie, spesso quella del minimalismo. Si è spogliata dei suoi tratti distintivi sino a confondersi con la prosa. È restato il frammento. Non a caso qualche anno fa un altro Nobel come Derek Walcott ricordava che invece di scrivere poesia oggi si rischia di scrivere «appunti per delle poesie»10.
Non è facile leggere Saint-John Perse per la sua vastità enciclopedica, che non fa sconti al lettore, per l’abbondanza di termini esatti, ma molto tecnici, per il continuo recupero di parole perdute. È difficile leggerlo senza ricorrere al dizionario. In questo senso, la cristallina traduzione di Nicola Muschitiello è un grande servizio al lettore. Sono stati sei mesi, così mi ha confidato, di lotta corpo a corpo con Perse, «con momenti di furore e persino di risentita emulazione nei confronti di questo enigmatico creatore di mondi».
Sulla difficoltà di Perse, così si esprimeva Archibald Mac Leish (poeta che andrebbe riscoperto, sulle bancarelle con un po’ di fortuna si può ritrovare il suo Conquistador, Premio Pulitzer 1937 per la poesia, pubblicato da Guanda nel 1970):
Certo, i poemi di Perse sono difficili. Ma la difficoltà non pone in difetto un poeta se non quando egli l’ha cercata per se stessa, oppure quando egli non ha saputo dominarla con la propria arte. In Perse, essa non risulta da una insufficienza né da una compiacenza, ma dal contrario: da una precisione e da una ricchezza di linguaggio estreme, da un vocabolario idoneo a captare, in modo straordinario, ogni vibrazione del pensiero o del sentimento11.
Sul versante italiano, la difficoltà di Perse è stata più volte difesa da Cesare Cavalleri, uno dei più liberi e severi critici italiani, che considerava ineguagliabile il poeta di Amers:
Il più grande poeta del 900, Saint-John Perse… ha fama di essere difficile, oscuro, perché usa vocaboli attinti dalle classificazioni botaniche o zoologiche, e da linguaggi caraibici. […] Poeta difficile, oscuro? Ma egli stesso disse che se un vocabolo non si trovava nel Petit Larousse (noi diremmo “nella Garzantina”), non lo usava, e qui viene a proposito ricordare che una funzione (non la principale, ma comunque importante) della poesia è appunto di accrescere la familiarità dei lettori con i dizionari12.
La cifra epica di Perse fu presentata da Ungaretti fin dal 1931 quando pubblicò la traduzione di Anabasi sulla rivista “Fronte” (traduzione poi ripresa nel volume Lerici), lo considerava uno dei «rari esempi recenti di poesia epica», il «tentativo audace e riuscito di fondere nella rappresentazione degli eventi di una gente, il moto lirico, cioè la storia d’un io, dello “Straniero” legato ai suoi modi per le strade di tutta la terra»13.
Tra i segni distintivi di Perse, i suoi sterminati elenchi, che ricordano i cataloghi omerici o le classificazioni dei cetacei di un altro “poema sacro” come il Moby Dick di Melville.
Al lettore forse può servire un essenziale inquadramento biografico del poeta. Per lungo tempo, i riferimenti sono stati attinti dalla ricca Biografia della Pléiade. Saint-John Perse ebbe il privilegio di costruire da solo la sua Opera omnia per Gallimard. E alzò un monumento a sé stesso. La critica negli anni ha smussato alcuni momenti leggendari della sua vita, che peraltro, per molti aspetti, rimane dannunzianamente “inimitabile”.
Per i lettori italiani, un ottimo punto di partenza, su cui ci appoggeremo, è la “Vita di Alexis Leger / Saint John Perse” presente nella ricca edizione dei Poemi provenzali usciti per Crocetti: è scritta da Joëlle Gardes (1945-2017), direttrice dal 1990 al 2000 della Fondazione Saint-John Perse.
Perse nasce nell’isola di Guadalupa il 31 maggio 1887; il padre Amédee è avvocato, la madre appartiene a una famiglia di proprietari terrieri che hanno sull’isola due tenute: una piantagione di caffè e un’azienda saccarifera. L’eden quasi primordiale dell’infanzia di Perse viene infranto da un terremoto e da una crisi economica che costringe la famiglia al ritorno in Francia. Il giovane Perse inizia a frequentare da esterno il liceo di Pau, nella Nuova Aquitania. Qui inizia a scrivere Immagini per Crusoè, frequenta il poeta Francis Jammes, che a sua volta lo mette in contatto con Paul Claudel. Nelle Immagini, scrive Stefano Agosti, si possono rintracciare «i tratti essenziali della futura opera»: «la tensione vocativa e allocutiva del discorso, per quanto riguarda il lato formale dell’esperimento; l’accumulo non mediato di sostanze, prese sia dall’universo naturale sia dall’universo culturale, o, il che è lo stesso, un’esperienza sur le vif del mondo, per quanto riguarda il lato dei contenuti»14.
Nel 1905 Perse studia Giurisprudenza e segue alcuni corsi di Medicina a Bordeaux, due anni dopo perde il padre e deve iniziare a sostenere la madre e le tre sorelle. Nel 1909 pubblica per la NRF di Parigi Immagini per Crusoè a firma Saintléger Léger, cui fanno seguito l’anno successivo le poesie di Éloges. Il 1914, l’anno della conflagrazione mondiale, Perse supera il concorso per gli Affari esteri: è la svolta della sua vita e l’inizio di una brillante carriera diplomatica. Il primo incarico di rilievo è in Cina, dove resta dal 1916 al 1921: gli piaceva ricordare di aver scritto Anabase in un piccolo tempio taoista a un’ora di cavallo da Pechino.
In una celebre lettera alla madre del 2 agosto 1917 racconterà il suo “eremo”:
Ti scrivo dal fondo di un piccolo tempio buddista su un’eminenza rocciosa a nord-ovest di Pechino dove ho, da alcuni giorni, trovato rifugio contro la fatica e contro una terribile estate. Ai miei piedi delle valli inondate dalle ultime grandi piogge; ad altezza della fronte, già le pesanti prime catene che innesca l’elevazione mongola. […] La pace qui è grande per lo spirito, il margine incommensurabile, e le notti perfettamente riposanti lontano dal rumore della città cinese. Si sentirebbe consumare il tempo, quel tempo di cui la dissipazione in Cina sembra più lenta che altrove. Trasposizioni e trasgressioni qui sono tali ch’io sarei tentato di prendere la penna contro ogni mio vecchio proposito15.
Al ritorno in Francia, sarà uno dei più stretti collaboratori di Aristide Briand. Nel 1924 vengono pubblicati i primi canti di Anabase, firmati con lo pseudonimo che non sarà più abbandonato.
Come ricorda Giorgio Cittadini, il manoscritto originale di Anabasi fu affidato per la correzione delle bozze Valery Larbaud che commentava:
Anabasi m’ha dato uno dei più grandi piaceri ch’io abbia provato in questi ultimi anni! La poesia francese ha una grande opera in più. […] Sono felice e fiero d’esser stato il primo a leggere questo grande poema16.
Tra i poeti “folgorati” da Anabase, ci sarà il suo futuro traduttore T.S. Eliot che il 15 gennaio 1927 scriverà a Perse:
Vorrei… esprimerle un po’ della mia ammirazione per Anabasi. Il poema mi sembra uno dei più grandi e singolari dei tempi moderni, e se potrò pervenire a fare una traduzione che sia quasi degna di un simile capolavoro, sarò del tutto contento17.
Nel 1925 Perse riceve la delega per le funzioni di capogabinetto di Aristide Briand, ministro degli Affari esteri; deciderà quindi di sospendere l’attività poetica per concentrarsi sui sempre più gravosi impegni diplomatici che lo porteranno nel 1932 a diventare Segretario generale del Quai d’Orsay:
In tutta la sua carriera, Leger rimarrà fedele [alla] volontà di garantire la sicurezza delle nazioni mediante patti e azioni diplomatiche, e, al pari di Briand, risulta uno dei precursori dell’idea di Europa18.
La sua carriera sarà spezzata dall’invasione tedesca della Francia nel 1940 (lo scontro personale con Hitler era iniziato alla Conferenza di Monaco del 1938). Perse dovrà fuggire prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. I suoi beni saranno confiscati e sarà privato della nazionalità francese. Il governo di Vichy gli revocherò la Legione d’Onore. L’esilio sarà reso meno amaro grazie agli aiuti di diversi amici, tra cui il già ricordato Archibald MacLeish, poeta e direttore della Biblioteca del Congresso di Washington. Il forzato allontanamento dalla politica riavvicinerà Perse alla poesia dopo un quindicennio, nasceranno così i poemi Esilio, Piogge, Nevi e lo struggente Poema per la Straniera.
Il poema Esilio, scritto nel 1941 di fronte all’Oceano, a Long Beach Island, «articola sostanzialmente due temi: quello dell’esilio e quello della ripresa del canto poetico, concepiti entrambi come un’espressione di identificazione personale (il poema si conclude infatti su un’asserzione di identità: «Et c’est l’heure, ô Poète, de décliner ton nom, ta naissance e ta race»19).
Tra i pareri entusiasti su Esilio ci saranno quelli di Jules Supervielle («Il suo superbo poema è sul mio tavolo da alcuni giorni, con le sue ricchezze strazianti»), di André Gide («Che piacere mi fa il suo magnifico Exil! Esso è comparabile solo al meglio da lei scritto e io gusto la pura gioia nel leggerlo e rileggerlo»), di Paul Claudel («È stata una grande gioia per me possedere ormai con lei, al disopra dell’abisso di questi quattro abominevoli anni, il ponte monumentale stabilito dai suoi magnifici Quatre Poèmes!»20).
Un viaggio nella primavera del 1945 in Texas e in Arizona (vedrà il Grand Canyon, le gole del Colorado e «il maggior cratere creato sulla terra da un meteorite”21), ispirerà a Perse Vents, pubblicato da Gallimard nel 1946, che «rompe con il lirismo in parte ancora personale di Esilio per costituire una verace epopea della conoscenza umana sempre in marcia, a immagine del vento che non si placa se non per rilevarsi»22: «L’Ovest roccioso e desertico è il simbolo dell’energia spirituale»23.
Nel 1957 dopo una gestazione decennale uscirà Amers, il capolavoro di Perse, definito da Auden come «un canto di forza e di rinnovamento della vita»:
Ciò che il poeta canta… [è] il potere inesauribile che la vita ha di rinnovarsi e di trionfare su tutti i disastri, quelli della natura o quelli degli uomini. Ciò che egli cerca, ciò che si sforza di esprimere in ognuno dei suoi poemi, è il carattere sacro di ogni cosa che esiste24.
Il 1957 è lo stesso anno del suo ritorno in Francia, un ritorno tardivo, visto che dopo la guerra era stato pienamente riabilitato. Grazie all’amica Mina Curtiss, avrà la possibilità di abitare in una villa in Provenza, nella penisola di Giens, uno scenario ideale per la fervida immaginazione:
La villa si affaccia su un’insenatura alla quale si accede da una strada privata. Dalla terrazza situata nel tetto non si vede altro che il mare e il cielo, e si potrebbe credere di trovarsi su una nave25.
Un anno più tardi sposerà Dorothy Milburn Russell, conosciuta nel 1955. Nel 1960 pubblicherà Cronaca, «meditazione sul tempo (Chronos e Crono, il titano che divora i suoi figli, sono confusi) e sulla morte»26, primo poema del Ciclo provenzale. Il 26 ottobre di quello stesso anno riceverà il telegramma che lo informerà di aver vinto il premio Nobel. Sarà la definiva consacrazione cui farà seguito l’inizio dei lavori della sua Opera Omnia nella Pléiade. Gaston Gallimard derogherà così alla clausola di inserire nella collana solo autori già deceduti.
La morte coglierà Perse a Giens il 20 settembre 1975, dopo che aveva scritto Uccelli (1963), e le altre opere del Ciclo provenzale: Cantato da colei che fu presente (1968), Canto per un equinozio (1971), Notturno (1972), Siccità (1974).
Dopo queste premesse, si può solo consigliare al lettore di fidarsi e tuffarsi nel grande mare delle immagini di Perse. Vorrei affidarmi ancora alle parole di Cavalleri (che scelse un’espressione di Perse per il titolo della sua autobiografia) per introdurre Amers, che Nicola Muschitiello traduce con il suggestivo Segni d’amaro approdo:
Se Anabasi è il poema più celebre, il più conosciuto, di Saint John Perse, e se Esilio (1942) è il più struggente anche per la condizione biografica, l’opera a nostro avviso più compiuta del poeta è Amers, apparsa parzialmente nel 1950 e in volume nel 1957. La parola intraducibile amers indica i segnali che, lungo la costa, indicano la rotta ai naviganti: un faro, un promontorio, una torre, una particolare configurazione del terreno, o altro. Ma il poema (quasi centocinquanta pagine di fitta poesia) assurge a canto e celebrazione del mare, che è elemento primario ma è anche il mare del linguaggio e il mare dell’amore (nel poema vi è la più bella ierogamia della letteratura mondiale)27.
Amers è un poema lungo e fascinoso in cui tutte le ere sembrano ricapitolarsi di fronte alla regalità del mare, che viene «cinto d’una lode impeccabile». È una sorta di azzurra Apocalisse. Un estenuato tramonto «nei primi brividi della sera viscerale», «un’ora avida» imporporata «nella lavanda sul mare». È la veglia di un eroe antico che ha conosciuto la solitudine e che incontra l’amore. È una vasta e irraggiungibile sinfonia marina. Una lode della bellezza femminile. Un tuffo nell’oceano dell’essere.
È anche un teatro costiero in cui si affacciano personaggi misteriosi: «Prìncipi», «Reggenti», «Messaggeri vestiti d’enfasi e di metallo», «grandi Attori accecati», «Profeti incatenati», «pirati», «vecchi Nomadi in esilio», «grandi Vedove silenziose», «Usurpatori di troni e Fondatori di colonie lontane», «grandi Concessionari delle province dello stagno», «grandi Sapienti che vanno a dorso di bufalo delle risaie», «fanciulle vincolate ai piedi dei Promontori».
E soprattutto «attrici tragiche» «con le loro vaste pupille dilatate e le loro palpebre favolose».
È uno scenario di città sul mare, di «grandi opere portuali di pietra», di punte rocciose e uccelli bianchi, di «grandi sale solitarie» che «diventano febbrili alle fiaccole del tramonto».
Un universo acceso da una miriade di figure che ricorda la felicità d’invenzione di Ovidio: i porci selvatici che scavano la terra dalle maschere d’oro, i vecchi all’assalto dei frutteti col bastone, i ciechi che scoprono «il granchio dei sepolcri», le «vecchie leonesse desolate», le «bianche cagne della sventura», le «scimmie azzurre» che «scendono dalle rocce rosse», «il leopardo in mezzo alle viti, la vergine in groppa al toro, o il delfino cinto dei pàmpini della schiuma».
La gioia esplode in ogni pagina di questa «recitazione in onore del Mare» fin dal suo esordio:
Il Mare festoso sulle sue gradinate come un’ode di pietra: vigilia e festa alle nostre frontiere, mùrmure e festa ad altezza di uomini – il Mare stesso la nostra veglia, come una promulgazione divina…28.
È una gioia che si leva altissima nell’incontro con la donna, che era stato già misteriosamente cantato nel Poema per la Straniera. In Amers la celebrazione del femminile diventa un poema nel poema. Il poeta diventa Ulisse che incontra una Circe che fa sbiadire ogni male. È preda di una passione sacra e travolgente.
Amers diviene così la storia di un desiderio incessante, un canto nuziale, un rinnovato Cantico dei Cantici, in cui non prevale l’assenza dell’amata, ma la celebrazione carnale ed estatica dell’unione.
Il poeta è come Adamo, che esulta nel vedere per la prima volta la sua donna. È una bellezza che placa l’arsura e allo stesso tempo inebria e confonde.
La donna è «annuncio mattutino», «novità della luce nel giorno», «freschezza del mare e freschezza dell’alba», «acquea trasparenza del risveglio e la premonizione del sogno», «innocenza del frutto sulla terra straniera», «la spiga colta presso il Barbaro», «il seme seminato sulla costa deserta per il viaggio del ritorno».
Dopo il lungo tramonto, giunge una lunghissima notte d’amore. Il poeta viaggiatore, l’«anima tanto peregrina» ritrova l’Eden perduto, la passione divampa:
Tu, uomo avido, mi svesti: più calmo maestro che sulla sua nave il mastro di bordo. E tanta tela si disfà, ora c’è solo una donna ben voluta. S’apre l’Estate, che vive di mare. E il mio cuore ti apre una donna più fresca dell’acqua verde: semenza e linfa di dolcezza, l’acido misto con il latte, il sale col sangue vivo assai, e l’oro e lo iodio, e anche il sapore del rame e il suo principio d’amaro – tutto il mare in me portato come nell’urna materna…29.
Ora non resta che prendere il poema tra le mani, per provare ad allontanarsi dal «grande albero della tristezza», perché la poesia è per «mitigare la febbre d’una veglia al pèriplo del mare» e «per viver meglio la nostra veglia nella delizia del mare…».
Chissà forse il lettore ritroverà per queste nuove versioni di Amers e di Vents le stesse emozioni di Larbaud di fronte ad Anabasi:
E questi fogli che sono come dei disegni ammirabili, dei disegni di centomila personaggi, con tanto di dettagli così netti… Vi ho passato delle ore, e delle ore di grande gioia, durante le quali dimenticavo le mie sofferenze fisiche…30.
O di Ungaretti che nel 1930 lavorava alla prima traduzione italiana dello stesso poema:
È stata per me una vera fortuna incontrare questo libro… Un mondo m’è stato spalancato quando non arrivavo a trovare in me il minimo segno di chiarezza. Io vi incontravo a ogni passo stupori nuovi. È una consolazione potere consacrarsi ad un tale lavoro31.
1 Romeo Lucchese, Introduzione a Saint-John Perse, Opere poetiche, vol. I, Lerici, Milano 1960, p. 11.
2 Ivi, p. 13.
3 G. Cittadini, Premessa a Saint-John Perse, Anabasi, Cittadini (a cura di), Ecig, Genova 2000, p. 9.
4 C. Murciaux, Saint-John Perse, Borla, Torino 1965, p. 88.
5 Ivi, p. 134.
6 Saint-John Perse, Anabasi, Cittadini (a cura di), Crocetti, Milano 2022.
7 Saint-John Perse, I poemi provenzali, Cittadini e Gardes (a cura di), Postfazione di Manrico Murzi, Crocetti, Milano 2016.
8 Saint-John Perse, Lettere a mia madre dalla Cina, traduzione di Luana Salvarani, Medusa, Milano 2016.
9 Saint-John Perse, L’ossessione celeste – Lettere, memorie, discorsi, Madella (a cura di), Medusa, Milano 2021.
10 Intervista di Derek Walcott con il suo traduttore Matteo Campagnoli uscita sulla “Lettura” n. 7 del “Corriere della sera” del 24 dicembre 2011.
11 Cfr Introduzione a Saint-John Perse Premio Nobel 1960, Lucchese (a cura di), Utet, Torino 1972, pp. XXXIX-XXXV.
12 Cesare Cavalleri, Poesia, alla scoperta dell’idioletto di Perse, “Avvenire”, 15 gennaio 2020.
13 Cfr Saint-John Perse, Anabasi, cit., p. 106.
14 Notizia bio-biografica, in ivi, p. 185.
15 G. Cittadini, Guida alla lettura, in Saint-John Perse, Anabasi, Ecig, Genova 2000, cit., pp. 83-84.
16 Cit. da Giorgio Cittadini in Saint-John Perse, Anabasi, Ecig, Genova 2000, cit., p. 91.
17 Ivi, p. 100.
18 Joelle Garde, “Vita di Alexis Leger / Saint John Perse”, in Saint John Perse, I poemi provenzali, cit., p. 110.
19 Stefano Agosti nella presentazione di Esilio, in Saint-John Perse, Esilio, Agosti (a cura di), Se, Milano 1989, p. 11.
20 I pareri riportati si trovano nell’Introduzione di Romeo Lucchese al Saint-John Perse Premio Nobel 1960, cit., pp. XXV-XXVI. I poemi cui si fa riferimento sono Esilio, Piogge, Nevi, Poema per la Straniera.
21 Ivi, p. 414.
22 Joëlle Gardes, “Vita di Alexis Leger / Saint John Perse”, in Saint John Perse, I poemi provenzali, cit., p. 119.
23 Ivi, p. 118.
24 I pareri riportati si trovano nell’Introduzione di Romeo Lucchese al Saint-John Perse Premio Nobel 1960, Utet, cit., (p. XXXII).
25 Joëlle Gardes, “Vita di Alexis Leger / Saint John Perse”, in Saint John Perse, I poemi provenzali, cit., p. 123.
26 Ibidem.
27 Cesare Cavalleri, Letture – 1967-1997, Ares, Milano 1998, p. 525. Il pezzo era uscito su “Avvenire” come necrologio per Perse il 24 settembre 1975.
28 Saint-John Perse, a cura di Nicola Muschitello, p. 32.
29 Ivi, p. 183.
30 Giorgio Cittadini in Saint-John Perse, Anabasi, Ecig, Genova 2000, cit., p. 91.
31 Ivi, p. 105.