L’editore Lamberto Fabbri ci regala un’edizione di straordinaria unicità dei Songs of Innocence and Experience di William Blake (Londra, 1757-1827), un’impresa compiuta da giganti dell’Arte, con la maiuscola, che fondono i propri sforzi per dare vita a un vero e proprio capolavoro poetico e artistico. Come tutti i prodotti de Il cenacolo delle Arti – ricordiamo lo splendido Cantico dei Cantici nella traduzione ritmica di Giuseppe Conte, poeta presente anche in questo nuovo prodotto editoriale, o ancora William Shakespeare. Io non ho mai scritto, e nessuno è innamorato nella versione dei poeti Davide Rondoni e Flaminia Colella con le tavole di Tommaso d’Incalci – il libro è un vero e proprio pezzo d’artigianato. Si presenta fra le mani del lettore come un cofanetto con una veste in elegante tessuto rosso, impreziosito da un corpo anch’esso rosso dalle venature dorate su tutti i tagli, quasi un anticipo della ricchezza di ciò che vi è racchiuso. Aprendo il libro, ciò che contiene è un vero e proprio gioiello: le traduzioni di Giuseppe Conte per la versione italiana e di Jordi Doce per la versione in lingua spagnola, i versi di un mirabile poeta come William Blake, e le preziose tavole “incastonate” nelle pagine, opere dell’artista italiano Mimmo Paladino.
Un motivo ancora attuale
Ma perché proprio i Songs of Innocence and Experience? Perché l’editore ha deciso di arricchire il proprio catalogo con William Blake? La risposta è semplice: lo scrittore settecentesco, largamente sottovalutato durante la sua esistenza, apre le porte del suo mondo letterario al lettore, lo accompagna fra le pagine manoscritte, lo accoglie ma, allo stesso tempo, lo costringe ad andare oltre, a rientrare brutalmente nella realtà a lui contemporanea che, in un certo senso, è anche la nostra. La denuncia sociale emerge chiara nella raccolta poetica di Blake, fin dai Songs of Innocence, composti nel 1789, per farsi più consapevole e pungente nel 1794, quando escono i Songs of Experience: il lavoro minorile, la discriminazione razziale, temi veicolati in pochi versi che, pur nella loro brevità e spontaneità, tre secoli dopo continuano a scuotere le nostre coscienze e a pesare come macigni sulla nostra società.
Blake li cristallizza in una dicotomia: innocenza ed esperienza, due lati così opposti ma allo stesso tempo così complementari dell’animo umano, polarità agghiaccianti, come quella fra la Tigre e l’Agnello, fra il male e il bene che si compenetrano e si alternano continuamente. E la domanda è sempre una, manifesta: «La ferocia e la mansuetudine, la forza e la debolezza, la violenza e la tenerezza hanno la stessa origine? Le ha create la stessa mano?». Con questa domanda il lettore si appresta alla lettura dei due volumi, lettura che deve necessariamente procedere in sequenza, dall’innocenza all’esperienza, appunto. Così Blake ci porta a scoprire le sfaccettature del mondo, dei sentimenti umani, da quelli più alti a quelli più bassi. E li affronta così, in modo poetico, artistico, come li affronterebbe un uomo visionario; dalle parole di Conte infatti:
William Blake coltiva un dono: la visionarietà. Per lui avere visioni non è solo una attitudine letteraria. Blake ha visioni nella sua quotidianità, costella di visioni le stagioni della sua vita. Comincia a quattro anni. Si sveglia, e sul davanzale della finestra della sua cameretta di bambino, vede Dio.
Con questa spontaneità, innocenza e leggerezza, non certo superficialità, lo scrittore non può che catturare l’anima e la coscienza del lettore.
E allora ci pare chiaro perché proprio William Blake e, anzi, perché proprio Songs of Innocence and Experience.
Una nuova traduzione
Alla musicalità della lingua inglese originale Lamberto Fabbri decide di affiancare la poeticità della lingua italiana e vi aggiunge l’eleganza di quella spagnola, in un’opera che coniuga in sé questi tre sostantivi che bene si accompagnano alla parola “Arte”: musicalità, poeticità ed eleganza, il tutto in un unico volume color vermiglio. Le traduzioni riflettono le sensibilità delle culture e non è un caso se enfatizzano passi differenti, a dimostrazione della poliedricità della poesia di Blake, della versatilità dei suoi versi e della potenza immaginifica delle sue parole. Il linguaggio del poeta inglese è così assoluto eppure così immediato da consentirne una comprensione e una ricezione totali in parallelo con la propria lingua madre, sia essa l’italiano o lo spagnolo, senza che l’intento poetico dell’autore venga mai meno. Al lettore è quindi data la possibilità di viaggiare su tre piani diversi, di perdersi fra le somiglianze e le differenze, di capire Blake in lingua originale e scoprirlo in una lingua diversa, consapevole che, in qualsiasi modo lo leggerà, saprà comunicare direttamente alla sua emotività.
Prima della versione italiana di Giuseppe Conte per Lamberto Fabbri, la raccolta poetica dello scrittore inglese è stata oggetto di numerose traduzioni nei secoli, fra queste una delle più fortunate è sicuramente quella proposta da Giuseppe Ungaretti (1888-1970) nel libro Visioni di William Blake (Mondadori, 1965). Qui il poeta-traduttore si cimenta nelle visioni di Blake, non limitandosi a una semplice traduzione, ma all’assorbimento e all’interiorizzazione di tutta la sua opera, operazione che sfocia in una ricostruzione e reinterpretazione artistica delle visioni che consentono al lettore di penetrare nella poesia dello scrittore settecentesco. Là dove Ungaretti traduce la splendida The Tyger (Songs of Experience): «Quale fu l’immortale mano o l’occhio / Ch’ebbe la forza di formare / La tua agghiacciante simmetria?», Conte si allontana di più dall’originale inglese, aprendoci a un’interpretazione di più ampio respiro, parla infatti di «sguardo» e non di «occhio», e la forza creatrice diventa un tramare: «Che mano importale, che sguardo / tramò la tua feroce simmetria?». Così nella traduzione di The little black boy (Songs of Innocence) quell’«angel» tradotto prima «angiolo», diventa il più moderno «angelo» con Conte, il «sorgente sole» di Ungaretti si trasforma nel più poetico «sole che nasce». Due sensibilità diverse, due periodi storici diversi, due linguaggi diversi, eppure la stessa potenza poetica che colpisce il lettore.
Visivamente parlando
Ma il linguaggio scritto non è l’unico contenuto nei Songs of Innocence and Experience de Il cenacolo delle Arti, accanto a questa modalità espressiva se ne somma un’altra, visiva. L’idea di affiancare il testo alle immagini, e in questo caso a dipinti e disegni, si sposa perfettamente con il personaggio di William Blake che sappiamo essere l’artista delle opere che hanno illustrato le primissime edizioni dei suoi libri. Immagini gotiche in grado di dare concretezza alle sue visioni che spaziavano dai temi spirituali e biblici – di cui ricordiamo Il corpo di Abele trovato da Adamo ed Eva, La resurrezione o Cristo nel sepolcro, solo per citarne alcuni – accanto a tematiche universali come l’eterna lotta del bene contro il male, che sempre lo condizionò, emblematicamente riportata nell’acquerello Il grande dragone rosso e la donna nelle vesti del sole.
Come per ricreare un fil rouge con la storia del poeta, pittore e incisore inglese, l’edizione di Lamberto Fabbri è accompagnata da un apparato iconografico di grandissimo pregio. Le emozioni trasmesse su carta passano infatti anche tramite le tavole di Domenico Paladino, in arte Mimmo. L’artista campano, esponente della Transavanguardia italiana, ci restituisce attraverso pigmenti di colore, segni che squarciano la pagina bianca, una visione nitida e inedita dei canti di Blake, aprendo la percezione del lettore su una nuova interpretazione. Sfogliando le pagine si ha l’impressione di trovarsi in una galleria d’arte, fra tavole di un’essenzialità che punta dritto alle emozioni, colori vividi e puri, inalterati e originari, su un supporto cartaceo di pregio, un foglio spesso che pesa tra le mani del lettore, quale sottolineatura materica della preziosità e pienezza dell’opera.
Il pennello accompagna alle parole un linguaggio visivo ed emozionale con tratti veloci, sottili, in un intreccio di idee stilizzate, di macchie, schizzi di colore a rappresentazione di animali, maschere, uomini. Il tutto converge instancabilmente in un primitivismo che trasporta l’osservatore in un viaggio prima nel futuro e poi nel passato. L’impressione è di trovarsi su una macchina del tempo che porta chi guarda tra arte egizia, etrusca, paleocristiana e persino totemica, in un viaggio alla radice del sacro. I soggetti delle tavole armonizzano ed entrano in dialogo profondo con i segni grafici delle parole di Blake. Un’ibridazione di linguaggi che si fondono in un connubio di emozioni trans-temporali, dove ciò che è moderno e ciò che è tribale diventano la stessa cosa.
Quella messa in atto da Il cenacolo delle Arti è un’attenta operazione di arricchimento testuale e iconografico reciproco, le parole si colmano di significato attraverso le immagini, le immagini a loro volta trovano un supporto verbale e fonetico grazie alle parole. Il tutto in un gioco di suggestioni e continui sbalzi temporali, un felice miscuglio di generi e stili. Così il lupo che accoglie il lettore sulla copertina e lo accompagna fino alla poesia Notte ci rimanda a una percezione egizia, con un tratto snello, stilizzato, minimalista; il profilo nero di un lupo che ulula alla luna, un Anubi estratto direttamente da un geroglifico su una parete tombale.
Aprendo il cofanetto rosso di Songs of Innocence and Experience, tra le nostre mani si svela dunque un contenuto raffinato grazie ai versi di un artista a tuttotondo come Blake – che commuove e che turba allo stesso tempo – alle splendide traduzioni di Giuseppe Conte e Jordi Doce – che aprono ai lettori italiani e spagnoli una nuova porta sul mondo dello scrittore inglese – e infine, a ornamento quasi naturale, le tavole di Mimmo Paladino che accompagnano eloquenti la parola scritta.
William Blake si riattualizza in questa nuova edizione attraverso cui ci è data l’opportunità di riscoprirne e decodificarne i significati, riconsiderando alla luce del periodo storico presente la denuncia sociale che dalle pagine del passato ancora grida richiamando la nostra attenzione e spingendoci alla riflessione sul mondo attuale e, in definitiva, su noi stessi.

Tavola di Mimmo Paladino per La niña perdida (A Little Girl Lost), p. 97